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La censura dei benpensanti

di Dino Cofrancesco - 17/09/2019

La censura dei benpensanti

Fonte: Paradoxa Forum

Il 9 settembre u.s. «la Repubblica» riportava una notizia, non poco inquietante: «Casa Pound e Forza Nuova scompaiono dai social proprio durante il dibattito sulla fiducia al governo Conte. Sono stati infatti cancellati da Facebook e Instagram i profili ufficiali dei due partiti e quelli di numerosi responsabili nazionali, locali e provinciali, compresi quelli degli eletti in alcune città italiane. Oscurate le pagine di Gianluca Iannone, Simone Di Stefano e Roberto Fiore. Spariti dagli schermi decine di account vicini alle due organizzazione di estrema destra. A cominciare dalla pagina principale, ‘Casa Pound Italia’, certificata da Fb con tanto di spunta blu: ha 280mila follower. Restano attivi invece i profili di Twitter».

 

Mai avuto un feeling con Casa Pound e se mi capitasse di ascoltare i suoi affiliati cantare qualche inno del ventennio fascista (o, peggio, nazista) mi allontanerei inorridito. Un disagio minore, ma non leggero, aggiungo subito, provo ogni volta che sento intonare, in cerimonie pubbliche, Bella ciao o altri canti della Resistenza. Sono allergico ai simboli – e canti e suoni sono tali al massimo grado – che dividono la comunità politica, minacciando di morte gli avversari ideologici degradati a nemici assoluti. Parole come All’armi siam fascisti, terror dei comunisti oppure ormai sicura è già la dura sorte del fascista vile e traditor si possono ascoltare nei chiusi recinti dei partiti e delle sette ma non si possono imporre a tutti – come accadeva ieri durante il fascismo e oggi nelle scuole e nelle piazze italiane. La Repubblica dev’essere un’istituzione che unisce e affratella e, pertanto, i suoi riti vanno accompagnati da brani come Fratelli d’Italia o Va’ pensiero eseguiti da cori ai quali tutti si possano partecipare commossi.

È indubbio che associazioni come Casa Pound o Forza Nuova non mirano affatto a creare una memoria condivisa ma solo a resuscitare vecchie fratture storiche e ad attivare sentimenti di odio verso il sistema politico sorto sulle rovine del fascismo. Ma l’altera pars non è stata da meno nel ‘seminare zizzania’: i suoi storici, i suoi ideologi – dal Partito d’Azione al PCI – hanno costantemente delegittimato l’operato dei costruttori dello stato nazionale (la conquista regia, la colonizzazione del Sud, l’estraneità delle masse al processo unitario etc.) screditando parole come ‘patria’, ’nazione’ etc. al punto da farle apparire patetici fantasmi del tempo che fu.

In democrazia ciascuno ha il diritto di pensare, dire e scrivere quel che vuole purché non contravvenga alle leggi e non inviti a bruciare la casa dei congiurati che hanno assassinato l’ottimo Cesare. «Uccidere un fascista non è un reato» era uno slogan degli anni di piombo, che mi pare non comportasse pene severe per chi lo scriveva sui muri o lo gridava in riunioni di attivisti.

Navigando su Youtube si trovano apologie insopportabili (per un liberale, of course) del compagno Stalin e altrettante deliranti esaltazioni dei regimi totalitari di destra. Pietanze mediatiche difficili da digerire, sicuramente, ma che senso ha invocare la mannaia della censura? La XII Disposizione finale e transitoria della nostra Costituzione vietava, giustamente, «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista» ma le leggi successive andarono ben oltre: stabilirono un reato – l’apologia di fascismo – davvero difficile da definire. Ha senso trattare come un delinquente chi rimpiange l’Italia delle camicie nere, la sua classe dirigente, le sue realizzazioni sociali, la sua gestione del territorio, il suo corporativismo? Se la democrazia liberale, specie nelle sue configurazioni odierne, non piace e si vuole sostituire ad essa un diverso regime politico, resta solo il ricorso alla maniera forte, alla chiusura dei blog, all’espulsione da Facebook, alla perdita della cattedra? Non soltanto in gastronomia ma anche in etica e in politica, de gustibus non est disputandum: se una minestra non piace, farla ingurgitare con la forza, ovvero ricorrendo a sanzioni liberticide, non ricorda l’olio di ricino del ventennio?

A scanso di equivoci, anch’io ritengo un nemico potenziale e pericoloso della ‘società aperta’ il mondo che gravita attorno a Casa Pound ma se i follower sono 280mila ci sarà pure una ragione.

Su «Primato nazionale» si leggono analisi di politica interna e internazionale per me discutibili e faziose ma alle interpretazioni storiche e sociologiche che non convincono si replica con puntuali argomentazioni: non certo togliendo la parola ai dissidenti. Oggi in Italia ci ritroviamo una classe dirigente ottusamente giacobina (Laura Boldrini ed Emanuele Fiano ne rappresentano il top) che volentieri espellerebbe dalle scuole e dai circuiti massmediatici chi rifiuta la vulgata antifascista o esprime riserve sull’accoglienza o si preoccupa della salvaguardia dell’identità nazionale. Sennonché, i nemici si combattono con le opere, mostrando nel quotidiano l’eccellenza della ricetta liberale. E se gli antidemocratici no pasaran, a fermarli non saranno la zombica Anpi, i tribunali, gli anatemi dei Gad Lerner, la pedagogia repubblicana e giacobina (che aleggia nelle parole alate di Sergio Mattarella) ma la ‘qualità della vita’, le opportunità e le libertà assicurate a tutti, la civiltà di una convivenza che non si affida agli apparati polizieschi e censori per assicurare il rispetto della legge e dell’ordine bensì ai valori interiorizzati dai cittadini.