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La crisi ecologica ha origini coloniali

di Lorenzo Poli - 23/12/2022

La crisi ecologica ha origini coloniali

Fonte: Pressenza

Tra gli anni Sessanta e Settanta, a seguito della sempre maggiore presa di coscienza pubblica degli enormi squilibri ambientali causati da una produzione industriale e da un consumo incontrollati, nacque la linea di frattura tra industrialismo ed ecologismo che propose una riflessione filosofica sui rapporti fra etica e Natura, sottolineando le connessioni fra ecologia e gli insegnamenti del Buddha.

Molti trassero ispirazione dal Dharma buddhista, in particolare nell’ambito del movimento dell’Ecologia Profonda, fondato nei primi anni Settanta dall’ecofilosofo norvegese Arne Naess. Pensatori come Fritjof Capra e Gary Snyder sono stati influenzati dall’ecologia buddhista. Il monaco Sulak Sivaraksa ha scritto: «L’ecologia profonda riconosce l’urgente bisogno di un cambiamento radicale nella percezione del ruolo degli esseri umani nell’ecosistema. La nuova visione della realtà, in Asia, deve essere spirituale ed ecologica. Se baseremo il nostro sviluppo su questa nuova concezione, il nostro avvenire potrà essere radioso»[1]Ha inoltre dichiarato che la crisi ecologica ha profondamente radici coloniali interiorizzate nella cultura occidentale.

Sulak Sivaraksa è monaco e attivista buddhista thailandese, autore di opere su ecologia, spiritualità, giustizia sociale e pacifismo. Cofondatore, insieme al Dalai Lama, dell’International Network of Engaged Buddhists, è assertore dell’ecologia buddhista e leader della resistenza popolare contro la globalizzazione neoliberista per un Paese meno “sviluppato” ma più giusto, umano ed ecologico. È stato condannato all’esilio per aver criticato apertamente le politiche sviluppiste del re Bhumibol Adulyadej (Ramo IX). “La moderna cultura economica ha contribuito al deterioramento dei valori morali classici e della visione spirituale del mondo, interrompendo la comprensione dell’esistenza umana e di ciò che costituisce una vita buona e felice. Lo sviluppo è esclusivamente materiale, a scapito dell’ambiente e di un’equa distribuzione della ricchezza” – affermava in un’intervista. “Il consumo riceve la sua vitalità dall’illusione dell’autonomia dell’individuo, che la cultura occidentale separa artificialmente dal legame innato con i suoi coetanei e la natura. Un essere umano solo, gettato nel mondo, con un’esistenza indipendente dai suoi rapporti sociali e affettivi con gli altri esseri viventi. Questa illusione dell’io è per i buddisti la principale causa di sofferenza. Diventiamo ontologicamente estranei agli altri e a noi stessi. Possiamo realizzarci solo nell’atto del consumo: “Compro, quindi esisto”, direbbe oggi Cartesio.”

“Gli esseri umani vengono al mondo con la sensazione di non essere completi, sensazione che l’industria capitalista sfrutta per creare bisogni artificiali e produrre oggetti che “garantiscono” la loro soddisfazione. Crea l’illusione che con loro possiamo essere più attraenti, evitare il dolore, la malattia, la vecchiaia e persino la morte. Il consumo è diretto esclusivamente alla dimensione mentale, materiale ed economica dell’essere umano; accresce l’ignoranza, l’odio e l’avidità – le tre principali cause di sofferenza secondo il Buddha – ed esclude altri aspetti più autentici. Diventiamo individualisti, meccanici ed egoisti”.

L’illusione di separazione tipicamente occidentale tra noi e l’ambiente è responsabile della distruzione dell’ambiente. Sivaraksa ci ricorda che “la cultura occidentale si basa su tre idee sbagliate: l’umanità è indipendente dalla natura, gli esseri umani possiedono la Terra e la felicità deriva dall’acquisizione di beni materiali”. Questi presupposti hanno colonizzato l’immaginario di mezzo mondo. “Il mondo è un insieme cooperativo, una rete di relazioni dove tutto è legato a tutto: senza Madre Terra non possiamo sopravvivere, senza alberi o fiumi … E fingere di essere i padroni del pianeta è assurdo. In India, ad esempio, lo Stato del Rajasthan ha dichiarato che ogni goccia di pioggia appartiene al governo, che darà le opportune concessioni a società private per venderla e comprarla. Come puoi possedere la pioggia?”.

 Il buddhismo è “una tecnica che ci aiuta a uscire dal nostro isolamento. (…) La sua essenza è la nonviolenza e l’interconnessione di tutti gli esseri. Contrariamente alla società dei consumi, ci invita ad affrontare la sofferenza e a renderci conto che invecchiare e morire è inevitabile”. L’obiettivo è creare un’ecologia della felicità: “Poiché tutto è interconnesso, se ti preoccupi solo della tua felicità, creerai più sofferenza. D’altra parte, se ti preoccupi di quello degli altri, aiuti anche te stesso. Passi dal mentale allo spirituale attraverso gli altri. E non sto parlando solo di esseri umani; Intendo tutti gli esseri senzienti. Questo è ciò che dice la filosofia buddista”.

Come ricordava Sivaraksa,“essere prosperi è essere presenti, con piena attenzione in ogni momento; è essere autosufficienti, cioè non dipendere da fonti lontane per la propria sussistenza. Così ti senti soddisfatto di quello che hai. A livello ecologico, (…) maggiore è la biodiversità, maggiori sono le probabilità di raggiungere l’illuminazione che può essere fatta solo collettivamente”.

Il prendersi cura della Terra è molto diverso dalle soluzioni tecnofile californiane della Silicon Valley e dalle soluzioni tecnocratiche alla crisi climatica. La soluzione è “non solo pensare a noi stessi, a ottenere risorse pulite, acqua e aria in modo strumentale” – come affermano coloro che per marketing fanno del greenwashing sulla pelle degli ecosistemi. “Dobbiamo prenderci cura di tutti gli esseri senzienti perché sono nostri pari e meritano amore e rispetto. Inoltre, anche la Natura si prende cura di noi. Credere solo che la proteggiamo è un’illusione priva di umiltà”.

Bisogna uscire da quella visione, molto cattolica e cartesiana, della Natura “malefica”, esattamente come bisogna uscire da quella visione antropocentrica secondo cui, dopo aver contribuito a distruggerla con l’occidentalizzazione del mondo dal 1492 in poi e con l’inizio della società industriale di massa, la salvezza della Terra sia controllabile dall’essere umano, legittimando così i famosi interventi ingegneristici salvifici. I processi di autoregolazione e di autorigenerazione della Terra sono molto più forti e il Pianeta esiste da molti più anni delle civiltà umane.

Un team di lavoro ha pubblicato su Pnas una ricerca[2] sul peso che ogni organismo ha sulla nostra Terra. I risultati ci dicono che, a livello di biomasse, l’uomo compone soltanto il 0,01% della vita presente. Numeri che ci mostrano quanto piccola sia l’umanità e quanto grande sia il suo impatto sulla vita del Pianeta. Fin dai suoi albori l’umanità ha causato la perdita dell’83% di tutti i mammiferi selvatici e del 50% delle piante, modellando la vita a suo piacimento: meno animali selvaggi e più animali controllati in allevamenti. Non bisogna risolvere i problemi continuando come prima, ma uscire al più presto dalla società industriale per evitare altri problemi in futuro. Il tema è rifiutare alla radice il problema che continua a spingerci verso la direzione opposta a quella in cui dovremmo andare. Come spiega Sivaraksa: “Per il vero buddhismo, cresciamo spiritualmente solo attraverso l’impegno verso altri esseri. (…) In questo Paese (Thailandia), centinaia di monaci buddhisti hanno rischiato la vita per prevenire la deforestazione e lo sfruttamento indiscriminato delle foreste.”

Oggi però il problema è l’educazione aziendalista occidentale che favorisce l’illusione dell’ego, l’eccesso di professionalismo e la competizione tra chi ha il diploma più valido. Ciò “tende ad allontanare i bambini dai loro coetanei e dalla natura. Il sistema scolastico va sempre in un senso, da insegnante a studente, quando dovrebbe andare in due direzioni: entrambi possono imparare l’uno dall’altro. Se sei umile, sei aperto e impari da tutti gli esseri. Possiamo anche imparare dagli alberi”. L’ecologia buddhista offre alternative alla globalizzazione neoliberista e al capitalismo proponendo comunità, sostenibilità, localizzazione dell’economia su piccola scala, difesa delle popolazioni indigene e del mondo rurale in una simbiosi ecologica.

https://it.smartworldclub.org/6675371-and-quot-western-culture-is-based-on-three-misconceptions-and-quot

[1] S. Sivaraksa, Semi di pace. Una visione buddhista per rinnovare la società, tr. it. Ubaldini, Roma 1993, p. 74.

[2] The biomass distribution on Earth https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.1711842115