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La cuduta nel vuoto e le retoriche di guerra

di Raoul Kirchmayr - 02/04/2024

La cuduta nel vuoto e le retoriche di guerra

Fonte: L'Antidiplomatico

Ricordate la sequenza iniziale di "L'odio" di Matthieu Kassowitz, con l'apologo dell'uomo che cade da un palazzo di 50 piani e, per far fronte all'angoscia prodotta dalla caduta nel vuoto, continua a dirsi "fin qui tutto bene?".
A differenza dell'uomo dell'apologo, noi non possiamo neppure dire "fin qui tutto bene", perché l'avvitamento al peggio è in corso da tempo. Sintomo ne sono le fanfare dei guerrafondai. Prima sommesse ora sempre più squillanti.
Davanti alle insistite retoriche bellicistiche e guerrafondaie delle élite politiche europee servono due cose: un principio di realtà e un principio ideale.
Il principio di realtà consiste nel rispondere agli imbecilli di Stato (da Sunak a Meloni, da Macron a Tusk ecc.) che lasciarsi trascinare nell'escalation della NATO è stato un errore politico forse irreparabile. Occorre ammettere che l'escalation NON HA PAGATO né in termini militari né in termini politici per nessun paese europeo perché a) non ha prodotto alcun effetto positivo sul campo per l'Ucraina; b) ha esposto l'Ucraina a pericoli di perdite territoriali più grandi di quelle ipotizzabili all'inizio del conflitto; c) ha fatto dell'Ucraina un cimitero a cielo aperto, un paese distrutto che soltanto degli avventurieri cinici possono pensare di ricostruire (e con quali risorse, di grazia?); d) ha sconvolto gli equilibri internazionali, già resi fragili dalla crisi economica e dalla pandemia, con la perdita netta dei rapporti commerciali con la Russia e la Cina.
Ogni politico DI BUON SENSO farebbe marcia indietro o quanto meno si prenderebbe una pausa per un'analisi seria della situazione, perché ogni accelerazione supplementare non può che CAUSARE ULTERIORI DISASTRI.
L'unica risposta sensata alle cancellerie europee da parte delle opinioni pubbliche nazionali è: "Non ne avete azzeccata una che sia una. Ora tacete, non rappresentate più nessuno".
Il principio ideale consiste nell'opporsi alla logica della guerra che è costantemente alimentata dai discorsi sull'irreparabilità della guerra. Si tratta del solito meccanismo della PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA, al quale fanno da grancassa i media asserviti. Lo scontro continentale in Europa non ha alcun senso, né per i russi né per gli europei. Di fronte all'eventualità di una guerra continentale, che potrebbe risolversi in un confronto nucleare tra l'Occidente e la Russia, occorre affermare, sostenere e ripetere che solo la via diplomatica, con una rapida ripresa dei negoziati, può impedire che l'Ucraina venga ridotta a un cumulo di macerie e ossa e l'Europa diventi un laboratorio di nazionalismi e ultranazionalismi che se forse non porteranno allo scontro immediato e diretto con la Russia certamente sanciranno la fine di ogni progetto comune europeo, dissodando il terreno per nuovi conflitti intra-europei.
Draghi affermò che la sconfitta dell'Ucraina avrebbe segnato la fine dell'Europa. Ma, da analista con le gambe corte, non capì che sarebbe stato il perpetuarsi della guerra in Ucraina a portare, IN OGNI CASO, alla fine dell'Europa.ggi, Israele non è assolutamente in grado di ottenere - en passant, Israele conta su circa 7 milioni e mezzo di abitanti (ebrei), l'Iran su 88 milioni... Inoltre, è evidente che attaccare sfacciatamente un edificio diplomatico, in un momento in cui è già isolata internazionalmente, e sotto accusa per genocidio, non è esattamente la mossa più opportuna diplomaticamente parlando.
Il punto è che Tel Aviv non può vincere la guerra contro l'Asse della Resistenza, né in Palestina né altrove, e se perde non solo collassa il governo, ma rischia di aprirsi una crisi ben più profonda, perché ad essere messo in discussione è il fondamento stesso dello stato ebraico, cioè il progetto sionista di una patria esclusiva per gli ebrei in Terra Santa.
Netanyahu, un po' come Zelensky, è prigioniero della sua guerra. Ed è irrilevante il fatto che l'Ucraina la stia manifestamente perdendo, mentre Israele la stia apparentemente vincendo. Le sorti di Israele (e le sue personali) sono legate innanzitutto al proseguimento della guerra, e poi alla sua conclusione positiva. Che però, appunto, non è alla portata dell'IDF. Per sbloccare la situazione, quindi, deve trascinare per i capelli gli Stati Uniti nella sua guerra, e per farlo c'è un solo modo: tirare dentro l'Iran, direttamente.
L'attacco all'ambasciata, quindi, è esattamente questo: una gigantesca provocazione. Tel Aviv VUOLE una reazione iraniana, che sia tale da consentirle di portare a termine il proprio disegno. E di questo a Teheran sono perfettamente consapevoli.
Quindi, spiace per gli strateghi da divano ed i feldmarescialli da Risiko, la risposta iraniana sarà calibrata a partire da questo presupposto, ovvero non abboccare alla provocazione. Per fortuna, lì ci sono al governo persone responsabili, che sanno bene cosa significhi una guerra (l'Iran ha combattuto contro l'Iraq di Saddam per otto anni), e non hanno nessuna voglia di trascinare il proprio paese in un conflitto quando e come vuole il nemico.