La fisica e l'Oriente
di Guido Dalla Casa - 02/01/2018
Fonte: Arianna editrice
Premesse
Sono passati più di quarant’anni dalla pubblicazione de Il Tao della Fisica, notissimo libro di Fritjof Capra, in cui si descrivevano e spiegavano le notevoli correlazioni e quasi-identità fra le conoscenze acquisite con la fisica quantistica e le concezioni di molte filosofie orientali, che spesso risalgono a più di duemila anni fa. Dopo qualche anno veniva pubblicato Il punto di svolta, dello stesso Autore, in cui si delineava con chiarezza un possibile passaggio dal paradigma chiamato cartesiano-newtoniano, in cui sono state inquadrate finora le conoscenze scientifiche, ad un nuovo paradigma battezzato sistemico-olistico, basato in gran parte sulla visione del mondo dello scienziato-antropologo-filosofo inglese Gregory Bateson.
La situazione attuale
Ottant’anni dopo i lavori di Heisenberg e Schroedinger e quarant’anni dopo la pubblicazione del libro di Capra sopra citato, ben pochi scienziati hanno accettato intimamente e completamente il fatto che le conseguenze filosofiche della fisica quantistica, o il paradigma che ne consegue, coincidono praticamente con la visione del mondo della filosofia buddhista (e di qualche aspetto del pensiero indù e taoista). In fondo, molti ancora pensano in modo semi-conscio che non è possibile che 2000 anni fa si potessero avere concezioni considerate molto “moderne”. Non riescono a liberarsi dal pregiudizio del progresso, cioè dall’idea “ottocentesca” che l’umanità proceda in un’unica direzione, verso conoscenze sempre maggiori e “più vere”. Con alcune eccezioni. Qualcuno resta sorpreso (e quasi dispiaciuto) nello scoprire che la descrizione di sunyata fatta da Nagarjuna (secondo secolo d.C.) coincide con quella del vuoto quantistico della fisica.
Qualcosa era già stato notato dai fondatori, quelli dei “trent’anni che sconvolsero la fisica” (titolo di un fortunato libro divulgativo di George Gamow), tanto è vero che Niels Bohr scelse come suo stemma (richiesto per una onorificenza) il simbolo del Tao con la scritta “Contraria sunt complementa”. Erwin Schroedinger scrisse:
Non sono sicuro che l’individualità che noi sentiamo come persona, come individuo, sia reale, che essa non sia un’illusione. E’ in ogni caso un’idea diffusa in Oriente, presso i maestri delle Upanishad, che si tratti di un’illusione, che noi non siamo realmente individui spirituali, ma “parte” di una stessa Entità. (La mia visione del mondo, Garzanti, 1987).
Sulla tomba di Werner Heisenberg (1901-1976) sta scritto: Io sono qui, da qualche parte. E’ un omaggio al principio di indeterminazione, ma anche una consolazione per la morte: non c’è alcun ego che muore. Non c’è un ego autonomo e permanente che “persiste” o “non-persiste” (le uniche alternative che propone l’Occidente), ma una successione di stati mentali variabili che non può “sparire”: non moriremo perché non siamo mai nati. Come gli altri esseri senzienti, siamo oscillazioni della Mente estesa, onde dell’Oceano, dove l’acqua non può sparire.
Due paradigmi
Come accennato, il paradigma tuttora caratteristico della cultura occidentale è quello cartesiano-newtoniano, che inquadra il pensiero e le conoscenze considerando l’universale come una macchina, con l’eccezione della sola parte mentale dell’uomo che la osserva “dall’esterno” e la può manipolare.
Il pensiero corrente è ancora oggi in gran parte ancorato alla visione del mondo che consegue dall’opera di Newton, sia per quanto riguarda i concetti di spazio e di tempo, sia perché viene attribuita a gran parte dei fenomeni una natura essenzialmente meccanica. Inoltre, alla base della scienza - nella sua versione ufficiale e divulgata - sta il dogma che il mondo materiale sia oggettivamente esistente, in modo del tutto indipendente dal mondo mentale-psichico-spirituale: la scienza di Newton ha cioè come premessa scontata l’accettazione del dualismo cartesiano. Tutto l’universo, compresa la Natura vivente sulla Terra, è assimilabile a una gigantesca macchina smontabile e ricomponibile: come conseguenza, la natura è priva di ogni rilevanza morale. L’uomo non ne fa parte, ma è qualcosa di superiore. Cartesio considerava “macchine” anche gli altri esseri viventi.
Il paradigma cartesiano-newtoniano è il quadro in cui vengono inserite le prime nozioni di fisica insegnate a scuola, senza alcuna premessa a monte: all’inizio si parte con la meccanica, e così resta inquadrata tutta la fisica di base, che è ancora prequantistica. Questo paradigma, oltre che persistere per una sorta di inerzia, è anche utile al sistema che vuole qualcuno che “fa”, non qualcuno che “sa”, vuole una scienza che sia soltanto premessa alla tecnologia e non alla conoscenza: è un modo di procedere e insegnare che fa comodo agli industrialisti-sviluppisti, che stanno distruggendo la Vita sulla Terra. L’Occidente continua ad essere preda dei démoni dell’avere e del fare, dimenticando spesso il vivere, il conoscere e l’essere.
Le conoscenze attuali rendono insostenibile questo sottofondo di pensiero, ma viene ancora divulgato il paradigma in cui era inquadrata la scienza fino alla fine dell’Ottocento: l’universale è una gigantesca Macchina con l’optional del Grande Ingegnere. E’ composto di altre “macchine” più piccole, ma è sempre di natura materiale, divisibile in parti e manipolabile. Il mondo viene esaminato in modo lineare scomponendo il complesso nel semplice, riducendo il tutto in parti (riduzionismo). Fino all’inizio del Novecento, l’universale fisico veniva risolto in “particelle” e “vuoto”.
La mente era considerata una specie di prodotto del cervello umano.
La premessa essenziale della fisica classica che ha resistito come un dogma fino quasi alla metà del ventesimo secolo è che esista un mondo reale e oggettivo dotato di proprie leggi di funzionamento. Compito dell’osservatore è scoprire queste leggi oggettivamente esistenti. I fenomeni avvengono nello spazio e nel tempo, entità assolute, indipendenti ed esistenti in sé (Newton). Questo paradigma resiste ancora oggi, tanto è vero che spesso la nuova fisica viene chiamata meccanica quantistica, mentre si tratta di una non-meccanica.
Dal 1900 al 1930, più o meno, sono avvenuti, partendo soprattutto dalla fisica, rivolgimenti del pensiero scientifico conseguenti a formulazioni teoriche, sempre confermate, che hanno falsificato il paradigma cartesiano-newtoniano: tale modifica è tuttora in corso e procede molto lentamente. Con il vecchio paradigma si continuano a considerare ovvie l’impenetrabilità dei corpi (cioè il dualismo vuoto-pieno) e la logica “A non è non-A”. Si pensa che gli atomi siano composti sostanzialmente da alcune particelle fisse o rotanti in un oceano di “vuoto”. Si continua a dividere ogni problema, ogni cosa, ogni processo in parti, senza tener conto che qualunque suddivisione risente di qualche pregiudizio e non può essere neutrale e valida universalmente. Le entità non-quantificabili e non-misurabili sono ancora sostanzialmente negate.
Vediamo qualcosa del nuovo paradigma sistemico-olistico che si prospetta attualmente. Se non si può “spezzettare”, e neppure fare “riduzioni al semplice”, né considerare le variabili come indipendenti, dato che le retroazioni sono numerosissime e intercollegate, riesce molto difficile in pratica trattare qualunque problema. Bisognerà comunque semplificare qualcosa, ma ogni sistema deve essere considerato come un sottosistema di quello totale, in realtà indivisibile. Nei sistemi complessi esiste sempre un limite temporale oltre il quale non è possibile fare alcuna previsione, neanche in linea teorica. Questo significa che, da un certo punto in poi (cioè dopo un tempo finito), il sistema prende una via completamente imprevedibile sulla base dell’andamento precedente: in altre parole, si manifesta una scelta, cioè un aspetto mentale. Gli scienziati-filosofi materialisti-meccanicisti se la cavano attribuendo al caso l’andamento dopo la biforcazione, ma la parola caso è semplicemente un’etichetta messa a tutto ciò che non sappiamo.
Si noti che, comunque, anche senza considerare le implicazioni mentali, i ragionamenti sul paradigma sistemico-olistico e sulla falsificazione di quello cartesiano-newtoniano restano validi.
La fisica quantistica e l’Oriente
Vediamo alcuni degli aspetti principali:
- L’indeterminazione e la conseguente scomparsa della separazione mente-materia
Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg formulò per la prima volta il principio di indeterminazione, poi inquadrato da Niels Bohr nell’interpretazione di Copenhagen. E’ impossibile, anche in linea teorica, separare il fenomeno dall’osservazione. Come dire, è impossibile distinguere la mente dalla materia. Ovvero, senza una forma “mentale”, non si può parlare di alcunché. Con una concisa estensione, ciò significa che lo psichismo (la mente) deve essere ovunque. Altrimenti, quali sono i sistemi con lo status di “osservatore”? Gli sviluppi successivi hanno rafforzato la fusione mente-materia estendendola praticamente a tutto l’universale. Quindi non c’è più un ente energia-materia e una mente che lo osserva, ma un Ente ternario Mente-Energia-Materia in continuo mutamento: assomiglia molto all’ente ternario Brahma–Shiva-Visnù dell’antica tradizione dell’India. Shiva, il danzatore cosmico, è l’Energia che oscilla continuamente fra la Mente (Brahma) e la materia “resistente” (Visnù).
- Il vuoto quantistico
L’indeterminazione applicata al binomio massa-tempo (o energia-tempo) ha portato a formulare il concetto di vuoto quantistico: non esiste alcuna particella né entità stabile, c’è solo una specie di Vacuità creativa, una danza di energie che continuamente nascono nell’Essere e svaniscono nel Nulla. Il dualismo vuoto-pieno è scomparso: A e non-A possono coesistere. Non c’è alcun “mattone fondamentale” della materia.
Questo significa la fine dell’idea che il mondo materiale sia costituito di “particelle” e di “vuoto”, concezione che era in sostanza ancora quella di Democrito. Al suo posto è subentrata un’idea di vuoto-pieno pulsante, una Vacuità creativa, del tutto equivalente alla sunyata del Buddhismo.
Qualunque fenomeno avvenga nel vuoto quantistico, è possibile “prendere a prestito” energia dal vuoto purché il prestito abbia durata molto breve: tanto più è grande l’energia (o la massa) temporaneamente “nata dal nulla”, tanto più è piccola la durata del prestito e urgente la sua “restituzione” al vuoto. Così è pure possibile far sparire nel vuoto una massa-energia pur di farla ricomparire prima della scadenza del tempo assegnato (indeterminazione del tempo).
- L’entanglement (azioni non-locali)
Vediamo un'altra conseguenza della fisica quantistica: le particelle-onde che si separano da un unico punto (cioè hanno avuto qualche contatto) restano indissolubilmente legate, dato che l’“osservazione” anche di una sola di esse influenza istantaneamente il comportamento delle altre, a qualunque distanza si trovino (entanglement).
Questo porta alla considerazione che nulla è separabile nell’Universo e ogni processo (o “oggetto”) ha influenza su qualsiasi altro, a qualunque distanza spaziotemporale si trovi. Ciò significa che tutto è collegato a tutto, in modo istantaneo, cioè che non è possibile isolare alcun fenomeno. Questo corrisponde all’affermazione Tutto è Brahman o Tutto è Uno propria della filosofia indù.
Come si è accennato, nella seconda metà del Novecento lo studio della dinamica dei sistemi ha portato al concetto di sistema complesso: un sistema con un certo grado di complessità ha una evoluzione non prevedibile, dopo un tempo finito, neanche in termini probabilistici. Nel sistema complesso si manifestano fenomeni mentali (le scelte dopo ogni biforcazione-instabilità). ((*) Con una grossolana semplificazione, una biforcazione-instabilità nell’andamento di un sistema si può paragonare alla posizione di equilibrio instabile di un pendolo con l’asta rigida e il peso in alto. Può “scegliere” se cadere da una parte o dall’altra con uguali probabilità).
La Mente è ovunque. Mente non vuol dire necessariamente coscienza.
Secondo i cosmologi inglesi James Jeans e Arthur Eddington (prima metà del ventesimo secolo): “L’universo assomiglia molto più a un grande Pensiero che a una grande Macchina”.
- L’evoluzione dei sistemi complessi
Cosa si può dire sul problema del libero arbitrio? L’idea tradizionale dell’Occidente, propria delle istituzioni religiose nate nell’area medio-orientale e di una corrente della scienza, è che l’uomo sia dotato di libero arbitrio, mentre il resto del mondo naturale (compresi tutti gli altri animali!) sarebbe soggetto alle rigide leggi fisiche. Un’altra corrente della scienza “ottocentesca” (il determinismo) non lascia alcuna libertà a nessuno, come si deduce da questa affermazione di Laplace (1749-1827):
Un’intelligenza che conoscesse, in ogni istante di tempo dato, tutte le forze agenti in natura, oltre alle posizioni momentanee di tutte le cose che compongono l’universo, sarebbe in grado di comprendere in una singola formula i moti dei corpi più grandi del mondo e quelli degli atomi più piccoli, purché fosse abbastanza potente da sottoporre tutti i dati ad analisi; per essa niente sarebbe incerto, e tanto il futuro quanto il passato sarebbero presenti dinanzi ai suoi occhi.
Oggi si tratta di posizioni insostenibili, anche se l’affermazione di Laplace piace ancora a molti scienziati meccanicisti, spesso in modo non del tutto cosciente.
Secondo una corrente attuale del pensiero scientifico-filosofico c’è qualche segno di libertà in tutti i processi naturali: ci sarebbe un po’ di libero arbitrio ovunque. Ogni processo, ogni sistema complesso, ha un suo grado di libertà, potendo scegliere la via da prendere ad ogni biforcazione-instabilità. Il fatto di attribuire “al caso” la via presa dal sistema dopo la biforcazione o “a una libera scelta” quando c’è di mezzo il cervello umano, è soltanto un pregiudizio culturale.
“Non danneggiare alcun essere senziente” è una delle prescrizioni del Buddhismo Mahayana: si può intendere come “essere senziente” una unità mentale anche collettiva. Anziché il termine mente, forse sarebbe meglio usare, con Jung, la parola psiche per ricordare chiaramente che non si tratta solo della parte cosciente, ma soprattutto di “inconscio più coscienza”, in cui il primo è preponderante. Non si intende insomma il concetto restrittivo proprio del pensiero corrente dell’Occidente moderno. Sono dotati di mente o psichismo un ecosistema, una specie, una collettività di viventi legati da relazioni di reciprocità o simbiosi multipla.
Per un confronto con le concezioni orientali, l’unità mentale coincide con l’entità soggetto-oggetto del karma: non si tratta soltanto dell’individuo in senso fisico o meccanicista. I Complessi di Viventi costituiscono, con le loro interrelazioni, fenomeni e soggetti mentali.
La legge del karma assomiglia molto a una via di mezzo fra predestinazione e libero arbitrio: c’è qualche libertà in ogni sistema complesso, però il sistema deve seguire il suo karma, non vi si può sottrarre: è il frutto delle sue azioni.
I dogmi da superare
Vale la pena riassumere i dieci punti messi in rilievo dallo scienziato-biologo inglese Rupert Sheldrake, con la speranza di pervenire a una scienza che non abbia più premesse dogmatiche.
Le dieci illusioni, o dogmi, o errori, della scienza meccanicista, sono:
- La Natura si comporta come una macchina;
- Il complesso energia-materia è rimasto costante da sempre e per sempre;
- Le leggi della Natura restano invariate;
- La materia non ha alcun genere di coscienza;
- La Natura non ha alcuno scopo, né obiettivo;
- Tutta l’eredità biologica è trasmessa nella materia;
- Tutto ciò che è nella memoria è registrato come tracce materiali;
- La mente è un prodotto soltanto del cervello;
- I fenomeni psichici sono illusioni;
- La medicina materiale meccanicista è l’unica che funziona veramente.
(da Sheldrake Rupert - Le dieci illusioni della scienza- Apogeo Urra, 2013)
La scienza ufficiale semplicemente nega i fatti che contraddicono questi dogmi, alla faccia del metodo scientifico.
Citazioni da Oriente e Occidente
La mentalità cinese antica contempla l’Universo in maniera paragonabile a quella del fisico moderno, il quale non può negare che il suo modello dell’Universo è una struttura decisamente psicofisica. Carl Gustav Jung – Prefazione all’I King
In contrasto con la concezione meccanicistica cartesiana del mondo, la visione del mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata con parole come organica, olistica ed ecologica. Essa potrebbe essere designata anche come una visione sistemica, nel senso della teoria generale dei sistemi. L’universo non è visto più come una macchina composta da una moltitudine di oggetti, ma deve essere raffigurato come un tutto indivisibile, dinamico, le cui parti sono essenzialmente interconnesse e possono essere intese solo come strutture di un processo cosmico. Fritjof Capra - Il punto di svolta - Ed. Feltrinelli, 1984
La biodiversità e la meravigliosa bellezza biologica giocano in favore di un disegno metafisico nell’evoluzione della vita. Lungi dall’essere in linea con l’ideologia del creazionismo, il riconoscimento di un disegno metafisico in natura è in linea con il punto di vista dell’evoluzione, ma non con la sua deriva determinista, o meglio, in linea con il punto di vista di una “evoluzione senza fondamenti” nella quale libero arbitrio, scelte e caso giocano un intergioco complesso e meraviglioso. Enzo Tiezzi-Verso una fisica evolutiva – Ed. Donzelli, 2006
“Maestro, la legge del karma ammette eccezioni?” Rispose l’Illuminato: “La legge del karma è inesorabile: Qualunque cosa tu faccia, dovunque tu vada, nelle profondità del mare o nei crepacci delle montagne, non puoi sfuggire alla conseguenza delle tue azioni”. Siddharta Gautama, detto il Buddha
Secondo Bateson la mente è una conseguenza necessaria e inevitabile di una certa complessità, la quale ha inizio molto tempo prima che degli organismi viventi sviluppino un cervello e un sistema nervoso superiore. Egli sottolineò anche che caratteristiche mentali sono manifeste non solo in singoli organismi, ma anche in sistemi sociali e in ecosistemi, che la mente è immanente non solo nel corpo ma anche nelle vie e nei messaggi fuori dal corpo. Una mente senza un sistema nervoso? La mente si manifesterebbe in tutti i sistemi che soddisfano certi criteri? La mente sarebbe immanente in vie e messaggi fuori dal corpo? Queste idee erano così nuove per me che, a tutta prima, non riuscii a dar loro un senso. La nozione di mente di Bateson non sembrava aver nulla a che fare con le cose da me associate alla parola “mente”. Fritjof Capra - Verso una nuova saggezza - Feltrinelli, 1988
Credo che vi sia un’Intelligenza nell’Universo. Badi, ho detto nell’Universo. L’idea giudaico-cristiana è quella di un Dio che, dal di fuori, fabbrica l’Universo come si fabbrica un oggetto in uno stabilimento. E’ un’idea che non mi attira. Io penso che l’Intelligenza sia nell’Universo. Che sia l’Universo. Fred Hoyle
Questa sostanza immateriale e priva di forma contiene funzioni innumerevoli come le sabbie del Gange, funzioni che corrispondono infallibilmente alle circostanze, cosicché è descritta come non-vuota. L’insegnamento Zen di Hui Hai - Ubaldini, 1977
O Sariputra, la forma è vacuità e la vacuità è forma. La vacuità non differisce dalla forma, la forma non differisce dalla vacuità. Qualunque cosa sia forma, quella è vacuità; qualunque cosa sia vacuità, quella è forma. Prajnaparamita Hrdaya (Sutra del Cuore)
Oggi c’è una concordanza di vedute molto vasta – che tra i fisici raggiunge quasi l’unanimità – sul fatto che la corrente delle conoscenze si sta dirigendo verso una realtà non meccanica: l’Universo comincia ad assomigliare ad un grande Pensiero piuttosto che ad una grande macchina. James Jeans – I nuovi orizzonti della scienza – Ed. Sansoni
Un’affermazione analoga è stata espressa anche dal fisico inglese Arthur Stanley Eddington ed è riportata in numerose pubblicazioni.
Il problema è la visione del mondo meccanicistica che, malgrado tutto, risulta purtroppo ancora imperante. Dalla nuova Fisica non emerge una visione del mondo come costituito da oggetti separati che interagiscono urtandosi più o meno forte, ma una visione del mondo, invece, che scopre come grazie alla “sintonia” e all’interrelazione, alla cooperazione, si possano “evocare”, quasi magicamente, correlazioni inusitate, potenzialità finora inimmaginabili. Roberto Germano - Fusione fredda - Ed. Bibliopolis, 2000
Nel nuovo paradigma il rapporto fra le parti e il tutto è invertito. Le proprietà delle parti possono essere comprese solo alla luce della dinamica dell’intero. In definitiva, le parti non esistono. Ciò che chiamiamo parte è solo una configurazione in una rete inseparabile di relazioni. Fritjof Capra
Da antichi testi indiani: “Ogni anima va rispettata e per anima si intende ogni ordine, ogni vitalità che la sostanza possa assumere: il vento è un’anima che si imprime nell’aria, il fiume un’anima che prende l’acqua, la fiaccola un’anima nel fuoco, tutto questo non si deve turbare”. In uno dei sutra si loda chi non reca male al vento perché mostra di conoscere il dolore delle cose viventi e si aggiunge che far danno alla terra è come colpire e mutilare un vivente.
Nel buddhismo è decisamente basilare la dottrina anatta, secondo la quale non vi è alcuna anima o sé individuale e permanente. A mio modo di vedere, essa non esclude un qualcosa di impermanente e in costante mutamento che potrebbe corrispondere a un concetto occidentale di anima a livello collettivo: un’empatia collettivamente condivisa con gli altri esseri senzienti ovunque essi siano e in tutti gli spazi. Ciò che viene messo fuori gioco è la forte enfasi che l’Occidente pone sull’individualismo, e sul sé individuale come qualcosa di unico, specifico e separato, garanzia di “vita eterna”, cioè di permanenza. La dottrina anatta sicuramente non esclude un sentimento di unità transpersonale con tutti gli umani e con gli altri esseri senzienti ovunque si trovino, attraverso ogni tipo di confini (di età, genere e razza, nazione e classe) e con la natura, e non necessariamente solo con la biosfera, né soltanto con gli animali.
……La dottrina anatta è orientata e orienta verso un livello molto alto di empatia con ogni essere vivente del passato, del presente e del futuro, e addirittura intende l’unità come qualcosa di immanente. Ciò che è in me è in ognuno e ciò che è in ognuno è in me. “Io” sono un processo, contiguo ad altri processi - nelle menti, nei corpi e nella materia, ovunque, nel passato, nel presente e nel futuro - che mi condizionano e che io a mia volta condiziono.
Il principio anatta esclude i confini, opponendosi alla frammentazione e unendo gli individui che altrimenti possono essere contrapposti gli uni agli altri in una lotta competitiva per l’attenzione e la grazia di un Dio trascendente che ogni individuo vede a suo modo; lotta che viene trasferita su questioni molto più secolari - come il nazionalismo, il capitalismo, il socialismo - se/quando Dio comincia a svanire. Un fenomeno, questo, fin troppo ben conosciuto nel mondo “cristiano”. I comuni cristiani e altri teisti cercano l’unione a livello superiore, cioè con Dio; i buddhisti cercano di svelare una unità che è già qui con gli altri, nello spazio e nel tempo. La tradizione giudaico-cristiana può dividere. Il buddhismo, per via del principio anatta, può soltanto unire.
.... La generale tendenza occidentale è di vedere le relazioni in modo competitivo, nella forma “io vinco, tu perdi”, o viceversa. Nel Buddhismo c’è una forte enfasi sulla possibilità di crescere insieme, ed anche di declinare insieme, per via dei legami di ogni individuo con l’altro. Ciò che importa è la rete degli individui, più che gli individui stessi; la relazione, più che gli elementi collegati; l’intreccio, più che i nodi.
Johan Galtung - Buddhismo. Una via per la pace - Ed. Gruppo Abele, 1994
L’esistenza delle esperienze transpersonali viola alcuni dei presupposti e principi più basilari della scienza meccanicistica. Esse implicano concetti apparentemente assurdi, quali la natura arbitraria e relativa di tutte le barriere fisiche, le connessioni dell’universo di natura non spaziale, la comunicazione tramite mezzi e canali ignoti, la memoria senza substrato materiale, la non linearità del tempo, o la coscienza associata a tutte le forme di vita (compresi gli organismi unicellulari e le piante) e persino alla materia inorganica.
Stanislav Grof – Oltre il cervello – Ed. Cittadella, Assisi, 1988
Conclusioni
La scienza ufficiale ha accettato la relatività ma non ha ancora assimilato completamente la fisica quantistica: lo stesso Einstein l’ha sempre rifiutata.
Non si vuole ammettere che anche le leggi fisiche possano essere variabili e gli eventi non totalmente prevedibili. Inoltre si vuole continuare a credere, anche in buona fede, che esiste una realtà indipendente e oggettiva che è lì da sempre in attesa di essere finalmente “scoperta”. Questo è il paradigma cartesiano-newtoniano, che è stato falsificato.
Ma perché non possono esserci posizioni intermedie fra i dualismi dell’Occidente, le sue opposizioni irriducibili (mente-materia, Dio-mondo, umanità-animalità, esistenza-non esistenza, vuoto-pieno, ecc.)? Inoltre, l’ipotesi che le leggi fisiche e le cosiddette costanti universali (velocità della luce, costante di gravitazione, costante di Planck, e così via) restino invariate per sempre, è una semplice ipotesi non dimostrabile. Dovremmo lasciar variare anche loro, come tutto il fluire del mondo.
Tanti scienziati, anche conoscitori delle "novità" dei quanti, fanno una gran fatica ad accettarne le conseguenze filosofiche. Forse ciò è dovuto al fatto che le prime nozioni di fisica, in età scolare (14-18 anni) vengono ancora insegnate partendo dalla meccanica di Newton, senza commenti né premesse a monte. Poi riesce difficile liberarsi da quel paradigma iniziale. Ma il vuoto quantistico assomiglia straordinariamente alla sunyata del Buddhismo.
Personalmente, mi trovo benissimo a pensare che l'universale non sia costituito da "particelle" e "vuoto", ma da una Vacuità creativa in perenne mutamento, una danza di energie (psicofisiche) che continuamente nascono nell'Essere e svaniscono nel Nulla. Non c'è alcuna entità stabile né "separata".
Il persistente vecchio paradigma cartesiano-newtoniano ci ha portato all’attuale dramma ecologico e alla distruzione della Vita. Invece il filone di pensiero che abbiamo seguìto ci fa ritrovare in un mondo naturale fatto di entità senza alcun confine preciso, dove si scopre lo spirito dell’albero, della montagna, del torrente.