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La retorica della condanna della violenza

di Alessandro Di Battista - 07/04/2021

La retorica della condanna della violenza

Fonte: Alessandro Di Battista

Sopra lo “sciamano” di Montecitorio, inquadrato, intervistato e oggi protagonista assoluto della prima pagina di La Repubblica, gruppo Gedi (gli Elkann per intenderci), ovvero il gruppo editoriale che più di ogni altro si è battuto perché arrivasse Draghi, il prodigioso. Sotto gli ambulanti che hanno bloccato l'A1 e che, semplicemente, non ce la fanno più.
La disperazione esiste ed è molto più diffusa di quel che si immagina. Andrebbe quantomeno mostrata, non demonizzata, né tantomeno politicizzata. Sbattere il “mostro” in prima pagina non serve a nulla.
La retorica della condanna della violenza è stomachevole in assenza di una reale ed empatica comprensione. Ieri, in piazza, davanti a Montecitorio vi era di tutto, anche qualche dozzina di braccia tese ma nel Paese reale le braccia tese sono oggi milioni e chi le tende lo fa per chiedere aiuto e, in taluni casi, addirittura un pasto.
Proprio ieri, durante lo “Sciamano-day”, l'Istat faceva in conti: 1 milione di disoccupati in più nell'ultimo anno e 700.000 cittadini che non cercano più un impiego. Oltretutto con il blocco dei licenziamenti ancora in vigore.
Tutti condannano le violenze ma non tutti hanno il culo al caldo. E questo è un dato incontrovertibile. Come è incontrovertibile il fatto che, ad oggi, il governo dei migliori non abbia trovato un solo euro per sostenere quegli ultimi che saranno i primi, ad infuriarsi. La violenza va sì condannata ma andrebbe anche prevenuta. La si può prevenire con un'empatia della quale la classe dirigente sembra sprovvista, con la rapidità ed il coraggio per chi ricopre incarichi pubblici, con un nuovo scostamento di bilancio dedicato, soprattutto, alle partite IVA (partendo dai più piccoli, vittime sacrificali anche prima della pandemia) e, magari, con piccoli esempi di condivisione del disagio.
Rinunciare ad uno o più stipendi per chi ha l'onere e l'onore di rappresentare la Nazione è un gesto molto più importante di quel che si possa immaginare. Così come donare (o sarebbe meglio dire restituire) il TFR, l'assegno di fine mandato che ciascun parlamentare della repubblica ha maturato fino ad oggi. “Populista” mi sento dire da qualcuno che un tempo un certo populismo, giustamente, difendeva. Gli esempi sono importanti, così come la comprensione.
In molti si sono scandalizzati per i tafferugli di ieri. Tafferugli che, grazie a Dio, non hanno prodotto morti. La stessa cosa non si può dire, ahimè, della crisi economica, sociale e psicologica che stanno vivendo milioni di italiani e non. Sì perché manifestazioni come quella di ieri o addirittura infinitamente più brutali di quella di ieri, si sono registrate in ogni angolo del pianeta. La rabbia sociale va ascoltata perché la disapprovazione dall'alto di erre mosce, naturali o artefatte che siano, non serve a nessuno. Non serve a chi la rabbia la prova né a chi tenta, per 1300 euro al mese, di contenerla.
Mai soffiare sul fuoco ma mai sperare che siano gli appelli al bon-ton a spegnerlo. Perché è un'illusione e se ad illudersi sono coloro che hanno illuso con piani vaccinali ancora in alto mare, con previsioni mai realizzate o con la promessa che il Messia ed i nuovi apostoli del governo avrebbero cambiato marcia, beh allora siamo nei guai.
Perdonate la blasfemia ma la realtà è questa: o si trovano rapidamente altre decine di miliardi di euro per dare una mano ad una serie di categorie arrivate al limite o qualcuno, oltre alle mascherine contro il covid, dovrà metter su un passamontagna per non farsi riconoscere.