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La vergognosa epurazione del collega Marco Gervasoni

di Alessandro Campi - 21/09/2019

La vergognosa epurazione del collega Marco Gervasoni

Fonte: Alessandro Campi

Leggo dell'allontanamento coatto dalla Luiss di Marco Gervasoni, mio collega e amico, a causa delle sue posizioni in materia d'immigrazione. Se vera la notizia nei termini in cui è stata riportata, in attesa che l'università della Confindustria dia la sua versione, si tratta di una vicenda v-e-r-g-o-g-n-o-s-a, di un autentico attentato alla libertà intellettuale e di pensiero (tragicamente paradossale visto che stiamo parlando di un ateneo che si picca del titolo di liberale e dove hanno insegnato Maestri della 'società aperta' quali Dario Antiseri o Luciano Pellicani).
La mia impressione è che non si tratti più nemmeno di censura, intolleranza o repressione del dissenso, ma di qualcosa di più sottile e grave: del prevalere del conformismo, dunque dell'uniformità delle idee, rispetto a qualunque pluralismo. Il mondo della cultura, a partire da quella accademica, cresce attraverso il confronto - anche aspro - tra posizioni differenti e distanti. L'esistenza di un mainstream politico-intellettuale al quale tutti debbano attenersi, pena l'espulsione dal consorzio civile e dalla sfera pubblica, mi fa davvero orrore. Oltre al piccolo particolare che le posizioni conformi al sentimento dominante sono anche spesso quelle più
inutili e noiose. Personalmente ho sempre preferito le riflessioni eccentriche, solitarie, marginali e controcorrente, purché ovviamente sostenute dalla capacità di argomentare (il non-conformismo che è solo provocatorio lo trovo infatti egualmente inutile e noioso).
Dunque, massima solidarietà a Gervasoni. Ciò detto, proprio perché gli sono amico, vorrei anche dire che chi fa il 'mestiere' del professore e dell'intellettuale pubblico ha anche precisi doveri. Deve porsi, appunto pubblicamente, in modo diverso da un politico a caccia di consensi o da un qualunque smanettatore sui social. Che sono (anzi, possono essere) un utile strumento per comunicare e dibattere, ma non è per niente detto che debbano essere impiegati come un megafono per pensieri da bar o per improperi politici. Non è ovviamente questo il caso di Marco, ma lui sa bene, per averne parlato insieme, che il suo modo di interloquire e di prendere posizione attraverso i social mi ha spesso trovato dissenziente e perplesso: non rende peraltro giustizia alla sua intelligenza e alla sua capacità d'argomentare e pensare sui temi della storia e della politica. Lui mi risponde che i social possono essere utilizzati proficuamente solo adottantone lo stile: brutale, secco, immediato, tranchant. Altrimenti nessuno ti legge e non sei efficace (da qui ad esempio l'inutilità di questo mio post). Io penso al contrario che i social vadano governati e utilizzati con critica ragionevolezza per evitare che la semplificazione diventi banizzazione e che la radicalita del pensiero (cosa buona) diventi estemismo politico (cosa pessima). Non fosse altro - lo dico al conservatore e sovranista Gervasoni - per non mettersi al livello di quella sciatta pseudo-intellettualità di sinistra, compiaciuta del suo progressismo e dal cavalcare sempre l'onda della storia, che appunto spesso impazza sui social con le sue 'provocazioni' da pedagoghi e moralisti del nulla. A destra, come mi hanno insegnato i miei mentori intellettuali, lo stile viene prima d'ogni altra cosa. Sei Marco Gervasoni, uno storico originale e di vaglia, mica lo Chef Rubio o qualche altro dei maestrini del pensiero politicamente giusto e alla moda.