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Lettera ai bambini di Gaza

di Chris Hedges - 12/11/2023

Lettera ai bambini di Gaza

Fonte: Come Don Chisciotte

Cari bambini, è mezzanotte passata. Sto volando a centinaia di chilometri all’ora nell’oscurità, a migliaia di metri sopra l’Oceano Atlantico. Sto viaggiando verso l’Egitto. Andrò al confine con Gaza, a Rafah. Faccio questo viaggio per voi.

Non siete mai saliti su un aereo. Non avete mai lasciato Gaza. Conoscete solo le strade e i vicoli fitti, le baracche di cemento. Conoscete solo le barriere di sicurezza e le recinzioni pattugliate dai soldati che circondano Gaza. Gli aerei, per voi, sono terrificanti: jet da combattimento, elicotteri d’attacco, droni. Girano sopra di voi, sganciano missili e bombe. Esplosioni assordanti che fanno tremare la terra, cadere gli edifici. I morti. Le urla. Le richieste di aiuto soffocate da sotto le macerie. Non si ferma mai, notte e giorno. Intrappolati sotto i cumuli di cemento frantumato, voi, i vostri compagni di gioco, i vostri compagni di scuola, i vostri vicini di casa. Spariti in pochi secondi. Facce bianche come il gesso quando i corpi flaccidi vengono tirati fuori. Io sono un giornalista. È il mio lavoro vedere questo. Voi siete bambini, non dovreste mai vederlo.

Il fetore della morte, dei cadaveri in decomposizione sotto il cemento frantumato. Trattenete il respiro e vi coprite la bocca con un panno. Camminate più velocemente, il vostro quartiere è diventato un cimitero. Tutto ciò che era familiare è scomparso. Vi guardate attorno con stupore e vi chiedete dove siete.

Avete paura. Esplosione dopo esplosione. Piangete. Vi aggrappate a vostra madre o a vostro padre. Vi tappate le orecchie. Vedete la luce bianca del missile e aspettate l’esplosione. Perché uccidono i bambini? Che cosa avete fatto? Perché nessuno vi protegge? Sarete feriti? Perderete una gamba o un braccio? Diventerete ciechi o resterete su una sedia a rotelle? Perché siete nati? Era per qualcosa di buono? O per questo? Crescerete? Sarete felici? E come sarà senza i vostri amici? Chi sarà il prossimo a morire? Vostra madre? Vostro padre? I vostri fratelli e sorelle? Qualcuno che conoscete sarà ferito. Tra poco. Qualcuno che conoscete morirà. Tra poco.

Di notte vi sdraiate al buio sul freddo pavimento di cemento. I telefoni sono staccati, Internet è spento. Non sapete cosa stia succedendo. E ancora lampi di luce, ancora ondate di esplosioni…, e urla, urla…, non si ferma.

Quando vostro padre o vostra madre vanno in cerca di cibo o acqua, voi aspettate, con quella terribile sensazione nello stomaco. Torneranno? Li rivedrete? La vostra piccola casa sarà la prossima? Le bombe vi troveranno? Sono questi i vostri ultimi momenti sulla terra?

E bevete acqua sporca e salata…, vi fa stare molto male. Lo stomaco fa male. Avete fame e le panetterie sono distrutte. Non c’è pane. Si mangia una volta al giorno. Pasta. Un cetriolo. Presto questo sembrerà un banchetto.

Non si gioca con il pallone fatto di stracci. Non volano i vostri aquiloni fatti di vecchi giornali.

Avete visto i giornalisti stranieri. Indossiamo giubbotti antiproiettile con la scritta PRESS. Abbiamo elmetti. Abbiamo macchine fotografiche. Guidiamo jeep. Ci presentiamo dopo un bombardamento o una sparatoria. Ci sediamo a lungo davanti a un caffè e parliamo con gli adulti. Poi scompariamo. Di solito non intervistiamo i bambini. Ma ho fatto interviste quando gruppi di voi si sono affollati intorno a noi. Ridendo. Indicando. Chiedendoci di farvi una foto.

Sono stato bombardato dai jet a Gaza. Sono stato bombardato in altre guerre, guerre che sono avvenute prima che voi nasceste. Anch’io ho avuto molta, molta paura. Ho ancora gli incubi. Quando vedo le immagini di Gaza, queste guerre mi tornano in mente con la forza dei tuoni e dei lampi. Penso a voi.

Tutti noi che siamo stati in guerra odiamo la guerra, soprattutto per quello che fa ai bambini.

Ho cercato di raccontare la vostra storia. Ho cercato di dire al mondo che quando si è crudeli con le persone, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando si nega alle persone la libertà e la dignità, quando le si umilia e le si intrappola in una prigione a cielo aperto, quando le si uccide come se fossero bestie, le persone si incattiviscono…, e finiranno per fare agli altri quello che è stato fatto a loro. L’ho ripetuto più volte. L’ho detto per sette anni. Pochi mi hanno ascoltato. E ora tutto questo.

Ci sono giornalisti palestinesi molto coraggiosi. Trentanove di loro sono stati uccisi dall’inizio di questo bombardamento. Sono degli eroi. Lo sono anche i medici e gli infermieri dei vostri ospedali. Così come gli operatori delle Nazioni Unite. Ottantanove di loro sono morti. Così come gli autisti delle ambulanze e i medici. Così come le squadre di soccorso che sollevano le lastre di cemento con le mani. Così come le madri e i padri che vi proteggono dalle bombe.

Ma noi non ci siamo. Non questa volta. Non possiamo entrare. Siamo chiusi fuori.

Giornalisti di tutto il mondo si stanno recando al valico di frontiera di Rafah. Ci andiamo perché non possiamo assistere a questo massacro senza fare nulla. Andiamo perché ogni giorno muoiono centinaia di persone, tra cui 160 bambini. Andiamo perché questo genocidio deve finire. Andiamo perché abbiamo dei figli. Come voi. Preziosi. Innocenti. Amati. Andiamo perché vogliamo che viviate.

Spero che un giorno ci incontreremo. Voi sarete adulti, Io sarò un uomo anziano, anche se per voi sono già molto vecchio. Nel mio sogno con voi vi troverò liberi, sicuri, felici. Nessuno cercherà di uccidervi. Volerete su aerei pieni di persone, non di bombe. Non sarete prigionieri in un campo di concentramento. Vedrete il mondo. Crescerete e avrete dei figli. Diventerete vecchi. Vi ricorderete di questa sofferenza, ma saprete che significa che dovete aiutare gli altri che soffrono. Questa è la mia speranza. La mia preghiera.

Vi abbiamo deluso. Questa è la terribile colpa che portiamo con noi. Ci abbiamo provato. Ma non ci abbiamo provato abbastanza. Andremo a Rafah. Molti di noi. Giornalisti. Staremo davanti al confine con Gaza per protestare. Scriveremo e filmeremo. Questo è ciò che faremo. Non è molto. Ma è qualcosa. Racconteremo di nuovo la vostra storia.

Forse sarà sufficiente per guadagnarci il diritto di chiedere il vostro perdono.

 Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per 15 anni per il New York Times, periodo in cui è stato capo ufficio per il Medio Oriente e capo ufficio per i Balcani. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma “The Chris Hedges Report.”

 Link: https://chrishedges.substack.com/p/letter-to-the-children-of-gaza

 Scelto, tradotto e liberamente adattato (IMC) da CptHook per ComeDonChisciotte