Meno libri meno liberi
di Marcello Veneziani - 06/12/2025

Fonte: Marcello Veneziani
Escludere, eliminare, censurare, cacciare. Loro, proprio loro, gli inclusivi, gli accoglienti, i pacifisti, i libertari, i democratici. Un continuo ergersi a guardiani del mondo e giudici supremi e a dire: lui non può entrare, lui si, lui va espulso, non ha permesso di soggiorno ideologico, non gli va data la possibilità di parlare, di esprimere le sue idee; loro non possono venire qui, è inaudito che possa esprimere le proprie idee. Come se fosse casa loro e non di tutti. Si ritrovano in branco e le piccole miserie di ciascuno unendosi di ergono a tribunale della Ragione e del Progresso; si cercano, emettendo i richiami della tribù; poi quando riescono a far stormo e mandria vanno alla carica o in picchiata sugli obbiettivi mirati. Non pensate che la conventio ad excludendum si accanisca solo contro qualche casa editrice e qualche libro ritenuti fascisti, reazionari o estremisti, come è accaduto alla rassegna Più libri più liberi a Roma. No, la loro discriminazione si estende in realtà a tutti coloro che per proprietà transitiva o per semplificazione manichea vengono ritenuti prossimi al Modello Infame del Fascista e ai suoi infiniti paraggi. Persino ai militari è interdetto l’accesso al corso di filosofia in un ateneo pubblico solo perché portano una divisa. Per gli altri, basta che siano conservatori, amanti della Tradizione, revisionisti storici o credenti in quella infame trinità Dio, patria e famiglia; basta che abbiano un giudizio storico diverso sul fascismo e dintorni; o un giudizio morale e culturale divergente rispetto al catechismo woke, alle sue figure di riferimento e ai suoi santuari (migranti, femministe, lgbtq+) e scatta lo stesso cordone sanitario, così diversificato: vituperarli in coro se si mettono in luce e vanno in spazi istituzionali; ignorarli totalmente, fingere che non esistano, fino a negare la loro presenza, se non sono attaccabili, non sono vistosi e non accedono alle sedi istituzionali, che i censori considerano roba loro; usarli se invece si prestano a criticare la destra al potere, salvo gettarli dopo l’uso. Personalmente ho passato una vita su questa soglia tra porte chiuse, sbattute, socchiuse o rese inattraversabili; tra esclusioni, silenzi, discriminazioni, strumentalizzazioni, aperture a metà e inclusioni alternate a rifiuti e disprezzo. Salvo qualche dialogo fuori dagli schemi e dai divieti. L’altro giorno, per esempio, ho dialogato sul mio libro su Marx e Nietzsche, invitato all’Istituto di studi filosofici di Napoli, con Roberto Esposito e Geminello Preterossi, due studiosi nettamente di sinistra ma menti libere e oneste, capaci di confronto; dei loro libri mi ero occupato (ma a sinistra non capita l’inverso). Però quell’incontro è stato preceduto da una pioggia sui social di insulti rivolti a me e a chi si sporcava a dialogare con me, richieste di veti e censure. Per loro con la mia presenza partiva l’occupazione squadrista di una sede prestigiosa. La motivazione è sempre una: è un fascista. In realtà ho “solo” un giudizio storico e culturale diverso, anche su quel tema. Mai uno dei detrattori che abbia letto davvero un mio libro e ne ricavi poi un giudizio argomentato. Solo pre-giudizi, insulti a priori, vomiti di odio ad personam e censure. Menti piccole e meschine, cervelli storti e malcavati, miserabili, inaciditi e in fondo vigliacchi, sempre in branco, si danno forza l’un l’altro; ma sono poi così diversi i plotoncini d’esecuzione d’intellettuali, scrittori, attori, politici, che firmano di continuo per escludere, eliminare, censurare, vietare, cacciare? No, sono gradazioni diverse di una stessa pasta, tra filistei, fanatici e mafiosi. La cultura è cosa nostra, giù le mani. Non ho mai letto richieste analoghe dal versante opposto, censure ed esclusioni verso autori, libri, editori, di sinistra, anche estrema o comunisti, anarchici e radicali; non ho mai visto loro conferenze interrotte o impedite, sedi istituzionali assaltate, eventi disturbati o avversati.
Proviamo allora a riassumere il catalogo dell’intolleranza in alcune tesi.
La prima: la violenza, l’intolleranza, lo spirito totalitario sono di chi vieta i libri e le idee e non di chi li pubblica o li fa circolare, anche i testi più discutibili o più radicali. La violenza nasce dall’ignoranza e da chi brucia i libri, non da chi li legge e li diffonde.
La seconda: impedire a chi non la pensa come loro di esprimere le proprie idee accomuna i violenti estremisti e radicali che lo fanno in modo aggressivo e urlante, ai filistei, i bigotti ipocriti e borghesi che chiedono divieti, leggi e censure preventive. Mutano i metodi, non gli scopi, e il desiderio di eliminare chi non la pensa come noi.
La terza: quei libri e quegli autori che suscitano scandalo sono in circolazione da decenni e in precedenza nessuno ha chiesto di cancellarli ed eliminarli; segno che il clima peggiora anziché migliorare col passare degli anni, l’allontanarsi di eventi nel passato sempre più remoto inasprisce i toni anziché svelenirli. E la stupidità intollerante avanza.
La quarta: il criterio di semplice buon senso, dell’omeopatia, ovvero di combattere le idee con le idee, i libri con i libri e le azioni violente con le sanzioni adeguate, fino al carcere e alla forza pubblica, è fuori uso: ci sono aggressioni che vengono viste con indulgenza e intima simpatia e ci sono opinioni che vengono punite come se fossero atti vandalici, violenze e annunci di stermini. Non c’è più l’elementare distinzione tra il pensare e l’agire, tra il dire e il fare.
Quinto: la madre di tutte queste intolleranze, sia violente sia normative, è nell’incapacità di far rientrare nella storia il passato intero e di giudicarlo con spirito critico. No, una fetta del passato è considerata sempre presente e un’altra è ormai rimossa. Una parte della storia rientra nella criminalità e un’altra no, per loro ci sono cause, attenuanti, situazioni temporali e condizioni psicologiche da considerare; una parte esce dalla storia per diventare male assoluto e perenne, e un’altra, invece, vi resta, incolume e obliata nei suoi lati peggiori. Di regimi totalitari, atti terroristici, deportazioni, stermini la storia è piena su più versanti ma per alcuni vale la giustificazione storica e il beneficio delle buone intenzioni, per altri invece resta la demonizzazione col relativo tribunale sempre in funzione. Il fascismo non è eterno, ma le pene infernali ai veri e presunti fascisti si.
Infine la domanda d’obbligo: è cambiato qualcosa da quando la destra è al governo? No, non è cambiato nulla. O per essere più precisi, qualcosa è cambiato: da una parte, obtorto collo, qualcuno si adegua alla mutata situazione o perlomeno finge; ma il più delle volte succede il contrario, si acuisce la rabbia e il livore da quando la destra è al governo, aumenta la ritorsione contro chi viene ritenuto, a torto o a proposito, rappresentante di quel mondo. E la destra politica se ne frega delle discriminazioni culturali e delle idee; salvo strepitare quando si sente essa stessa vittima di quella intolleranza. Il tempo passa e il clima è sempre più fetente e insopportabile. Finirà il nostro transito terrestre – siamo vecchi ormai – e non vedremo lo spiraglio di un riconoscimento onesto e verace della realtà dei fatti, della verità delle cose, dei meriti e dei demeriti, del valore effettivo e dello spessore autentico di opere, autori, pensieri e persone. Solo buio, astio, finzioni, silenzi, palloni gonfiati. Quando una civiltà scende a questo livello, smette di essere una civiltà e merita di finire. Finire male, come vive male, parla e pensa male. Peccato però che in quella civiltà ci siamo anche noi che subiamo quel male quotidiano.

