Merz, l’incubo tedesco e la pax americana finita
di Lucio Caracciolo - 28/12/2025

Fonte: La Repubblica
«Mi capita di svegliarmi la mattina e chiedermi se questo non sia solo un brutto sogno». Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha una qualità sempre più rara fra i politici: gli scappa di dire quel che pensa. Talvolta anche quel che pensano suoi colleghi meno imprudenti, come quando spiegò che Israele «sta facendo il lavoro sporco per noi». L’incubo che oggi lo tormenta è la fine della pax americana. Per lui l’Occidente, già regolatore del pianeta, è ridotto a espressione geografica. Quel che Merz non può né vuole ammettere è che la Germania ha perso il primato in Europa. Ma non per colpa sua.
Facile puntare il dito contro questa scialba figura, incapace di governare il suo stesso partito. Primo cancelliere che riesce a non farsi eleggere dal Parlamento al primo scrutinio, non ne ha azzeccata una, tanto che alcuni ne pronosticano la caduta anticipata. Primo cancelliere a essere sconfitto in un Consiglio europeo — già dominio di Angela Merkel — su una questione da lui battezzata decisiva per la «sovranità europea» quale l’uso dei fondi russi immobilizzati all’estero per aiutare l’Ucraina. Talmente debole nella sua Cdu da farsi bruciare il candidato alla presidenza della Fondazione Adenauer, molto più di un think tank di partito, sconfitto da Annegret Kramp-Karrenbauer, la donna che Merkel avrebbe voluto le succedesse alla cancelleria.
Merz è il dito. La luna è la fine degli ottant’anni di esenzione dalla storia della Germania. Perno della famiglia europea inquadrata nell’Alleanza atlantica a guida americana. Durante la guerra fredda, quale semiprotettorato a stelle e strisce all’insegna del motto «americani dentro, russi fuori e tedeschi sotto», nella non spontanea intesa franco-tedesca (“coppia” per i francesi, “amicizia” per i tedeschi).
Poi nei trentacinque anni di pseudo-unificazione tedesca, scambiata dai germanofobi per Grande Germania se non Quarto Reich, spesi da Berlino per affermarsi centrale nelle politiche europee, specie in ambito fiscale e monetario, ma senza bussola strategica. Approccio ben riassunto nel motto merkeliano «quando penso alla Germania penso a finestre ben chiuse».
Il sogno della Bundesrepublik vestita da Grande Svizzera è finito per sempre il 24 febbraio 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina. Tempesta che spalanca le finestre socchiuse fra Reno e Oder mentre illumina di luce sinistra un Paese anestetizzato dalla «fine della storia». L’allora cancelliere Olaf Scholz, che gareggia con Merz per il titolo di meno autorevole governante della storia tedesca, è lesto a proclamare la «svolta epocale» (Zeitenwende).
Tre anni dopo Merz, con il solito tatto, giura che farà della Bundeswehr l’esercito più potente d’Europa, mentre la questione della bomba atomica, “europea” o nazionale, anima il dibattito pubblico. Merz rilancia una sorta di “leva volontaria” — quando il mondo è sottosopra batte l’ora degli ossimori — per richiamare i refrattari al dovere di difendere la patria. Rieducazione da quasi zero, stante il grado di delegittimazione dello strumento militare nel Paese che perse due guerre mondiali si è imposto un pacifismo senza (quasi) se né ma.
Per Merz la Germania oggi «non è ancora in guerra ma non è più in pace». Dunque tra due sedie. Postura in sé scomoda. Angosciosa. Con la fine della pace sono cadute certezze e abitudini introiettate da tre generazioni di tedeschi: il benessere economico è minacciato dalla crisi dell’industria, specie l’automobilistica (non se ne esce in fretta e furia producendo panzer), dalla forzosa (vedi Nord Stream 2) rinuncia al gas russo e dalla perdita di quote importanti nel mercato cinese.
La transustanziazione da orgogliosa formica in cicala fiscale, sostenuta dai notevoli margini fiscali accumulati anche a spese dell’Eurozona, è il marchio del pragmatismo di una classe dirigente finora attenta a dipingere di vernice etica la sua politica economica. E segnala la difficoltà di adattare una leadership europea figlia del bel tempo alle tempeste d’acciaio.
Tradotta in italiano, questa è la fine del “vincolo esterno”, ossia della nostra fede nella volontà altrui di educarci alla virtù. La tentazione di galleggiare è forte. Peccato che la nostra barca non sia calafatata per queste onde.
