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Netanyahu rende Israele un ghetto emarginato da tutti

di Anna Foa - 28/09/2025

Netanyahu rende Israele un ghetto emarginato da tutti

Fonte: La Stampa

Il discorso del premier israeliano all’Onu, in un’aula semideserta dove la maggior parte dei delegati aveva in una fila ordinata e silenziosa abbandonato la sala, ben rappresenta l’isolamento raggiunto negli ultimi mesi da Israele in seguito alla politica del suo governo, segnando un confine mai raggiunto prima fra Israele e il resto del mondo, Europa compresa.
Ed è questa la novità rispetto a quando non molti mesi fa Netanyahu pronunciò all’Onu riunito in Assemblea quel suo discorso in cui affermava di trovarsi di fronte a una palude di antisemitismo. Ieri il ciclo si è compiuto: i Paesi europei che hanno riconosciuto lo Stato palestinese sono, per Bibi, tutti antisemiti. Si tratta di quell’Occidente che finora aveva mantenuto, sia pure a fatica e con molte critiche, i suoi legami con lo Stato nato nel 1948 dopo la tragedia tutta europea dello sterminio nazista degli ebrei. E dove il termine antisemita non è stato esplicitamente pronunciato dal premier israeliano, l’accusa di sostenere Hamas lo ha evocato direttamente. Un’Europa terrorista, fautrice di Hamas, antisemita dunque.
L’accusa di antisemitismo, che Israele sta rovesciando su quanti non condividono lo sterminio dei gazawi, l’attacco continuo ai palestinesi della Cisgiordania, la minaccia di annessione della stessa Cisgiordania, fa il paio con il rifiuto di riconoscere la realtà di Gaza: la fame non esiste e se esiste è frutto delle azioni di Hamas, ha detto Bibi davanti all’Assemblea dell’Onu. L’uccisione indiscriminata di civili è una bugia degli antisemiti, ha ribadito in risposta alle accuse di genocidio, come provano i proclami dell’esercito che invitano ad abbandonare le zone che l’esercito bombarda, come se quei civili avessero un posto dove andare, una strada da percorrere senza rischi, un luogo dove posare in sicurezza.
Quando ragionamenti simili sono stati applicati alla Shoah, quando alcuni hanno detto che i morti nei campi morivano di tifo, e che le camere a gas non esistevano, è stato per loro coniato il termine di negazionisti. Là si negavano le prove, qui, siccome le prove stanno nelle rovine di quelle città, nei cadaveri sepolti sotto le rovine, si negano le intenzioni; come può essere definito genocidio, quando si avvisa prima di sparare?
Finiremo il lavoro ha aggiunto il premier israeliano. Un lavoro che finora ha realizzato oltre sessantamila morti, in maggioranza civili, la distruzione della maggior parte della Striscia, ma non la distruzione di Hamas né la liberazione degli ostaggi, come ben sanno le loro famiglie che da due anni scendono in piazza per chiedere a Netanyahu di salvarli, molti dei quali assistevano a New York ad un discorso che ne rappresentava l’annuncio di morte. Qualche giorno fa soltanto, il più estremista dei ministri di Netanyahu, Bezalel Smotrich, quello che pensa che uccidendo i palestinesi si affretterà la venuta del Messia, si è proposto come boia per finire questo lavoro. E finito il lavoro, si proclamerà la grande Israele sulla terra promessa da Dio al suo popolo?
Piange il cuore nel vedere come si è ridotto il sionismo delle origini, che pure non è mai stato certo tutto rose e fiori, come la Nakba ben dimostra. Cosa hanno a che fare uomini come Netanyahu con i Martin Buber, i Gershom Scholem, con quanti alla nascita dello Stato sostenevano la necessità di una pacificazione con i palestinesi? Perfino Begin si è dimesso dopo il massacro di Sabra e Chatila, in cui pure gli israeliani non avevano agito in prima persona. Oggi si esalta a piene voci il massacro, non si prova vergogna di uccidere vecchi e bambini. E i giusti fra gli ebrei che vi si oppongono vengono dileggiati e minacciati. E il premier lo va a proclamare arrogantemente all’Assemblea generale dell’Onu, lo stesso organismo che nel 1947 ha votato la nascita di Israele. Tutto questo scava, ha ormai scavato, un solco profondissimo fra Israele e il resto del mondo. Questa la novità di queste ore, rappresentata dal discorso di un capo di Stato incriminato come criminale di guerra. E che fa macabramente riecheggiare dagli altoparlanti nella Gaza devastata il suo discorso di sfida all’Onu e di esaltazione della forza.
Tutta propaganda? Si interpreta. Un discorso rivolto a Trump da una parte, ai propri estremisti dall’altra. Forse, ma intanto i gazawi muoiono e Israele diventa un ghetto, chiuso al resto del mondo, con conseguenze inimmaginabili sulla sua democrazia interna. E ne escono anche annientati gli ebrei della diaspora, che nella grande maggioranza non hanno avuto il coraggio di opporsi a una politica che, fra le altre cose, negava tutto dell’ebraismo, della sua cultura, della sua storia. Per questo la morte annunciata dei palestinesi può diventare anche la fine del mondo ebraico, degli ebrei della diaspora come di quelli di Israele. Una fine che il discorso di Netanyahu all’Onu annuncia, per oggi o per domani.