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Noi e loro

di Daniele Perra - 18/05/2023

Noi e loro

Fonte: Daniele Perra

Generalmente, si è portati a ritenere le riduzioni agli schemi dicotomici democrazia/autoritarismo o libertà/oppressione, con i quali viene descritto il conflitto Ucraina - Russia, come un prodotto esclusivo della propaganda occidentale contemporanea. In realtà, si può affermare, senza timore di venire smentiti, che simili contrapposizioni fossero già presenti in alcune correnti storiografiche della Russia zarista. In particolare, l'etnografo Nikolaj Kostomarov (1817-1885) è stato autore di un importante saggio in cui vengono indicate due differenti nazionalità russe: la Russia settentrionale (o Grande Russia) e la Russia meridionale (Piccola Russia). Già membro della “società nazionale ucraina” Fratellanza di Cirillo e Metodio e profondo conoscitore del folklore slavo-orientale, Kostomarov affermava che le due Russie erano profondamente differenti nel carattere e nello spirito: alla tendenza autocratica e collettivista della Grande Russia faceva da contraltare quella più liberale e individualista della Piccola Russia. Non a caso, Kostomarov era profondamente interessato alle figure dei ribelli antizaristi come il cosacco Stepan Razn (1630-1671) che guidò una delle più importanti ribellioni contro la nobiltà e la burocrazia russe del XVII secolo nella regione del Don. Tuttavia, Kostomarov rimaneva profondamente influenzato dal panrussismo. La sua idea non era rivolta a separare le due Russie, ma semplicemente mirava a restituire a Kiev l'egemonia perduta nel corso del tempo a discapito di Mosca. Egli, infatti, intravedeva nel sistema delle assemblee popolari della Repubblica di Novgorod, della Rus' kievana ed anche dell'Etmanato dei cosacchi zaporoghi una forma in nuce di democrazia da porre in contrasto con la vecchia autocrazia del Granducato di Mosca. Certo, rimane da valutare quanto delle sue argomentazioni (che hanno conosciuto notevole fortuna) sia il prodotto di un processo di “romanticizzazione” della storia russa a fini ideologici e quanto il prodotto della concreta realtà storica. Infatti, sin dai tempi della Russkaya Pravda (resoconto storico delle norme legali della Rus' medievale antecedente al Libro di Kormachia, a sua volta costruito sul Nomocanon bizantino), il dominio del sovrano era assoluto. I privilegi erano da lui concessi come diritti esclusivi e come manifestazioni della sua misericordia alla pari di quanto avverrà con la trasfigurazione imperiale della Russia moscovita. Su queste basi, nell'Antica Rus' esisteva una certa divisione tra obiettivi dell'autorità politica e morale, i diversi bisogni di protezione della popolazione, e chi era responsabile delle rispettive funzioni affidate dal sovrano. Nello specifico, esisteva una sostanziale differenza tra i concetti verbali di “bliustisia” (con il significato di “custodire” nell'antico slavo ecclesiastico) e “okraniat” (che indica l'idea di “proteggere”). Il primo termine non indica “tutela” ma soprattutto “vigilanza” e, in particolare, la vigilanza dell'autorità sull'individuo allo scopo di conservare lo status quo. Non a caso, la parola “opasnost” (pericolo) si ricollega al verbo “pasti” che significa “pascolare” e/o “governare” e si usa in riferimento sia agli animali che ai sudditi. A sua volta, il termine “okraniat” indicava la protezione dall'esterno (lo stesso termine “U'krajna” in russo antico indicava le regioni di confine, la periferia, e gli “ucraini” erano le guardie di frontiera dello “Stato”). Inoltre, non si può non citare il “Sermone sulla legge e la grazia” del metropolita di Kiev Hilarion che, già nel XI secolo, presagiva la creazione di un vasto impero fondato sull'ortodossia (una “etocrazia” o, per una usare un lessico più moderno e vicino alla comprensione di un europeo occidentale, una sorta di hegeliano “Stato etico” con connotati bizantini). A ciò si aggiunga che Oleg il Profeta, colui che si impose contro la “chimera etnico-religiosa” cazara, affermò chiaramente “Kiev sarà la madre di tutte le città russe”. Un altro punto merita un breve approfondimento, anche per smentire le tesi sulla purezza etnica kievana in contrapposizione alla commistione moscovita (tanto care ai cultori del mito razziale ucraino). Il turcologo russo Vasilij V. Bartol'd, nella sua fondamentale opera Storia dello studio dell'Oriente in Europa e in Russia (1911), ha messo in luce come fosse del tutto erronea l'idea secondo cui prima dell'invasione mongola la Rus' di Kiev fosse una componente dell'Europa e della sua cultura assolutamente estranea alle influenze orientali. A dimostrazione di ciò, lo storico riportava il fatto che il Principe Vladimir veniva acclamato dal metropolita di Kiev con il titolo turco di kagan (signore, guida, capo) nella predicazione ecclesiale (cosa di per sé impensabile sia nell'Europa occidentale che a Bisanzio). Ancora Bartol'd sottolineò come il capolavoro epico-lirico della poesia russa medievale il “Cantare di Igor” fosse infarcito di termini turchi come bogatyr (eroe), trud (impresa), voin (guerriero), bojarin (nobile), tuman (schiera).
Dunque, sebbene presenti anche all'interno dei confini della Russia zarista, le correnti che sostenevano una sostanziale antitesi storica tra la Rus' di Kiev e quella di Mosca risultano un prodotto piuttosto tardivo ed estremamente influenzato dallo sviluppo delle correnti intellettuali nazionaliste a cavallo tra Ottocento e Novecento non poco foraggiate da volontà geopolitiche esterne all'Impero (Germania, Gran Bretagna e Polonia in particolar modo). Allo stesso tempo, l'idea di una correlazione storico-geopolitica tra la Rus' di Kiev e l'attuale Repubblica di Ucraina rappresenta quantomeno una forzatura se non un vero e proprio falso storico. Non sorprendentemente, l'attuale presidente ucraino Volodymyr Zelensky, nel corso della sua recente visita italiana, vestiva una felpa con il simbolo dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini: movimento ultranazionalista sorto a cavallo tra le due guerre mondiali e riconducibile, sebbene su gradi diversi a seconda delle sue differenti frange, alla galassia del collaborazionismo sia con il nazionalsocialismo tedesco che con i servizi segreti occidentali (CIA ed MI6 in particolar modo) dopo il 1945. Gli “opinionisti” nostrani, naturalmente, hanno speso fiumi di inchiostro per ribadire che il “tryzub” (il tridente), oltre ad essere il simbolo ufficiale della Repubblica Ucraina, sia proprio un simbolo che nasce nella Rus' kievana. Ad onor del vero, gli stemmi dei Gran Principi Sviatosval I, Vladimir e Yaroslav il Saggio sono ben diversi. Il primo, ad esempio, non era neanche un tridente. Mentre il simbolo dell'OUN presenta chiaramente, al centro, una spada.
Questo conduce inevitabilmente ad una riflessione finale. Oramai siamo abituati a sentire sempre più spesso l'espressione “l'Ucraina combatte anche per noi” (utilizzata sia dal Primo Ministro Giorgia Meloni che dal Presidente della Repubblica Mattarella). Ecco, sarebbe bene specificare cosa si intende per questo “noi”. Volendo proporre un'interpretazione meno ortodossa dei fatti storici, potremmo dividere l'ultimo secolo in tre differenti fasi: la prima va dal 1914 al 1945 e rappresenta quella che Hobsbawm ha definito come “nuova guerra dei trent'anni” (in altri termini, una lunga guerra civile europea nel corso della quale l'Europa si è letteralmente autodistrutta); la seconda va dal 45 al crollo dell'URSS; mentre la terza va dal 1991 fino ai giorni nostri. Tutte e tre queste fasi hanno un comune denominatore: l'interferenza diretta nei fatti europei di una potenza esterna al continente la cui cultura politica (con annessi obiettivi geopolitici di lungo periodo), sin dalle origini, si è contraddistinta per il suo essere sostanzialmente antieuropea (per citare Carl Schmitt). Osservando “cronologicamente” la cartina geografica dell'Europa dal 1945 in poi, non si potrà far altro che notare la progressiva espansione dell'area di influenza e proiezione geopolitica di tale potenza in direzione dell'heartland eurasiatico (una vera e propria conquista con attraverso l'utilizzo congiunto di “potere duro” (militare) e “potere morbido”. Infatti, una volta ottenuta l'egemonia parziale (e poi semi totale) sull'Europa occidentale e centrale, gli Stati Uniti hanno, da un lato, preconfezionato ed esportato (avvalendosi di un ampio apparato di collaborazionisti) sul vecchio continente ideologie monoculturali che parlano tanto di diversità salvo poi bandirla nelle forme nocive al sistema e, dall'altro, hanno lautamente finanziato e sostenuto per mero interesse strategico i vari nazionalismi di secessione negli Stati multietnici. Di fatto, nel momento in cui hanno guadagnato il predominio, hanno promosso un sistema economico internazionale liberale per cementare i propri vantaggi in virtù di relazioni centro-periferia. Tale sistema, tuttavia, è divenuto intrinsecamente sempre più aggressivo per il semplice motivo che, in modo da sostenere la propria supremazia, Washington (con la sua succursale di Bruxelles) ha continuamente tracciato linee divisorie volte, da un lato, ad emarginare e contenere gli avversari e, dall'altro, a mantenere gli “alleati/sottoposti” in una condizione di sudditanza in materia di sicurezza. Dunque, tornando all'inizio di questa riflessione, ha ben poco senso parlare di libertà contro oppressione o democrazia contro autoritarismo. Il dissenso (vero o presunto), nella nostra società, è tollerato solo se innocuo e/o consustanziale al sistema. Il resto viene cancellato, ignorato se non brutalmente ridicolizzato. Eppure, si pretende di impartire lezioni agli altri.
In conclusione, quel “noi” suona alquanto sinistro. L'Ucraina di certo non combatte per “noi” (intesi come “europei”). L'Ucraina combatte per “loro”; per mantenere a galla i collaborazionismi di vario grado ed un sistema che opprime i popoli europei nella presunzione di garantire una sicurezza che è semplicemente sicurezza di distruzione in caso di conflitto nucleare. Come affermava Jean Thiriart: “è molto semplice riconoscere il filo-americano travestito da europeo. Questo fa uso ed abuso del termine 'Occidente'”.