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Non c’è pace per la Unione europea

di Giuseppe Gagliano - 24/11/2025

Non c’è pace per la Unione europea

Fonte: La Fionda

Sembra una barzelletta, ma purtroppo è il riassunto dello stato dell’Unione Europea.
Ogni volta che americani e russi si mettono anche solo lontanamente a parlare di pace, da Bruxelles a Strasburgo fino all’ultimo editorialista embedded scatta lo stesso riflesso pavloviano: scandalo, tradimento, “umiliazione dell’Europa” e, ovviamente, “dell’Ucraina”.
Guai a trattare, guai a fermare la carneficina, guai a mettere in discussione il verbo atlantico: l’unica opzione ammessa è “la vittoria”, possibilmente totale, definitiva, cosmica.
Di chi e a quale prezzo non è dato sapere, ma non disturbiamo i manovratori con domande così volgari.
L’Unione Europea intanto, quella vera, non quella dei discorsi gonfiati di retorica, è ridotta a ciò che i suoi stessi leader fingono di non vedere: un cadavere politico che pretende di fare la morale a chiunque, ma che nessuno prende più sul serio.
Ventisette più uno, con l’Ucraina a mezzo servizio, che brontolano contro Washington e Mosca accusandole di “umiliarli”.
Per essere umiliati bisognerebbe prima esistere, politicamente; qui invece siamo al punto che se togli i comunicati stampa e le conferenze sulla “resilienza”, resta solo il vuoto.
Gli stessi campioni dei “valori europei” che per due anni hanno ripetuto come un disco rotto la formula magica della “sconfitta della Russia”.
La frase tipo: “Non ci sono alternative”, firmata da una delle tante signore simbolo dell’establishment comunitario – estone, finlandese, tedesca, poco importa, sono intercambiabili come le sedie a rotelle nelle corsie d’ospedale.
La guerra come condanna, non come scelta politica.
La pace, solo se “giusta” e adesso pure “dignitosa”.
Per chi? Per Zelensky, naturalmente, al quale bisogna “salvare la faccia” dopo avergli bruciato il Paese.
Traduzione: Mosca si ritira, l’Ucraina torna com’era prima del 2022, e tutti fanno finta di non vedere il Donbass devastato, le leggi sulla discriminazione del russo, i divieti per la Chiesa ortodossa russa, i banderisti trasformati in eroi nazionali, i roghi dei libri in lingua russa, la cancellazione di nomi, simboli e memoria di quella stessa Armata Rossa che aveva liberato anche Kiev dai nazisti veri.
Tutto rimosso, perché altrimenti salta la narrazione del Bene contro il Male.
Nel frattempo, ogni giorno si aggiunge uno strato di cadaveri al mucchio: ucraini al fronte, russi al fronte, civili in mezzo.
L’Ucraina, che a parole si “difende”, nella realtà si svuota, si distrugge, si desertifica.
Ma nulla di tutto questo intacca il fervore bellico delle capitali europee, anzi: più il Paese crolla, più i nostri governanti parlano di “resistenza eroica”.
E più i contribuenti europei tirano fuori miliardi per sostenere un governo che gli stessi rapporti occidentali definiscono corrottissimo, più ci spiegano che si tratta di un investimento per la “nostra sicurezza” e la “nostra libertà”.
La libertà di chi, non si sa.
A mettere la ciliegina sulla torta ci pensa il genio strategico del pensiero unico travestito da analisi.
Prendiamo l’ultimo capolavoro: in un articolo, Nathalie Tocci decide di spiegare al volgo che “La Russia ha perso la guerra”.
Così, in apertura, come se fosse un dato di cronaca: oggi piove, domani sereno, la Russia ha perso.
Poi, per non farsi mancare niente, aggiunge che magari Mosca rischia di “vincere nella trattativa”, ma ha “già perso sul campo”.
Cioè: se ottiene il Donbass al tavolo negoziale è una sconfitta che somiglia molto a una vittoria, ma siccome l’Europa non può ammetterlo, ci inventiamo la formula metafisica: perdere vincendo.
Nessun bisogno di seguire il “ragionamento” fino in fondo: basta l’incipit per capire il livello.
La cosa più istruttiva, però, non è tanto quello che scrive, quanto il fatto che lei diriga l’Istituto Affari Internazionali, uno dei principali centri che “ispirano” la politica estera italiana ed europea.
È il trionfo del merito e delle competenze, ci dicono: se pensi che la Russia abbia perso una guerra che non riesci né a fermare né a vincere, sei perfettamente allineato allo spirito del tempo.
Così l’Europa cadavere continua a parlare come se fosse viva, a minacciare come se avesse ancora forza, a pontificare come se avesse una politica estera che non fosse la fotocopia sbiadita di quella americana.
E ogni volta che qualcuno prova almeno a sedersi a un tavolo – in Alaska, a Washington, a Mosca – dalla capitale del cadavere arriva la stessa reazione: strilli, accuse, anatemi. I risultati li vediamo: la guerra continua, l’Ucraina muore, la Russia si riorienta, gli Stati Uniti trattano e l’Europa paga il conto.
Ma tranquilli: sui giornali potremo leggere ancora per mesi che “Putin ha già perso”.
L’importante è che a non perdere mai siano i posti, gli stipendi e le poltrone di chi questa tragedia l’ha voluta, applaudita e adesso la racconta come una storia di valori.