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Non dobbiamo cambiare il Presidente, dobbiamo cambiare la Repubblica

di Lorenzo Maria Pacini - 25/01/2022

Non dobbiamo cambiare il Presidente, dobbiamo cambiare la Repubblica

Fonte: Ideazione

Siamo giunti al fatidico e tanto atteso inizio delle elezioni del nuovo Presidente della Repubblica Italiana. Il teatrino della politica, che è pur sempre un piacevole diletto per molti, prosegue secondo le sue tradizioni, mentre una ingente massa di italiani si distrae per commentare e seguire con spasmodica attenzione le consultazioni in corso. Ci piace, a noi italiani, diventare “tuttologi” per ogni cosa che il sistema mediatico di propone, e a onor del vero ci riesce anche bene perché siamo un popolo di carico di creatività e con la voglia di fare, perciò ogni occasione è buona per esprimere la propria opinione.

Quello che molti non stanno cogliendo di questa fase storico-politica è che il non più nascondibile declino della Repubblica non è soltanto un problema la cui scaturigine è nei politici, ma è l’ultimo appello al cambiamento della forma politica dello Stato. Questa è la vera urgenza. Il cambio del Presidente non farà cambiare alcunché nel Paese, così come niente è cambiato in quasi ottant’anni di storia repubblicana, in un susseguirsi comico di una maschera chiamata Parlamento con i suoi teatranti, che continuamente ci davano l’impressione di essere noi i protagonisti della nostra storia ogni quattro anni circa con le elezioni, per poi lamentarci i restanti 3 anni e 363 giorni di come andasse tutto male. Mi dispiace per i celebratori della partitocrazia all’italiana, ma quando si è colonia di un’altra nazione che ci tiene sotto scacco militare, economico e culturale, non si è una nazione sovrana; quando i legami fra Stato, Chiesa, Massoneria e Mafie sono tali da costituire un intero apparato sovrastatale capace di mimetizzarsi in maniera magmatica e dirigere tutti gli ambiti del vivere sociale, non c’è alcun presidente o segretario di partito che possa realizzare l’ambiziosa (e per molti esilarante) promessa del “cambiare il sistema dall’interno”.

La Repubblica democratica liberale, così come dal 1946 ci troviamo in Italia, non funziona. Aveva ragione Platone quando, nel libro VI del Repubblica e nel Politico, ammoniva i suoi discepoli circa gli esiti disastrosi della democrazia, forma degenerante della politica di un popolo perché fondata su tesi deboli e non naturali, il cui inevitabile sviluppo porta alla tirannia e al declino delle società.

Al di là dell’anaciclosi politica, ci troviamo davanti all’opportunità per riflettere seriamente sull’esigenza di nuove forme politiche a partire dalle nostre identità come popolo, molteplici perché l’Italia è fatta di più culture, lingue, dialetti, tradizioni, costumi, confini, la cui unità non può essere quella imposta da una cricca di oligarchi, bensì quella di intenti e di spirito che accomuna più popoli la cui identità si armonizza verso un fine condiviso.

Finalmente tutto crolla, perciò lasciamo che crolli anche la Repubblica. La politica della scelta del “meno peggio” non ha mai prodotto niente di buono, ha solo procrastinato l’assunzione di responsabilità politica da parte dei cittadini. Ci siamo ripetuti per anni che prima o dopo sarebbe andata meglio, continuando ad accettare di essere presi in giro da loschi burattini messi a governare le nostre vite, nell’autoconvinzione di un futuro impegno che abbiamo sempre rimandato. Provvidenzialmente è giunta l’ora di risvegliare le nostre coscienze e prendere in mano la situazione. Abbiamo creduto che la sovranità ci appartenesse, quando invece abbiamo vissuto l’equazione cittadini=suddito, invece di cittadino dunque sovrano. Non abbiamo bisogno di perseverare negli stessi errori, né tantomeno di aspettare un qualche messia politico che ci tragga in salvo dalla melma della nostra negligenza individuale; è invece giunto il tempo, sacro e solenne, di tornare ad essere i protagonisti della nostra politica, di riorganizzare la società con nuove forme, ripartendo dalle comunità e da ciò che è essenziale per realizzare il bonum communis che è fine della politica autentica. Non possiamo più delegare la realizzazione di un sogno a delle entità orizzontali, abbiamo bisogno di tracciare nuove rotte metafisiche e forgiare cuori e menti ad essere l’energia creatrice di un Paese che dal dramma più angosciante deve risorgere a vita nuova, per un nuovo mondo.

A queste elezioni noi dedichiamo un grido: Crolli la Repubblica, sorga l’Italia!