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Non sono mai stato incline all'ottimismo antropologico

di Andrea Zhok - 11/12/2021

Non sono mai stato incline all'ottimismo antropologico

Fonte: Andrea Zhok

Di tutta questa vicenda ci sono molti aspetti inquietanti, ma uno tra essi mi ha davvero profondamente colpito.
Non sono mai stato incline all'ottimismo antropologico.
E tuttavia mai e poi mai mi sarei aspettato di vedere così ampie masse di popolazione disposte a partecipare a pubblici riti di denigrazione, a passarsi i sassi di mano nelle lapidazioni morali, a godere nel vedere gli altri obbligati e ricattati, ad accettare serenamente la disumanizzazione o psichiatrizzazione del dissenso, a gioire nel poter sfogare le proprie frustrazioni su capri espiatori prodotti quotidianamente da una stampa irresponsabile.
Io capisco che molte persone si informano esclusivamente da quei produttori di menzogne seriali che sono i media mainstream, così che la menzogna di un giornale diviene la base, o la conferma, della menzogna di un talk show e viceversa.
Lo capisco, però di fronte alla percezione che queste operazioni danneggiano persone in carne e ossa mi sarei aspettato in molti un passo indietro, un dubbio semplicemente umano, il sospetto istintivo e del tutto prepolitico che tutto questo semplicemente non può essere giusto e che prima di accettarlo sia necessario considerare bene e fino in fondo le ragioni altrui.
Invece no, siamo nel mezzo di un'operazione che è l'equivalente, nell'epoca dei media, delle antiche lapidazioni dei 'reprobi' sulla base di un pregiudizio volatile o sulla base della diffusione di calunnie.
Il Vangelo in un celebre episodio dice "chi è senza peccato scagli la prima pietra". La dinamica che Gesù aveva davanti agli occhi in quel momento storico era appunto una dinamica primitiva a noi nota, in cui la folla anonima poteva sentirsi per qualche momento "dalla parte del giusto" mentre partecipava alla lapidazione del reprobo.
E le parole del Vangelo mettevano di fronte chi era pronto nel raccogliere la pietra, e unirsi acriticamente nella condanna, a riflettere sulla propria presunta bontà di "sepolcri imbiancati", sulla serenità con cui ci si colloca dalla parte di chi condanna e ci si mescola anonimamente alla folla giudicante.
Due millenni dopo questo meccanismo psicologico rimane apparentemente perfettamente intatto, con un'aggravante: ora a dirci chi sono i buoni e chi i cattivi sono delle scatole parlanti in soggiorno, o dei manipolatori di professione su carta stampata, gente che nessuno conosce di persona, ma di cui, ciononostante 'ci si fida'.
Ad un certo punto questo delirio collettivo finirà, e allora sarà il momento di ricordare e di rimediare ai meccanismi istituzionali malati che ne hanno permesso l'emergere.