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Perché non si può staccare la batteria

di Enrico Nistri - 30/06/2020

Perché non si può staccare la batteria

Fonte: Barbadillo

Uno dei metodi più spicci per risolvere problemi con i dispositivi elettronici è utilizzare la vecchia tecnica dello spengere e riaccendere. Per i cellulari il sistema più pratico era estrarre la batteria, in modo da provocare un completo black out. Da qualche tempo, però, questa tecnica è impossibile: nei nuovi dispositivi, la batteria non è più estraibile. C’è chi attribuisce tale scelta dei produttori a esigenze di semplificazione o al fatto che le batterie hanno una maggiore autonomia di quando conveniva, specie sui vecchi motorola, portarsene dietro una di scorta. Ma c’è pure un’altra spiegazione, piuttosto inquietante.
I cellulari, infatti, anche quando sono spenti continuano a trasmettere informazioni, se la batteria è inserita. Da strumenti al servizio dell’utente si trasformano in sostanza in microspie, che consentono la localizzazione ed eventualmente l’intercettazione dell’utente. Impedire l’estrazione della batteria potrebbe convenire a chi è interessato a trasformarli in perfezionatissime microspie.
Ma, se anche fosse così, potrebbe obiettare qualche zelatore delle magnifiche sorti e progressive del divenire informatico, quale sarebbe il male? Le intercettazioni telefoniche o ambientali sono state utili a smascherare pericolosi criminali, politici e/o magistrati abituati a fare un uso strumentale della giustizia, evasori fiscali o corrotti di ogni specie. Solo un criminale che non vuol farsi individuare sulla scena del delitto o magari un assenteista che fa la settimana bianca ha paura della geolocalizzazione. Chi non ha nulla da nascondere – è il classico e un po’ ricattatorio argomento sbandierato in queste circostanze – non ha nulla da temere.
Purtroppo è vero sino a un certo punto, per vari motivi. Il primo è che in una società sempre più incline a giuridicizzare tutto, anche comportamenti e argomenti che un tempo erano considerati leciti rischiano di divenire causa di sanzioni legali o quanto meno sociali. Avere violato i codici del politicamente corretto, avere indugiato in una conversazione privata in affermazioni sessiste o peggio razziste, basta, se documentato da un’intercettazione e magari decontestualizzato, a esporre quanto meno alla gogna mediatica il responsabile. È una deriva cominciata ventisette anni fa con la cosiddetta legge Mancino e che raggiungerà il culmine con l’approvazione delle norme contro l’omofobia, della cui pericolosità la Cei ha cominciato ad accorgersi. L’altro motivo è il rischio – palesatosi nei mesi del confinamento sociale – che la geolocalizzazione si trasformi in un formidabile strumento di controllo sociale, giustificato, come si è profilato e forse si verificherà in occasione della pandemia, dall’esigenza di prevenire il contagio. Alla giuridicizzazione dell’esistenza si è affiancata infatti in questi anni un’ulteriore medicalizzazione della vita umana, per cui uno Stato sempre più onnipresente e onniscente pretende di controllare non solo i nostri comportamenti (basti pensare alla criminalizzazione anche di un bicchiere di vino) e di imporci scelte virtuose, per esempio in tema di vaccini, ma, approfittando della grande occasione della pandemia, i nostri spostamenti. Se aggiungiamo a tutto questo, dopo la soppressione del segreto bancario, la guerra al contante, volta a monitorare attraverso i pagamenti non solo le nostre spese, ma i nostri stili di vita, il moltiplicarsi delle piccole vessazioni quotidiane, dall’obbligo della Pec certificata a quello delle prenotazioni ferroviarie, è facile dedurne che il termine privacy rimarrà nel vocabolario solo per giustificare le prebende dell’omonimo garante.
È complottismo tutto questo? Da qualche tempo mi sono accorto che gli “ismi” rappresentano il più delle volte una trappola. Se ti ammali, magari perché lavori in un ambiente insalubre, ti danno dell’assenteista, se sei un politico che non snobba gli inviti sei un presenzialista; se ti fanno un torto e ti lamenti diventi un rompiscatole vittimista; se vuoi difendere la sovranità nazionale, sei considerato un bieco sovranista. Nella fattispecie, può darsi che dietro l’intangibilità della batteria dei cellulari ci sia solo una scelta tecnica. Però l’idea di essere perennemente tracciato, in un’epoca in cui la reperibilità telefonica e informatica è divenuto un dovere sociale e in certi casi giuridico, mi inquieta lo stesso. Dinanzi all’invadenza dei media televisivi, un grande studioso canadese, Marshall McLuhan, invitava a staccare la spina. Erano altri tempi: l’industria informatica non ci permette neppure di staccare la batteria.