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Reagire allo scoraggiamento

di Francesco Lamendola - 16/11/2018

Reagire allo scoraggiamento

Fonte: Accademia nuova Italia

La reazione più diffusa, fra coloro i quali hanno raggiunto un certo livello di consapevolezza e hanno perciò potuto misurare tutta la vastità e la gravità della nostra crisi attuale, che investe ogni aspetto della nostra vita pubblica e privata, è il cadere in un cupo stato di scoraggiamento, se non addirittura la depressione. Quanto più si è consapevoli della realtà delle cose, tanto più ci si rende conto che sarà difficilissimo, e forse impossibile, raddrizzare il timone della barca e ripristinare delle condizioni di vita, sia materiali che spirituali, anche solo vagamente simili a quelle che hanno conosciuto le generazioni precedenti. La precarietà, l’insicurezza, il disorientamento, la babelica confusione, il senso di alienazione, perfino una progressiva perdita di umanità, e unite a tutto ciò l’impotenza, la rabbia e la frustrazione, formano in molti di noi una miscela altamente esplosiva: siamo tutti a rischio di cadere in depressione, siamo tutti appesi al filo di una speranza sempre più esile, quasi evanescente. Sappiamo, sentiamo, che da questa crisi non usciremo; che noi, almeno, non faremo in tempo a vedere l’uscita dal tunnel; e dubitiamo anche che ne potranno mai uscirne neppure i nostri figli e i nostri nipoti. Oltre alla potenza enorme dei meccanismi che stanno impoverendo la nostra condizione economica e che stanno sempre più imbarbarendo la nostra coesistenza sociale, primo fra tutti l’usura attuata dal capitale finanziario globalizzato, che stringe alla gola le nazioni non meno dei singoli individui, stiamo assistendo, impotenti, a una vera e propria mutazione antropologia. Vediamo, infatti, che un numero crescente di persone è totalmente dipendente dalla tecnologia elettronica, come se fosse una droga; che le sue facoltà e i suoi interessi sono condizionati, e perfino spenti, nei confronti di tutto ciò che esula da essa; che vi è una sorta di ottundimento dell’intelligenza e della volontà, nonché un autentico distacco dalla dimensione reale e concreta dell’esistenza, a favore di una dimensione parallela e virtuale, nella quale queste persone ormai “viaggiano” come se la vita vera fosse lì, sullo schermo del loro computer, del loro telefonino o del loro televisore. Dal punto di vista spirituale, poi, i danni prodotti da questo aberrante sistema di vita sono, se possibile, ancora più gravi: è come se queste persone avessero perso la loro anima e l’avessero consegnata a delle potenze aliene, a delle forze infere, e si fossero trasformate in soggetti post-umani, non solo privati delle facoltà razionali fondamentali, ma anche della stessa capacità affettiva, così come l’abbiamo sempre conosciuta. In altre parole, sembra che si stia attuando quella rivoluzione antropologica della quale ci parlavano i romanzi e i film di fantascienza, mostrandoci, già da qualche tempo, una progressiva sostituzione della specie umana con delle forme di vita artificiali, simili ad essa solo nell’aspetto esteriore: cosa, quest’ultima, che aumenta la confusione e il senso d’incertezza, perché nelle persone che s’incontrano si stenta a capire se sopravviva un barlume di umanità o se siano già dei replicanti. Se, poi, a ciò si aggiunge lo spettacolo incredibile di una invasione programmata dal Sud del mondo e di una sempre più massiccia e capillare sostituzione di popolazione, per cui, nel giro di una sola generazione, il volto dell’Europa è già divenuto fisicamente irriconoscibile e l’identità dei popoli europei è già stata messa in crisi, probabilmente in maniera irreversibile, e avviata verso la liquidazione definitiva, si avrà un quadro completo, e impressionante, dello stato d’animo con cui le persone deste, consapevoli e sensibili stanno vivendo tali processi di trasformazione.

E tuttavia, è necessario reagire a tale senso di smarrimento e di angoscia, o, peggio ancora, di fatalismo e di rassegnazione; per quanto i mutamenti in atto siano di portata gigantesca e difficilmente modificabile, a noi tutti rimane l’obbligo, se non per noi stessi, per le generazioni future, di non rassegnarci e di reagire, con tutte le nostre forze, con decisione e senza perdere neppure un minuto, contro il presente stato di cose. Finora le forze che stanno orchestrando questa distruzione sistematica del nostro sistema di vita hanno potuto contare sulla inconsapevolezza e perfino sulla collaborazione di molti, sedotti e ingannati da fallaci parole d’ordine, che, all’insegna della pigrizia intellettuale e del conformismo, hanno dato loro l’illusoria sensazione di aver capito di più, mentre non capivano affatto, e di essere più “buoni”, più accoglienti e generosi, mentre stanno perpetrando un crimine gravissimo a danno dei loro e dei nostri figli, e dei loro e dei nostri nipoti, e stanno travisando completamente il senso della vera accoglienza, della vera solidarietà e anche, nel caso dei credenti, della vera religione cristiana. Come non cadere nell’inganno, del resto, quando le massime autorità civili e religiose predicano, tutti i giorni, il dovere civile e morale di seguirle nella strategia suicida che esse hanno deciso di adottare, consegnando noi stessi e la nostra civiltà in balia di forze e di meccanismi da cui uscirà distrutto tutto ciò per cui noi e i nostri avi abbiamo finora lottato per costruire un futuro degno di questo nome? Non era facile capire il diabolico inganno, vedendo che tali autorità, fiancheggiate da un esercito di giornalisti, insegnanti, amministratori pubblici e soprattutto magistrati, confermavano, con i loro discorsi e con le loro azioni, la linea indicata dalle autorità più alte, incrementando lo zelo di tutti gli ingenui che, per abitudine e scarsa capacità di riflessione, pensano che sia giusto fare quanto ci viene chiesto, se a chiederlo sono quelli nei quali solitamente si ripone la propria fiducia e della cui buona fede non si ha motivo di dubitare. Come pensare che un presidente della Repubblica stia tradendo il suo stesso popolo, come pensare che un papa stia tradendo la Chiesa, come pensare che i capi delle Nazioni Unite stiano tradendo l’umanità? Se pure, talvolta, dei dubbi angosciosi si fanno strada anche nelle persone più docili e propense a fidarsi senza fare domande, è molto più semplice pensare che sono loro a ingannarsi, che sono loro a non comprendere. Altrimenti, bisognerebbe ipotizzare una congiura diffusa e operante a livello planetario; ma si sa che i complottisti sono dei poveri matti e che il complottismo è una malattia non solo perniciosa, ma anche un po’ ridicola. E di cosa ha maggiormente paura l’uomo contemporaneo, se non del ridicolo? Già abituato ad aver “bisogno” di dosi costanti e massicce di approvazione da parte degli altri, preferirebbe qualunque altra sanzione, piuttosto che quella di essere considerato non solo un po’ pazzo, ma anche ridicolo, nell’ipotizzare una congiura di portata mondiale.

E tuttavia, la congiura c’è. C’è un disegno mondiale per ridurre l’umanità in schiavitù, disegno che è giunto alla fase dell’attuazione, e che è già stato realizzato al 90%. Per completare l’opera, resta un nemico principale da abbattere: il cristianesimo; per far questo, la congiura è penetrata nei più alti livelli della Chiesa cattolica e ha agito dall’interno, scardinando, uno dopo l’altro, i pilastri della fede, non con un assalto diretto, ma con una radicale sostituzione di forme liturgiche, di modalità pastorali e, infine, di insegnamenti magisteriali. Il risultato è che i vertici della chiesa cattolica, oggi, sostengono il contrario di ciò che la Chiesa, quella vera, è sempre stata fino al Concilio Vaticano II, creando così una contro-chiesa, apostatica e modernista, che, però – e qui sta l’infernale abilità dei congiurati - non viene percepita come tale dalla grande massa dei fedeli, anche se molti, questo sì, si sentono smarriti, si sentono confusi, avvertono un senso di amarezza e di scoraggiamento, pur non riuscendo a individuarne la causa con chiarezza. Una situazione simile si è creata nei cittadini rispetto allo Stato e ai suoi organi. Il cittadino che vede trattare con incomprensibile indulgenza i delinquenti, specie se stranieri e finti profughi, e con inesorabile severità, anche fiscale, gli italiani che vivono onestamente, lavorando e rispettando le leggi, non sa più cosa pensare, non sa più a chi rivolgersi. Se subisce un danno, se è vittima di una violenza, preferisce non sporgere nemmeno denuncia, vuoi perché non spera più di ottenere un risarcimento, vuoi perché teme, addirittura, di trovarsi lui stesso sotto inchiesta, come se fosse la vittima a doversi discolpare per essersi difesa, per aver reagito o tentato di reagire, e non il delinquente che l’ha aggredita, molestata, derubata. Diminuzione delle denunce che è stata subito sbandierata dai partiti di sinistra come la prova del fatto che essi hanno fin qui governato “bene”, visto che, numeri alla mano, ci sono meno omicidi, meno stupri, meno rapine… o così almeno dicono i mass-media, i quali, nella quasi totalità, sono al servizio della lobby finanziaria mondialista. Per il presidente della Repubblica, l’Italia è la casa di accoglienza di tutti i profughi, veri e soprattutto falsi, dell’universo mondo; al tempo stesso, essa è una provincia dell’impero burocratico che ha sede a Bruxelles, e la cui vera anima è la Banca Centrale Europea: una banca privata, che bada ai suoi profitti e se ne infischia del benessere dei popoli, anzi, si ostina a imporre assurde politiche di austerità, allo scopo di accrescere l’indebitamento e la dipendenza di tutti verso di lei.

E non basta. Chi si reca a Bruxelles, la pretesa “capitale” europea, può rendersi conto, visivamente  e materialmente, del fatto che questa Europa che dà ordini, che minaccia con l’arma dello spread, che manda commissari a imprigionare le nazioni sovrane,  è già morta, sepolta e putrefatta. Non c’è più quasi niente di europeo, a parte la facciata, e anche quella, sempre più fragile e sottile; per il resto, vi è una capitale sprofondata nel caos dello sradicamento, della babele spacciata per multiculturalismo, della perdita irreversibile di identità, dell’abdicazione degli europei a essere se stessi e a sopravvivere. In compenso, divorzio veloce, aborto, eutanasia, droga e sodomia imperversano e vengono apertamente celebrati come fattori di civiltà e come modelli da esportare in tutto il mondo (salvo il piccolo dettaglio che il resto del mondo non ne vorrà, e fin da ora non ne vuole, sapere, né di simili “conquiste”, né dello stile di vita che esprimono). La politica dei partiti europeisti rimane entro questi binari: il matrimonio gay è, per quei signori, uno dei massimi risultati ottenuti dalla loro azione lungimirante, insieme a delle leggi che concedano la cittadinanza europea, per le vie più spicce, a qualsiasi persona venga dall’Africa o dagli altri continenti, anche se ben decisa a non integrarsi affatto, a sfoggiare il burqa e lo chador, a trasformare le moschee in luoghi di incitamento al terrorismo e a far valere sempre nuovi diritti, compresa la nascita di partiti islamici, che porteranno al rapido tracollo di quel poco di autenticamente europeo che ancora sopravvive in Europa.

A livello individuale, la sfida riguarda ciò che le singole persone vogliono essere, e, in particolare, se vogliono continuare ad essere ancora delle persone, o se vogliono definitivamente arrendersi e abdicare, e accontentarsi di una sotto-esistenza da umanoidi, da burattini telecomandati, sedotti dal miraggio di un consumismo sempre più beffardo ed elusivo, e spossessati di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta: Dio, la patria e la famiglia. Al posto di Dio, il denaro; al posto della patria, una società permissiva e anarcoide, senza porte e senza finestre, dove si entra e si esce quando e come si vuole, le regole da rispettare diminuiscono ogni giorno e i diritti da far valere crescono in misura simultanea; al posto della famiglia, la sessualità promiscua o, al massimo, la mera convivenza, con maschi o femmine indifferentemente, anzi, la ”libertà” di cambiare sesso e di essere maschili o femminili a piacimento, e di disporre di bambini, procurati in qualsiasi maniera, anche con l’orrida pratica dell’utero in affitto, per il gusto satanico di metter su una ”famiglia” che è solo lo scimmiottamento diabolico della famiglia naturale. E tuttavia, a questa situazione bisogna reagire: abbattersi serve solo ad affrettare la fine, a facilitare le cose agli agenti della dissoluzione. È forse questo che vogliamo: render loro le cose più semplici, agevolarli nella loro opera distruttiva grazie alla nostra rassegnazione? Non fosse altro che per fierezza e per senso della nostra dignità, dobbiamo reagire alla tentazione di lasciarci andare, di arrenderci. Dobbiamo resistere e contendere ogni centimetro alle forze nemiche. Perché un nemico c’è, parliamoci chiaro: la retorica del “vogliamoci bene” e dell’abbattere i muri e gettare ponti verso tutto e verso tutti è il cavallo di Troia che ha permesso al nemico di entrare nella cittadella, un tempo ben custodita, dei nostri valori, del nostro sistema etico e giuridico, in una parola della nostra civiltà. Abbindolati e svirilizzati da decenni di prediche buoniste, abbiamo finito per sentirci colpevoli perfino quando esercitiamo il sacrosanto diritto alla legittima difesa. Noi abbiamo, invece, non solo il diritto ma anche il dovere di difenderci; e dobbiamo liberarci da remore come i falsi sensi di colpa e gli assurdi pregiudizi contro noi stessi, che ci sono stati instillati per ingabbiarci e per facilitare le cose all’opera di chi ci vuole sottomettere. Certo, dobbiamo cercar di evitare una guerra fra poveri: il nostro vero nemico è nelle grandi banche di New York e nella borsa di Londra, nonché nelle agenzie di rating e nelle banche centrali che emettono il denaro pubblico, ma sono al servizio del capitale privato; e, in seconda istanza, in questa vegetazione parassita d’intellettuali di mezza tacca, di pennivendoli, di professori incoscienti e ignoranti, che incretiniscono il pubblico raccontando loro una realtà che è ben lontana dall’essere quella vera. Ciò non toglie che, se aggrediti, abbiamo il dovere di difenderci contro chiunque, come hanno sempre fatto tutte le comunità nel corso della storia umana. Quelle, almeno, che vogliono sopravvivere. Perciò la domanda da farci è questa: vogliamo sopravvivere o sparire?