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Se Le Figaro riscopre (da posizioni liberali) le idee di Alain de Benoist

di Charles Jalgu - 21/02/2017

Fonte: Barbadillo

Pubblichiamo un articolo sul pensiero di Alain de Benoist di Le Figaro, una rilettura da posizioni liberali e liberiste delle idee contro il pensiero unico del filosofo francese

“Non sono sicuro che le élite e il proletariato respirino la stessa aria”, ci dice Alain de Benoist. Quest’uomo è uno strano soggetto di studio. Ci riceve nel suo pied-à-terre parigino nei pressi di rue de Charonne, in piena zona popolare. Filosofo grafomane, tradotto un po’ ovunque, soprattutto in Italia, ci dice, è di quelli che non amano scrivere una pagina senza citare almeno tre o quattro autori. Così si passa, in poche righe, da Walter Lippman, editorialista americano degli anni Trenta, a Cornelius Castoriadis, filosofo politico, o allo storico Christopher Lasch, affossatore della “cultura del narcisismo”. Quest’uomo di settant’anni passati è un grande lettore, preceduto da una reputazione sulfurea da “escluso dal dibattito intellettuale”. Ha fondato la Nuova Destra negli anni Settanta, dopo alcuni anni di militanza nel gruppo Europe-Action (1961-1966), mentre altri entravano nei gruppi maoisti. E’ vero che la frenesia rossa ha sempre conosciuto una ricezione più indulgente di quella nera.

La difficoltà piuttosto è presentarsi con le proposte misurate dell’analista, figura che più spesso incarna con prudenza di fronte ai propri interlocutori troppo integrati nel sistema e la militanza del filosofo contro l’ordine democratico attuale. Essere intempestivo è richiesto dalla filosofia: avete mai visto un filosofo contento di come va il mondo? De Benoist segue quindi la china contestataria della sua disciplina. Il suo retroterra filosofico è post-heideggeriano: critica del primato della tecnica da parte dell’umanità occidentale e del suo trionfo nella società liberale e mercantile. Peraltro gli si deve l’invenzione, negli anni Ottanta, dell’espressione “pensiero unico” che da allora ha conosciuto un’incredibile fortuna.

Nel suo ultimo libro (Le moment populiste, Droite-Gauche c’est fini!, Ed. Pierre Guillame de Roux, pagg. 333, euro 23,90) descrive l’avvento di un momento populista mettendo insieme un numero di fenomeni che i politiologi hanno ben identificato: critica impietosa della classe politica, rifiuto del modello parlamentare rappresentativo e della distinzione destra-sinistra, rifiuto di un governo di esperti a profitto di un volontarismo politico sopravvalutato. De Benoist ha in orrore l’”espertocrazia”, della destra orléanista, di quella destra che ha l’”imbecillità” di credere che si può essere liberali in economia e conservatori nelle tradizioni, quando invece il “liberalismo è un tutto”. Ha ancor più in orrore la mondializzazione nella sua variante americana. Pensa che si è alla fine di questi tempi. “Noi non siamo alla fine del mondo – spiega de Benoist – ma alla fine di un mondo, il dopoguerra termina e i populismi sono forme politiche della transizione, annunciano qualcosa che sta per arrivare”.

Cosa? Il politologo non ne sa niente. Il militante che egli è, è altra cosa. Sembra esitare. Sarà il collegamento al socialismo alla Proudhon d’un Jean-Claude Michéa, al quale consacra un capitolo elogiativo. Quest’ultimo gli invia sempre i suoi libri con parole amichevoli. Sono entrambi d’accordo nel detestare l’opzione liberale. Sarà questa la rifondazione di un’Europa politica integrale – e quindi interamente federale – dotata di frontiere e ragionevolmente protezionista? “Sono stato favorevole ma non vi credo più molto”. Le altre soluzioni sono più nebulose.

Il giornalista Eric Dupin, autore di un libro interessante intitolato La Francia identitaria (La Découverte ed.) consacra un capitolo a de Benoist e cita i suoi contatti con Alexander Dugin, influente intellettuale russo, cantore dell’Eurasiatismo che vede nel putinismo un’alternativa al “liberalismo nichilista”. “Ho incontrato Dugin ma ciò che propone è molto speciale e troppo russo” corregge de Benoist quando lo interroghiamo su questo soggetto. Bene.

Lasciamo da parte la tentazione putiniana. Che resta? Liberarsi del capitalismo? Infatti, suì, de Benoist sogna un mondo liberato dal “feticismo del mercato” e “liberato dal lavoro in quanto forma di organizzazione del rapporto sociale” scrive, finalmente, in uno slancio lirico alla fine del capitolo di un suo libro. Ma questa linea non è veramente sviluppata dall’autore. Infine, difende anche l’integrità delle comunità culturali, compresa la comunità musulmana, con i suoi usi e costumi. Un fattore esplosivo per le nazioni occidentali che giustamente si sentono sfidate dall’affermazione comunitaria musulmana.

A dire il vero, è sempre la stessa cosa: si comprende la critica del sistema, ma non si vede quale alternativa al sistema è possibile. De Benoist aborrisce i partigiani del TINA (“There is no alternative”, “Non c’è alternativa”, ndt) la famosa parola d’ordine di Margaret Thatcher che aveva avvertito i sostenitori dello status quo che non c’era alternativa al liberalismo economico. Detesta “questo consenso liberale” che crea una “diserzione civica”. Perché, spiega, “la democrazia è per forza agonistica”.

Il suo nemico principale è la “Nuova classe” questa borghesia filistea della quale propone una descrizione piuttosto strana, citando il filosofo marxisteggiante Costanzo Preve: “E’ autistica, incestuosa e narcisistica, caratterizzata dal suo disagio a viaggiare, dall’inglese turistico, dall’uso moderato delle droghe, il controllo delle nascite, una nuova estetica androgina, un umanismo terzomondista, un multiculturalismo senza una vera curiosità culturale, un gusto per le terapie dolci e il relativismo comunicazionale”.

Ma l’opzione thatcheriana non è il solo voto per prendere atto di un mondo interdipendente dove la concorrenza mondiale pesa molto violentemente sulle popolazioni attive dei paesi sviluppati. Vi è tutta una gamma di sfumature e dosaggi che sono la chiave della buona politica. Ciò che propongono gli scandinavi è un compromesso più interessante. Ma non è veramente la tassa del tè di de Benoist. In realtà, egli preferisce puntare sul fenomeno populista piuttosto che immaginare le soluzioni che sono sia impraticabili (uscire dal capitalismo, instaurare un socialismo proudhoniano) sia troppo vaghe (ispirarsi al modello svizzero di cittadinanza attiva, instaurare nuove forme di partecipazione cittadina).

La soluzione al declassamento di una parte dei popoli non è il protezionismo, signor de Benoist. Il mondialismo è nel cuore dell’anima occidentale da 1.500 anni. La si paga cara e in particolare per coloro stessi che l’hanno voluta. Forse entriamo in tempi oscuri, ma i giochi non sono fatti. Voi non amate i media che presentano la nostra società “come la meno peggio di tutte”. Per ora è ciò che noi pensiamo. Per il momento. 

(da Le Figaro 9 febbraio 2017, traduzione di Manlio Triggiani)