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Sì, Erdogan è brutto e cattivo. Ma vi spiego perché noi europei siamo ancora peggio

di Adriano Scianca - 15/10/2019

Sì, Erdogan è brutto e cattivo. Ma vi spiego perché noi europei siamo ancora peggio

Fonte: Il Primato Nazionale

Di Recep Tayyip Erdogan è giusto pensare tutto il male possibile: ha preso un Paese plasmato dalla rivoluzione nazionalista e laica di Kemal e l’ha trasformato in un focolaio di integralismo; ha costantemente destabilizzato un’area delicatissima, facendo il doppio e il triplo gioco con un cinismo senza eguali; ha appoggiato le peggiori realtà del terrorismo islamico; ha regolarmente contrastato la Siria laica di Assad; ha utilizzato gli immigrati come arma di ricatto, aprendo e chiudendo i rubinetti dei flussi a piacimento e arrivando a lanciare appelli in favore della sostituzione etnica.

L’insopportabile narrazione occidentale
Tutto questo lo diciamo da anni, da quando Erdogan era un partner affidabile, un interlocutore serio, uno statista autorevole a cui si aprivano in Occidente tutte le porte. Ora, solo ora, il “mondo” (cioè la bolla del giornalismo mainstream) si “indigna” e si “commuove”. Accade sempre e solo quando qualcuno tocca i feticci dell’opinione pubblica occidentale: mandare i tagliagole a trasformare la Siria in un carnaio è considerato ragionevole, ma per carità non ci si azzardi a mettere in galera un giornalista o a torcere un capello a un curdo. Questa narrazione tutta occidentale ha raggiunto vette di ipocrisia tali da risultare ormai insopportabile.

Gli europei sono ormai fuori dalla storia
Detto questo, va comunque segnalato come le grandi manovre del satrapo turco abbiano il valore di una spia: è l’eterno ritorno della grande politica, che segna l’eterna sconfitta della minuscola politica europea. A meno che non si voglia dare una parvenza di credibilità ai ridicoli embarghi sulle armi decisi alla spicciolata dai vari stati europei, come se la Turchia, stato membro della Nato, fosse una tribù di zulù che attende gli archibugi di Di Maio per attaccare il villaggio vicino. Ogni volta che il corno della storia squilla, gli stati europei fanno, sia separatamente che, ancor più, collettivamente, la figura degli alieni. Persi come sono nelle loro eterne discussioni sul razzismo, sul sessismo, su un punto in più o in meno di deficit, percepiscono ormai tutto ciò che avviene al di fuori come un geroglifico indecifrabile. Ma ciò che avviene al di fuori è la realtà. L’Europa ha voluto abolire la realtà, peccato che nessuno l’abbia detto ai turchi.

Quelli degli atleti turchi sono slanci patriottici
Stando tutto ciò, non stupisce l’incomprensione, ancor più che la condanna, verso le ripetute manifestazioni di orgoglio patriottico da parte degli atleti turchi di mezzo mondo. Manifestazioni che vanno sì a sostenere il farabutto di cui sopra, ma che prima ancora sono slanci di patriottismo e che quindi vanno rispettati a prescindere. Può sembrare contraddittorio tenere insieme le due cose, ma non lo è: senza questa logica della complessità, senza questa capacità di ragionare su più livelli, si precipita al livello degli editorialisti di Repubblica. È giusto invece riconoscere che, proprio perché Erdogan agisce sul piano della grande politica, egli riesce ad attivare dispositivi simbolici che qui abbiamo dimenticato, come ad esempio l’identificazione orgogliosa con la patria in guerra. E infatti il fenomeno non viene capito: di chi gioca in Turchia si dice che lo faccia perché costretto dal regime, di chi gioca fuori che agisce a distanza di sicurezza. Che la manifestazione di orgoglio nazionale possa essere spontanea non sembra possibile.
E, alla fine, la radice del nostro dramma è proprio questa, che a Erdogan non sappiamo opporre nulla: né un’altra politica di potenza, né una qualche egemonia regionale, né un patriottismo eguale e contrario. Se lui è il cattivo, noi non siamo i buoni. Noi siamo, semplicemente, il nulla.