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Sovranismo e globalismo: la grande sfida del nostro tempo

di Roberto Bonuglia - 28/06/2021

Sovranismo e globalismo: la grande sfida del nostro tempo

Fonte: Accademia nuova Italia

Alla fine del XX secolo, il critico letterario Alfonso Berardinelli, in una pagina dal sapore autobiografico volta a tratteggiare un autoritratto italiano, ammise di aver scoperto molto tardi la propria identità nazionale ritenendo, da figlio del secondo dopoguerra qual era, di «vivere naturalmente in una dimensione internazionale […] Mi sentivo americano e russo? Non proprio. Ma non riuscivo a credere di essere italiano. L’Italia era una cosa ‘superata’» [1].

L’intellettuale romano, inconsapevolmente, ammetteva di essere cresciuto, de facto, in un contesto, quello italiano, nel quale erano stati occultati «concetti come quelli di ‘nazione’ e di ‘patria’ che pure furono, con quello di ‘libertà’, le grandi idee-forza del nostro moto risorgimentale, e che […] subirono trasformazioni radicali e […] parvero addirittura consumarsi interamente negli anni del secondo conflitto mondiale» [2].

La cosa, a dire il vero, non sorprende visto che, proprio in quegli anni, a bordo della nave da guerra HMS Prince of Wales a largo di Terranova non fu stipulata solo la Carta Atlantica, ma il funerale di quello Stato-nazione simbolo stesso del primato universale dell’Europa [3]: la struttura portante del sistema dell’Europa-mondo sorto «quale proiezione nazionalitaria e poi nazionalista di una ideologia transazionale tra realtà e utopismo, tra civilizzazione e conquista» [4].

Ciò fu vero ancor più entro i confini di una Penisola ‒ la nostra ‒ nella quale, con la scomparsa della monarchia, l’unica possibilità concreta fornita agli italiani di preservare una propria identità nazionale, fu affidata ad una carta costituzionale che pose «le solide premesse di una cittadinanza democratica, ma su basi culturali che stentavano a farne l’elemento portante di una nuova identità collettiva» [5].

Il che trovava conferma non tanto nella seconda parte dell’Art. 1 ‒ «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» ‒ ma nella sua scarsa considerazione, come testimoniato dall’assenza di qualsiasi riferimento a tale espressione nella stessa prefazione al testo redatta da Umberto Terracini ‒ presidente dell’Assemblea Costituente ‒ il quale se ne guardò bene dal citarlo e prenderlo in considerazione in una delle prime edizioni a stampa della nostra Costituzione [6].

La sovranità, dunque: concetto da sempre scomodo e mal tollerato prima entro gli italici confini ‒ dove la critica non disinteressata allo Stato nazionale ha comportato, de facto, «la sua delegittimazione anche attraverso un mix di oblii e demonizzazioni del passato» [7] ‒ e, poi, nella sua dimensione europea, internazionale e globale come risultante degli assetti politico-economici usciti vincenti dal Secondo conflitto: bisognosi, quanto mai, di nuovi riferimenti culturali e, al tempo stesso, di eliminare le basi del mondo che volevano sostituire.

Il dibattito sul sovranismo, intensificatosi negli ultimi anni, non a caso, ha faticato molto «a elevarsi dalla fanghiglia in cui certi influencer globalisti hanno tentato di gettarlo» [8] impegnati come sono stati a: confonderlo strumentalmente col populismo; demonizzarne anche solo l’evocazione; ridurlo sovente a fenomeno da baraccone anche di fronte ad affermazioni storiche, come la “Brexit” [9]; rubricarlo come «epidemia» [10] nonché a «malattia psichica» [11].

A dare una scossa nella giusta direzione ci pensa ora Valerio Benedetti che con Sovranismo. La grande sfida del nostro tempo (Altaforte, 2021) in un corposo e documentato saggio scandaglia, in ogni suo aspetto, il fenomeno da diversi punti di vista: politico, certo, ma anche culturale, filosofico ed economico.

Molti gli spunti di riflessioni offerti dalla lettura che, tra le altre cose, svetta per completezza e puntualità bibliografica. In primis, l’assunzione di un obiettivo nobile quanto ambizioso: «dimostrare che il sovranismo, diversamente dal populismo, non solo ha tutti i crismi per imporsi come una categoria politologica in grado di reggere il confronto con la controparte globalista, ma è anche un collettore capace di generare una vera dottrina politica» [p. 7]. In secondo luogo, un’analisi che muove centrando il momento focale nel quale affonda le radici la madre di tutte le battaglie quella, cioè, mossa dal globalismo alle differenze, alle identità e alle libertà: la nascita della Scuola di Francoforte.

È lì, infatti, che «i suoi animatori […] abbandonando l’ortodossia marxista […] consumarono a ridosso delle rivolte studentesche la grande frattura con Marx […] e si ritrovarono paradossalmente a difendere il capitalismo» [pp. 39-40]. È quello, insomma, il momento nel quale da Francoforte parte l’assalto ad Atene, ossia l’operazione volta a recidere le radici culturali attraverso l’affermazione della borghesia, il primato dell’economia sulla politica inaugurando un lungo inverno della civiltà «annunciato dal trionfo dell’Io, dal fondersi dell’organico e dell’inorganico, dalla stessa gnoseologia dell’esistenza in sé non separabile da un mondo ridotto al rango di molle terra in “analogo divino”» [12].

Non sorprende, quindi, che per i “padrini” dell’ideologia globalista «all’anima romantica, guerriera, eroica e sovrumanista» dell’Europa vada preferita quella «universalista, razionalista, scientista, egualitarista e […] illuminista» [p. 43]. Il che è emerso nel primo progetto globale: abbattere tutte le frontiere basandosi sul claim «siamo tutti migranti» [p. 42], sacrificando i diritti territoriali degli Stati a favore di quelli individuali legittimando l’operazione sul monopolio della morale e sull’assunto teorizzato da Roland Dumas [13] del prevalere del diritto dell’umanità su quello, appunto, delle Nazioni.

È così che le migrazioni, tra il XX ed XXI secolo, sono diventate il primo «elemento sovversivo della sovranità» venendosi a configurare come «un affronto ai popoli etnici e allo Stato nazionale» [p. 47]. Il tutto, ben condito dall’abile uso strumentale del linguaggio che, in nome dell’umanitarismo globale, ha etichettato proprio i migranti come “risorse” tralasciando maliziosamente ‒ come solo il buonismo radical chic sa fare [14] ‒ di specificare per chi lo fossero [15].    

Un mix, insomma, di «intolleranza ideologica del globalismo e […] arroganza delle élite internazionali» [p. 80] che trae la sua forza, ieri come oggi, «dal linguaggio, dai concetti, dal sapere, che sono stati addomesticati e piegati ai suoi fini: sicché, quando crediamo di esprimere dei dati di fatto, in realtà stiamo solo ripetendo, come tanti pappagalli ammaestrati, le filastrocche le giaculatorie che i Padroni del Discorso ci hanno inculcato a nostra insaputa, sin dalla più tenera età, per mille vie, dirette e indirette, come in realtà si addice ai più occhiuti totalitarismi» [16].

In tal senso, il sovranismo non è che la risultante di una reazione a tutto questo: «l’ira di Achille che, in tutta la sua solennità epica, apre l’Iliade, il poema fondativo della tradizione spirituale e artistica degli europei […] la vigorosa manifestazione dell’energia auto-affermativa di un uomo offeso e umiliato […] lo sdegno di chi è stato defraudato del suo onore e della sua dignità» [p. 80].

E che chiede, in estrema sintesi, di non dover più trovarsi a pensare, come nella citazione da cui siamo partiti, che l’identità ‒ italiana o meno, poco cambia ‒ debba essere qualcosa di superato. Il sovranismo si configura, perciò, come l’hashtag della reazione di chi voglia ergersi a difesa del proprio diritto di «calarsi nell’agone storico, gettarsi nella mischia, immergersi nel conflitto. Per affermare la propria libertà […] la propria volontà di esistenza e di potenza» [p. 305].

Una prospettiva ed una sfida, quindi, che è molto più che politica, tirando ‒ inevitabilmente ‒ in ballo la necessità di riprendersi il proprio destino e il proprio posto nella storia reagendo alla «sfacciataggine di chi ci sta dicendo, in sostanza, che dobbiamo accettare in silenzio la dittatura di un gruppo di potere senza volto, perché così esso ha deciso» [17].

Va dunque difeso il diritto di continuare ad esistere visto che la grande sfida tra sovranismo e globalismo «non è per nulla una leale contesa tra rivali che si riconoscono vicendevolmente, ma sta assumendo le fattezze di una guerra per l’annientamento» [p. 5].

Come ogni guerra di questo tipo, la vittoria passa per la consapevolezza dell’asperità dello scontro. Le pagine che abbiamo letto, in effetti, forniscono le giuste armi culturali per chi non vuole rinunciare al suo posto nella storia. Alla faccia della Bruxelles ordoliberale e dell’incesto liberal-marxista dal quale è nato il globalismo, tanto per dirla con Benedetti.

 

 

Note:

 

[1] A. Berardinelli, Autoritratto italiano. Un dossier letterario 1945-1998, Roma, Donzelli, 1988, pp. 51-86.

[2] V. de Caprariis, L’Italia contemporanea, 1946-1953, in Id., Scritti, vol. III, Momenti di storia italiana del ‘900, a cura di T. Amato e M. Griffo, Messina, P&M, 1986, p. 103.

[3] R. Bonuglia, Focus Storia. 7 maggio 1945 e tutti gli sconfitti: 75 anni senza guerra e senza Stato, in «Barbadillo», dell’8 maggio 2020.

[4] G. Aliberti e F. Malgeri, Due secoli al Duemila. Transazione, mutamento, sviluppo nell’Europa contemporanea (1815-1998), Milano, LED, 1999, p. 16.

[5] P. Scoppola, La Costituzione contesa, Torino, Einaudi, 1998, p. 84.

[6] U. Terracini, La Costituzione e i diritti del lavoro, in AA.VV., Costituzione della Repubblica Italiana, a cura di A. Rinaldini e P. Giachetti, Roma, Superstampa, [s.d.].

[7] P. Simoncelli, Ecco perché gli studi storici stanno morendo: sono pericolosi, in «Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale», a. XX, n. 57, del settembre-dicembre 2017, p. 205.

[8] V. Benedetti, Sovranismo. La grande sfida del nostro tempo, Milano-Roma, Altaforte, 2021, pp. 18-19.

[9] B.H. Lévy, Così con la Brexit ha vinto un sovranismo ammuffito, in «Corriere della Sera», 27 giugno 2016.

[10] Cfr., S. Romano, L’epidemia sovranista. Origini, fondamenti e pericoli, Milano, Longanesi, 2019.

[11] Ci si riferisce all’intervento di Massimo Recalcati che presentando un suo libro affermò «nella mia lettura, che è una lettura clinica, il sovranismo non è solo un fatto politico, ma un fatto psichico», cfr., V. Benedetti, «Il sovranismo è una malattia psichica»: così la sinistra dichiara la sua impotenza, in «Il Primato Nazionale», del 26 novembre 2019.

[12] P. Buttafuoco, Osvald Spengler e il suo tramonto dell’Occidente, in «Gnosis. Rivista italiana di intelligence» n. 4, del 2017, p. 194.

[13] «Il “diritto d’ingerenza umanitaria” ha in Francia due padri nobili: il ministro Roland Dumas e il sottosegretario Bernard Kouchner. Il primo gli ha dato l’impostazione giuridica, che è servita per riformare la prassi del diritto internazionale. Il secondo ne è stato il più accanito propagandista, adesso con l’Irak e i curdi, in precedenza con la Romania e il Sudan», R. Meloni, La Francia convince l’ONU, aiuti e tutela alle minoranze represse, in «Corriere della Sera», del 7 aprile 1991.

[14] R. Bonuglia, Tra sovranismo e populismo: ecco perché serve “Una Nazione”, in «Il Primato Nazionale», del 13 giugno 2020.

[15] Ben spiegato, invece, per chi volesse approfondire, in G. Damiano, Elogio delle differenze. Per una critica della globalizzazione, Padova, Edizioni di Ar, 1999, pp. 134-135.

[16] F. Lamendola, Il tumore che ci sta divorando si chiama liberalismo, in «Quaderni Culturali delle Venezie» dell’Accademia Adriatica di Filosofia “Nuova Italia”», del 9 gennaio 2020.

[17] C.M. Viganò, Una meditazione sul “grande ripristino” in arrivo nel mondo, in «Corriere delle regioni», del 2 dicembre 2020.