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Sull'altra sponda

di Luigi Rossi - 25/04/2017

Sull'altra sponda

Fonte: Appello al Popolo

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L’attuale conflitto intestino che sta insanguinando la Libia va sotto il nome di “Seconda guerra civile libica” e convenzionalmente si fa iniziare dal maggio del 2014, quindi due anni e mezzo dopo la morte di Muhammar Gheddafi. L’odierno conflitto oppone due schieramenti principali: un governo la cui sede provvisoria si trova nella città di Tobruk, presieduto dal primo ministro Abdulah Al-Tani e il cui comandante delle forze armate è il generale Khalifa Haftar, e un governo di Tripoli, il cui braccio armato è principalmente costituito dalle milizie di Misurata. Il “terzo incomodo” del conflitto è lo Stato Islamico o Daesh, lo stesso della Siria che, pur avendo perduto il controllo del centro più importante che occupava, ossia la città di Sirte, risulta ancora essere sporadicamente presente sul territorio. Il governo di Tripoli, il cui Presidente del Consiglio è Fayez Al-Sarraj, è l’esecutivo ufficialmente riconosciuto dal governo italiano e dai principali paesi della NATO, tra cui Stati Uniti e Gran Bretagna. Sull’opportunità di questa scelta vale però la pena di soffermarsi approfondendo alcune considerazioni.

 

Il governo di Al-Sarraj controlla attualmente solo una parte della Tripolitania e non è presente né in Cirenaica né nell’area del Fezzan. Peraltro, nella stessa Tripolitania le cose non gli vanno molto bene: la città di Sabha è per metà occupata dall’esercito di Haftar, così come la regione desertica a sud di essa; inoltre, la zona di Zintan è nelle mani di brigate fedeli a Tobruk. Sempre in Tripolitania, alcuni centri rimangono sotto il controllo delle milizie di Khalifa Ghwell, un ex-ministro ostile all’esecutivo della capitale e che si è reso protagonista di un tentativo di colpo di stato alcuni mesi fa. La stessa composizione delle forze armate fedeli ad Al-Sarraj suscita fortissime perplessità. Ad eccezione delle milizie di Misurata, una buona parte delle brigate di Tripoli sono formate da islamisti ed estremisti religiosi. I Fratelli Musulmani, riuniti nel Partito della Giustizia e della Costruzione, sono una delle colonne portanti delle forze armate tripolitane; Ansar Al-Sharia è una formazione estremista fortemente radicata a Bengasi e alleata di Sarraj; il famigerato Abdelhakim Belhadj, terrorista ex affiliato di Al-Qaeda e fedelissimo di Bin Laden, è ora uno dei più importanti capi militari del governo tripolitano. Ad eccezione del Daesh, tutte le milizie islamiste in Libia sono in qualche modo legate al governo di Tripoli. Recentemente Fayez Al-Sarraj ha perduto l’appoggio dell’importante tribù libica dei Gharyan e ha perso il controllo sul NOC, l’agenzia petrolifera del paese. In parole semplici, gli unici garanti della laicità dello stato libico sono il governo di Abdulah Al-Tani e le forze armate di Khalifa Haftar. L’esecutivo di Tobruk è anche il più vicino all’obiettivo di riunificare e stabilizzare la Libia. Attualmente, Al-Tani gode dell’appoggio di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Russia e Francia, unica eccezione in campo occidentale; particolarmente significativo è l’appoggio russo, dal quale pare che stiano arrivando supporti di tipo militare e logistico. Tutte queste considerazioni portano a concludere che l’Italia abbia puntato sull’alleato sbagliato, quello con meno possibilità di riuscita nel pacificare la Libia e quello più compromesso con forze jihadiste e terroriste.

 

È probabile non si sia trattato di un errore involontario, ma assolutamente deliberato: il governo italiano ha riconosciuto il governo di Al-Sarraj come legittimo in quanto impostogli dagli Stati Uniti d’America, cui la classe politica italiana è ormai da decenni abituata ad obbedire a bacchetta, e gli USA hanno scelto di appoggiare Al-Sarraj proprio perché incapace di riunificare la Libia e quindi rappresenta ai loro occhi un’ottima pedina nel loro progetto di mantenere la Libia sotto forma di stato fallito, incapace di tornare ad essere una potenza economica e politica com’era ai tempi della Jamahiriya. Gli interessi del nostro Paese sono però altri. Al popolo italiano conviene che dall’altra parte del Mediterraneo vi sia uno stato stabile, unito e laico, dove ogni forma di jihadismo sia bandita e respinta. Una nazione possibilmente amica. Agli italiani interessa che la Libia non diventi mai un trampolino di lancio per il terrorismo integralista, ma che resti un punto di riferimento sicuro per i nostri interessi commerciali. L’attuale governo della nostra Penisola è orientato a politiche diametralmente opposte e questo è uno dei principali motivi per cui dobbiamo sbarazzarcene quanto prima.