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Trump interrompe la strategia di Obama?

di Claudio Mutti - 12/07/2020

Trump interrompe la strategia di Obama?

Fonte: Eurasia

Non è possibile ignorare il fenomeno delle attuali proteste negli Stati Uniti. Dietro di esse, vediamo un conflitto tra due fazioni politiche rivali: una è rappresentata dal Presidente Trump e dai suoi sostenitori, l’altra dall’ala liberal, che per lo più si raggruppa attorno al Partito Democratico. Come vede questo scontro? Il professor Cornel West parla di una “implosione dell’impero”. Si tratta di un conflitto razziale o di un conflitto di classe o di qualcosa d’altro?
Non mi sembra un conflitto di razza, poiché nelle immagini delle manifestazioni di protesta si vede una maggioranza di bianchi. È verosimile, a mio parere, che si tratti sostanzialmente di una campagna preelettorale a favore del Partito Democratico, non del preludio di una guerra civile etnica. Insomma, mi sembra un fenomeno inquadrabile nella dialettica tra le due tendenze interne al potere statunitense: da una parte gli ambienti che si identificano col processo di globalizzazione finanziaria, dall’altra la posizione rappresentata dal trumpismo, che invece è favorevole alla rilocalizzazione delle imprese.

Si cerca di spiegare questo conflitto interno alle élites politiche statunitensi come uno scontro fra “sovranisti” e globalisti”, nel quale Trump rappresenterebbe, sulla scena politica nordamericana, una “corrente isolazionista” avversaria del “globalismo”. Che cosa pensa dell’”isolazionismo” di Trump?
L’isolazionismo è, propriamente, la tendenza di uno Stato a rinchiudersi entro i propri confini disinteressandosi delle vicende internazionali. Ora, non credo proprio che sia questa la tendenza dell’Amministrazione Trump. Nel suo discorso pronunciato all’Accademia Militare di West Point il 28 maggio 2014, il presidente Barack Obama affermò che il costo delle azioni militari all’estero era troppo elevato e che quelle intraprese senza considerarne le conseguenze si risolvono in disastri economici. Perciò, nei casi in cui gli Stati Uniti non sono minacciati direttamente non è necessario un intervento diretto, ma occorre utilizzare gli alleati regionali, coinvolgendoli in guerre per procura. Questa strategia, già applicata contro l’Iran con la guerra d’aggressione scatenata dall’Irak, è stata applicata in Siria e in Yemen. Nel Vicino Oriente, Trump ha semplicemente proseguito su questa linea strategica di ingerenza indiretta, finalizzata alla destabilizzazione per garantire gli interessi degli Stati Uniti. In questo quadro, ha rinsaldato l’alleanza degli USA coi regimi wahhabita e sionista. Per quanto riguarda l’Europa, Trump sta intensificando la pressione sulle frontiere della Russia: gli USA hanno rafforzato la loro presenza militare in Polonia, e probabilmente i soldati statunitensi allontanati dalla Germania saranno dislocati nel “Fort Trump” in territorio polacco.

Qual è la vera ragione dell’inasprimento della politica statunitense nei confronti della Cina, questa nuova Guerra Fredda che è culminata nelle gravi accuse del Presidente Trump contro la Cina (“virus cinese”, “peste cinese” ecc.)? O in affermazioni come quelle di Mike Pompeo, che fra l’altro ha detto: “Sufficienti indizi provano che il coronavirus proviene dal laboratorio biologico di Wuhan”.
Oggi la Cina è la prima potenza industriale del mondo, la prima potenza commerciale e la principale importatrice di materie prime. Ha il più grande esercito del mondo, possiede l’arma nucleare ed è una potenza spaziale. Dopo essersi installata nel continente africano, essa si appresta a realizzare il grandioso progetto della nuova Via della Seta per che la collegherà all’Asia centrale, alla Russia, all’Europa, al Vicino Oriente, al Sudest asiatico. Davanti alla prospettiva di una superpotenza eurasiatica di tali dimensioni Washington senta minacciato il suo dominio egemonico e consideri la Cina come un „rivale strategico“. Perciò, oltre a continuare la guerra commerciale contro la Cina, gli Stati Uniti intensificheranno le loro provocazioni: dal Mar Cinese Meridionale, a Hong Kong, allo Xinjiang. Per quanto concerne l’Europa, dove l’Italia ha firmato un accordo con Pechino per la nuova Via della Seta, gli Americani faranno di tutto per indurre gli Europei a schierarsi con loro in un “blocco occidentale” simile a quello dei tempi della guerra fredda.

Come vede le attuali relazioni fra USA e UE, anzi, tra gli Stati Uniti e il continente europeo?
L’Europa è militarmente occupata dagli Stati Uniti, che nel 1945 ne hanno occupato una metà e nel 1989 l’altra metà. In tutta Europa, dall’Islanda alla Polonia al Mediterraneo, sono stanziate decine e decine di basi ed installazioni militari statunitensi, con o senza copertura NATO. L’“europeismo” ufficiale, in quanto negazione pratica della sovranità europea a vantaggio di un universalismo incentrato sui “valori occidentali”, è funzionale agl’interessi statunitensi. Gli avversari dell’“europeismo”, ossia i cosiddetti “sovranisti”, sono estremamente critici verso l’Unione Europea e, spesso, verso l’Europa tout court. Ignorando i principi elementari della geopolitica dei “grandi spazi”, si attestano su posizioni che sono anch’esse subordinate e funzionali all’occupazione statunitense dell’Europa. Inoltre, la presenza di Trump al vertice dell’Amministrazione USA ha fatto riemergere, nei movimenti “sovranisti”, “nazionalisti”, “populisti” ed “euroscettici”, quella vena filoamericana che era rimasta sotterranea finché l’amministrazione di Obama e della Clinton aveva fatto propria l’ideologia “liberal”. I cosiddetti “sovranisti”, infatti, sperano che gli USA a conduzione trumpista intervengano come “liberatori” a contrastare il peso della Germania in Europa. Washington infatti è seriamente preoccupata per la politica tedesca: non solo perché Berlino ignora la necessità di aumentare la spesa per la NATO al 2% del PIL, ma anche perché, nonostante la minaccia di sanzioni, le autorità tedesche stanno partecipando alla costruzione del gasdotto russo Nord Stream-2.

Quale influenza esercitano oggi gli USA e i loro servizi in Italia, special mente sulla scena politica italiana? Come valuta il ruolo e l’influenza di Steve Bannon in Europa? È davvero l’“ex” stratega di Trump? O è invece il “cervello di Trump” e l’ufficioso inviato americano in Europa?
Appena diventato vicepresidente del Consiglio dei Ministri e ministro degl’Interni nel primo governo di Giuseppe Conte, Matteo Salvini fu il primo esponente di un governo europeo ad annunciare la propria adesione a The Movement, il movimento “sovranista” e “populista” internazionale di Steve Bannon. Questi dichiarò: “Io ho semplicemente esortato Salvini e i suoi a provare a fare questo governo. Ho dato consigli che poi sono stati ascoltati”. Poco dopo, Giorgia Meloni invitò Steve Bannon ad Atreju, la festa di Fratelli d’Italia; in quella circostanza anche lei annunciò l’adesione del suo partito a The Movement. In seguito, il 12 novembre 2019, la Meloni fu invitata dall’ambasciatore statunitense a Roma, Lewis Eisenberg, ad un incontro riservato nella residenza del diplomatico. Alla fine di maggio, in un’intervista al “Corriere della Sera”, Bannon ha annunciato che all’inizio del 2021 sarà inaugurata nella Certosa di Trisulti, nel Lazio, la sua “scuola dei gladiatori del populismo e nazionalismo”, per “diffondere i caposaldi della fede giudaico-cristiana”. “All’orizzonte – ha detto Bannon – si addensano nubi di guerra. L’Europa deve capire che siamo di nuovo nel 1938. L’ho predicato per due anni girando l’Europa ed è più pressante che mai nella settimana in cui il Partito comunista cinese reprime le libertà di Hong Kong”.

Oltre che alla geopolitica, Lei si è dedicato ad una ricerca in profondità delle tradizioni dell’Eurasia, ponendone in luce l’essenziale unità o convergenza, sulla traccia delle ricerche di Mircea Eliade. Lei ha prestato particolare attenzione alle tradizioni est-europee, che è impossibile classificare come “occidentali”. In effetti, il moderno “Occidente” è incompatibile con l’Eurasia e con le sue tradizioni culturali, spirituali e storiche. Vuol dire qualcosa a tale proposito?
Sarebbe sufficiente osservare il planisfero di un qualunque atlante geografico, per rendersi conto che l’Occidente della geografia terrestre coincide con il continente americano e con le acque oceaniche che lo circondano. L’Europa, quindi, non è Occidente, in quanto si trova nell’emisfero orientale ed è parte integrante di quell’unità continentale che si chiama Eurasia. Se l’Europa ha un rapporto di continuità naturale con altre parti del mondo, queste non sono dunque le Americhe, ma l’Asia e l’Africa. Perciò dal punto di vista geopolitico il concetto di Occidente è uno strumento ideologico dell’imperialismo statunitense per tenere legata a sé l’Europa. Sotto il profilo culturale, il concetto di Occidente è sinonimo di “modernità”. Ma allora i tentativi di individuare le radici dell’Occidente nell’antica Grecia, nella civiltà romana o nella cristianità latino-germanica risultano ingiustificati ed illegittimi. Una cultura come quella greca, che non produsse soltanto il razionalismo sofistico dal V sec. a. C. e l’atomismo democriteo ed epicureo, ma si espresse anche e soprattutto nei Misteri, nella teologia di Eschilo e di Pindaro, nella metafisica di Platone, nel neoplatonismo teurgico e mistico, non può essere seriamente presentata come antesignana della modernità, che è, Weber docet, “disincanto del mondo”. Un discorso analogo vale per Roma, la cui civiltà si basa su quanto vi è di più irriducibile alle esigenze della modernità: ossia sull’identificazione dell’ambito religioso con quello giuridico e politico. Dell’ “Occidente” medioevale, poi, non dovrebbe essere neanche il caso di parlare, perché la modernità comincia la sua marcia trionfale quando esso tramonta.

Intervista a Claudio Mutti a cura di Boris Nad
„Pečat“ (Belgrado), 3 luglio 2020