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Un futuro come Gattaca. Gli antirazzisti progressisti hanno un problema col concetto di eredità

di Rodolfo Casadei - 11/06/2020

Un futuro come Gattaca. Gli antirazzisti progressisti hanno un problema col concetto di eredità

Fonte: Tempi

Il Financial Times, non Fox News o FrontPageMag, in un lungo servizio dedicato alle diseguaglianze economiche che affliggono gli afro-americani ha pubblicato una tabella prodotta dallo US Bureau of Labor Statistics, braccio statistico del ministero del Lavoro, dalla quale si evince che negli otto anni di presidenza di Barack Obama il reddito settimanale di un afro-americano, già inferiore di poco meno del 20 per cento a quello medio generale quando il senatore democratico è salito al potere, è diminuito un altro po’, mentre nei quattro anni della presidenza del suprematista bianco Donald Trump ha conosciuto alti e bassi, poi è rimontato fino all’inizio della pandemia di coronavirus, dopodiché è nuovamente sceso.

Prendersela con le statue
Considerata la bontà intrinseca della causa anti-razzista, ai manifestanti che protestano per la brutalità poliziesca sperimentata più spesso dagli afro-americani che dagli altri gruppi di popolazione si può perdonare di non conoscere le statistiche sul fallimento delle ultime amministrazioni presidenziali democratiche Usa (per non parlare delle amministrazioni comunali democratiche, di cui abbiamo scritto su Tempi mensile) in materia di lotta alle diseguaglianze e ai comportamenti delle forze dell’ordine (a Minneapolis, a New York e in altre città dove si sono registrati episodi di abusi da parte della polizia nei confronti di afro-americani i sindaci sono democratici). Soprattutto si può perdonare quando si tratta di manifestanti che manifestano per solidarietà internazionale, in Inghilterra anziché in America. Ma non si possono perdonare quelli fra loro che se la prendono con le statue, quelli cioè che si credono il tribunale della storia, chiamano sul banco degli imputati gli avi e dopo un processo senza avvocati difensori li condannano alla damnatio memoriae, simboleggiata dallo sbullonamento o dalla vandalizzazione. Costoro infatti, mentre si illudono di combattere il pregiudizio razziale contemporaneo intentando processi alla storia, finiranno per consegnarci tutti a un nuovo razzismo biologista e tecnocratico, prodotto ultimo dell’ideologia progressista.

Meglio Hitler di Churchill?
Gli antirazzisti progressisti hanno un problema col concetto di eredità. Per loro la civiltà non è qualcosa che noi possiamo sviluppare e trasformare perché l’abbiamo ereditata dal passato grazie agli avi che ce l’hanno trasmessa. No: la civiltà comincerà domani, dopo che tutte le barbarie della storia ancora presenti saranno state cancellate. Quando non ci saranno più razzismo, xenofobia, diseguaglianza, schiavismo, sessismo, maschilismo, omofobia, islamofobia, antisemitismo e qualcos’altro ancora, allora potremo dire di essere civili. Perciò le statue e altri simboli (nomi di vie, di città, di navi, ecc.) di personalità che sono collegabili ai mali sopra elencati meritano di essere cancellati e rimossi. Ma c’è un problema: le statue dei personaggi del passato sono fra noi a causa dei loro meriti storici, e i loro meriti sovrastano i loro demeriti, a volte in assoluto, a volte in relazione al tempo e al luogo in cui vissero. I manifestanti che non solo nei giorni scorsi ma più volte in passato hanno vandalizzato la statua di Winston Churchill a Londra a motivo dei suoi pregiudizi razziali che oggi lo farebbero definire un suprematista bianco, dimenticano, o forse addirittura ignorano, che è in buona parte grazie a lui se un führer tedesco molto ma molto più razzista di lui non ha vinto la Seconda Guerra mondiale. E se il mondo del secondo dopoguerra fosse stato affidato alle mani vincitrici degli eredi di Hitler anziché a quelle degli eredi di Churchill, oggi la metà nera dei manifestanti che inveiscono contro l’ex premier britannico lavorerebbero come schiavi nei campi o nelle miniere, mentre la metà bianca dividerebbe il suo tempo fra attività militari, parate di regime e comportamenti padronali nei confronti dei sottoposti.

Chi era Edward Colston
Qualcuno ha detto che effettivamente prendersela con Churchill vuol dire non avere il senso della storia, ma diverso è il caso di Edward Colston, illustre cittadino di Bristol la cui statua è finita nelle acque del fiume Avon dopo essere stata abbattuta e sfigurata dai manifestanti che protestavano contro la morte per mano poliziotta di George Floyd a Minneapolis. Colston, vissuto a cavallo fra XVII e XVIII secolo, era sì un imprenditore, un membro del parlamento e un filantropo, ma era soprattutto un mercante di schiavi. Più di un quarto degli africani trasportati nelle navi della Royal African Company di cui era socio (ma anche una proporzione simile di marinai della ciurma) morivano durante il viaggio fra l’Africa e le Americhe. Ma Colston è stato anche un grande benefattore della città di Bristol, avendo fatto costruire col suo denaro e donare alla città scuole, case per edilizia popolare, chiese e ospedali. Una delle società filantropiche da lui fondate – la Dolphin Society – esiste ancora, e assiste anziani poveri riparando gratis le loro case e i loro impianti di riscaldamento e fornendo dispositivi di allarme coi quali possono avvisare familiari o personale medico in caso di emergenza. Si calcola che le donazioni liberali di Colston al giorno d’oggi equivarrebbero a 13 milioni di euro. Il punto è abbastanza chiaro: se Colston deve essere cancellato dall’albo d’oro di Bristol, per coerenza la città dovrebbe rinunciare ai benefici che nei secoli da lui ha ricevuto sia attraverso lo stimolo economico rappresentato dall’immissione dei profitti dei suoi commerci nell’economia cittadina, sia più direttamente dalle opere filantropiche che ha donato alla comunità e che in alcuni casi sopravvivono fino ad oggi. Dovrebbe calcolare il valore odierno dei profitti di Colston, raccoglierli attraverso tasse ed espropri e versare la somma ai discendenti degli africani morti durante la traversata oceanica e di quelli trasferiti nelle Americhe contro la loro volontà come schiavi.

E allora Voltaire, Washington e Kant?
Ma se questo modo di procedere dovesse essere generalizzato in nome della coerenza della virtù – mentre fino ad oggi gli antirazzisti bianchi si fanno belli con le pose virtuose ma continuano a godere dei benefici storici delle ingiustizie che condannano – le conseguenze sarebbero la cancellazione pura e semplice di tutto il nostro passato e il collasso della economia di molti grandi paesi industrializzati. George Washington e Thomas Jefferson, presidenti americani la cui effige compare sulle banconote da 1 e da 2 dollari, possedevano schiavi afro-americani; Voltaire disprezzava i neri e odiava gli ebrei; Richard Wagner era un antisemita convinto, così come disprezzavano gli ebrei Kant, Fichte, Hegel e naturalmente Nietzsche. Kant riteneva che i bianchi fossero la più perfetta delle razze. Per Aristotele i rapporti fra uomo e donna dovevano essere rapporti fra superiore e inferiore, fra governante e governato. L’Italia dovrebbe liberarsi delle sue statue di condottieri e imperatori romani – quasi tutti genocidari, detentori di schiavi, fautori dei valori patriarcali – e per coerenza versare cospicui indennizzi ai discendenti dei popoli da loro sottomessi. Gli Stati Uniti stanno già facendo da tempo piazza pulita di statue, anniversari e toponomastiche per una serie di personalità che vanno da Cristoforo Colombo al generale sudista Robert Lee. Quando nel 1994 il critico letterario Harold Bloom pubblicò il suo famoso Canone occidentale, che comprende 26 autori da Dante Alighieri e William Shakespeare a Samuel Beckett e Fernando Pessoa, fu criticato come razzista e sessista perché nell’elenco compaiono solo tre donne e nessun non bianco.

Un mondo senza memoria e tradizione
In realtà anche i non bianchi non se la passerebbero bene in un mondo dove il politicamente corretto detta legge: anche africani e asiatici, cinesi e giapponesi, islamici ed ebrei, latinos e afroamericani sono accusabili di misoginia, machismo, omofobia, xenofobia, etnocentrismo, sciovinismo, e altro ancora. Alla fine ci troveremmo a vivere in un mondo dove ciascuno è invitato a tagliare i ponti col suo passato, a tenere in sospetto la propria tradizione e la propria civiltà, a rinnegare i propri antenati, a disconoscere il debito di gratitudine verso chi ci ha preceduto. Un mondo di individui senza memoria e senza tradizione, senza punti di riferimento culturali e senza sentimenti positivi verso la propria storia e verso la propria  genealogia, che per i loro rapporti con gli altri esseri umani non avrebbero altra bussola che le tavole della legge di un elenco sempre più lungo e costantemente aggiornato di diritti altrui da rispettare nel mentre che si rivendicano i propri.

Un futuro come Gattaca
In un mondo del genere agli esseri umani non resterebbero che le caratteristiche morfologiche e le propensioni e le predisposizioni misurabili con strumenti che vanno dal quoziente di intelligenza ai test psicoattitudinali. In nome dell’uguaglianza e del definitivo superamento dei mali intrinseci alle culture storiche, ogni essere umano verrebbe semplicemente misurato in base a parametri oggettivi e assegnato alla corrispondente categoria. Demonizzati la cultura e la civiltà, gli affetti che legano alla famiglia, alla stirpe, alla comunità, alla patria, alla propria storia, si torna al dato di natura, che sarà interpretato dalla biologia e dalla psicologia e quindi consegnato alle possibilità della tecnologia, che non sono le stesse per tutti. Come nel film Gattaca, ci sarà chi è stato ingegnerizzato sin dal grembo materno per essere dotato delle qualità più eccellenti e chi è venuto al mondo alla vecchia maniera, col suo precario corredo genetico. Non ci sarebbe più il vecchio razzismo del colore e delle etnie, ma un razzismo bio-tecnologico nuovo di zecca.