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Uno sguardo sulla guerra in Ucraina

di Alain de Benoist - 26/07/2025

Uno sguardo sulla guerra in Ucraina

Fonte: GRECE Italia

A tre anni e mezzo dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina, Alain de Benoist denuncia le illusioni di un’Europa ormai trasformata in un teatro di guerra, lontana dal suo presunto ideale di pace, e analizza gli eccessi morali e ideologici che hanno paralizzato ogni tentativo di mediazione, facendo precipitare il continente in una crisi esistenziale.
Per giustificare la costruzione dell’Europa, si è ripetuto per mezzo secolo che «Europa significa pace». Oggi, Europa significa guerra. Sono passati tre anni e mezzo da quando le truppe russe sono entrate in Ucraina. Il bilancio umano, stimato in circa un milione e mezzo di morti e feriti, è enorme. A questo si aggiunge la profonda tristezza di chi, come me, ha amici sia ucraini che russi e prova solo orrore all’idea che si stiano massacrando a vicenda.
Parallelamente, da oltre tre anni, i sostenitori dell’Ucraina e quelli della Russia portano avanti senza sosta le loro argomentazioni, naturalmente senza mai convincersi a vicenda. È ora di prendere le distanze da queste polemiche e, soprattutto, di fare un passo indietro.

Permettetemi di iniziare con un’osservazione.
In generale, quando scoppia una guerra, i non belligeranti possono adottare diversi atteggiamenti. In primo luogo, possono scegliere di sostenere una delle due parti, cosa che normalmente fanno in considerazione dei propri interessi. Poiché i rispettivi interessi non sono gli stessi, è probabile che non tutti facciano la stessa scelta. Nel caso dell’Ucraina, tuttavia, questo è ciò che è accaduto. I Paesi occidentali, che non avevano interessi vitali da far valere in questa vicenda, hanno quasi tutti scelto di allinearsi alle posizioni americane e si sono schierati a favore di un sostegno incondizionato al campo ucraino. Nessuno di loro è stato quindi in grado di assumere una posizione di terzietà. Questo è un fatto molto importante.
Già nel 1907 Georg Simmel sottolineava l’importanza delle terze parti nei conflitti. La terza parte può adottare una posizione di neutralità. Può anche usare la sua non appartenenza al campo belligerante per influenzare la situazione, offrendo una mediazione per raggiungere una soluzione politica dei problemi che hanno portato alla guerra. Può agire come mediatore o arbitro. Invece di perpetuare la guerra, contribuisce così alla pace.
Tuttavia, questo ruolo di terza parte non è più possibile. Perché? Perché la guerra è cambiata. La guerra tradizionale era come un duello. Metteva i nemici l’uno contro l’altro, riconoscendo che ciascuno poteva avere le proprie ragioni. Ma la guerra moderna non è più una guerra «con un nemico giusto» (justus hostis), è un ritorno alla guerra «con una causa giusta» (justus causa) del Medioevo. Ciò significa che si tratta di una guerra ideologica, una guerra al tempo stesso religiosa e morale, una guerra del Bene contro il Male in cui il colpevole morale sostituisce il nemico politico. La neutralità viene quindi assimilata a una scelta di parte che non vuole pronunciare il suo nome, in altre parole alla complicità. La terzietà viene così squalificata. Ma se la terzietà non esiste più, nessuno può offrire una mediazione per raggiungere una soluzione pacifica.
Quando è scoppiata la guerra tra Russia e Ucraina, gli europei non si sono chiesti: dove sono i nostri interessi? Si sono chiesti: chi sono i cattivi, chi sono i buoni? L’Ucraina è diventata il Regno del Bene, la Russia l’Impero del Male, mentre i pacifisti sembravano essere evaporati.
Perché? La risposta che viene subito in mente è che la Russia era l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito. Era quindi necessario punire l’aggressore, che aveva anche «violato il diritto internazionale».
Questa non è una spiegazione. La posizione occidentale è stata ispirata dai principi idealistici e morali della Società delle Nazioni: in un conflitto bisogna sempre dare torto all’«aggressore», perché è lui il colpevole – mentre questo «aggressore» potrebbe aver agito perché era o riteneva di essere in legittima difesa. Sappiamo da Montesquieu che c’è chi inizia le guerre e chi le rende inevitabili: non sono necessariamente la stessa cosa. Anche il recente attacco all’Iran da parte di Israele e Stati Uniti è stata una «aggressione» che ha violato tutte le regole del diritto internazionale, ma non ha scatenato alcun movimento di solidarietà con Teheran. Questo non deve sorprendere. Il diritto internazionale scompare quando la necessità vitale di mantenere la propria forma di esistenza è minacciata e arriva il momento di prendere decisioni politiche esistenziali. Carl Schmitt ha scritto che «una guerra non trae il suo significato dal fatto di essere combattuta per ideali o norme di diritto; una guerra ha significato quando è diretta contro un nemico reale». In queste circostanze, non c’è un giudice (o un gendarme) globale che possa decidere quale parte sia da biasimare.

Due ossessioni faccia a faccia
Alla base della guerra in Ucraina ci sono due ossessioni. Un’ossessione americana, secondo la quale gli Stati Uniti devono fare tutto il possibile per impedire ad altre potenze di sfidare la loro egemonia, il che significa indebolire i concorrenti e i rivali. E un’ossessione russa, secondo la quale la Russia deve sempre guardarsi dall’«accerchiamento», il che significa frenare l’espansione della NATO con ogni mezzo possibile.
Politologi americani di spicco come Henry Kissinger, John J. Mearsheimer, George Kennan, Paul Nitze, Robert McNamara e molti altri avevano messo in guardia già negli anni ’90 dalle drammatiche conseguenze di un’estensione della NATO ai confini della Russia, che Kennan definì un «errore fatale». Tuttavia, in La grande scacchiera (1997), Zbigniew Brzezinski affermava: «L’America deve assolutamente impadronirsi dell’Ucraina, perché l’Ucraina è il perno del potere russo in Europa». Questo è il programma abbracciato dai «neoconservatori» nel momento in cui sognavano di fare del XXI secolo un «secolo americano».
La situazione si è rapidamente accelerata, con entrambe le parti che hanno fatto appello ai rispettivi alleati. L’Occidente ha aumentato il numero di sanzioni contro la Russia e ha fornito grandi quantità di armi agli ucraini. Le sanzioni si sono in parte ritorte contro, provocando un’esplosione dei prezzi dell’energia in Europa e accelerando la deindustrializzazione tedesca, senza tuttavia scuotere l’economia russa. La Russia, da parte sua, si è legata sempre più strettamente alla Cina. È così che la guerra tra Ucraina e Russia è diventata la guerra della NATO contro la Russia, e poi uno «scontro di civiltà».
Tutto è cambiato il 28 febbraio, quando Donald Trump ha umiliato e ridicolizzato pesantemente Volodymyr Zelensky alla Casa Bianca, arrivando ad accusarlo di essere la vera causa della guerra. Questo brutale cambiamento di politica, in una direzione oggettivamente favorevole a Putin, ha avuto l’effetto di un boato in tutto il mondo, soprattutto perché, andando ben oltre l’Ucraina, ha segnato il disaccoppiamento di Europa e Stati Uniti, in altre parole la dislocazione dell’«Occidente collettivo».
Per gli europei, che per decenni hanno fatto affidamento sugli Stati Uniti per garantire la loro sicurezza, lo shock è stato terribile. Ma è anche un dilemma per i «trumpisti» europei, ora allo sbando. Ieri non avevano problemi a sostenere sia l’Ucraina che Donald Trump. Oggi, chi dovrebbero scegliere?
L’Unione Europea ha scelto Zelynsky. Mentre gli ucraini hanno già perso la guerra, nonostante i massicci aiuti ricevuti (oltre 133 miliardi di dollari in tre anni), ora immaginano di poter prendere il posto dell’America intraprendendo una nuova corsa agli armamenti che, in ogni caso, richiederà almeno dieci o vent’anni per essere messa in piedi. In altre parole, gli europei si dicono pronti a combattere fino all’ultimo ucraino. Ma ne hanno i mezzi? Per compiacere Trump, all’ultimo vertice della NATO si sono impegnati a destinare al più presto il 5% del loro PIL al bilancio militare. Ma questo impegno non è credibile: ad eccezione della Germania e forse della Polonia, la maggior parte dei membri dell’Unione Europea non ha né la volontà né i mezzi per raggiungere questo obiettivo.

Lo scopo della guerra è la pace
E ora, quale soluzione? Putin, che sa che il tempo è dalla sua parte, rimane fermo nelle sue richieste. Sebbene sia in una posizione di forza sul campo, ha già subito alcune gravi battute d’arresto: la Finlandia e la Svezia sono entrate a far parte della NATO e la nuova cortina di ferro che separa l’Europa dalla Russia non è destinata ad alzarsi. Gli ucraini continuano a fare il giro delle capitali chiedendo sempre più aiuto. Trump sembra esitare ed è infastidito dai continui scontri. L’estone Kaja Kallas, rappresentante dell’UE per gli affari esteri, ripete: «L’Ucraina deve vincere questa guerra». Ma se così non fosse?
Un’Europa autonoma avrebbe potuto lavorare per una soluzione politica del conflitto e per la ricostruzione di un nuovo spazio di sicurezza collettiva su scala continentale, rispettando gli interessi degli europei quanto quelli dei russi. Ma non è andata così. È stato l’Occidente a chiedere al governo di Kiev di non applicare gli accordi di Minsk del settembre 2014 e del febbraio 2015, che prevedevano sia l’integrità territoriale dell’Ucraina sia l’autonomia del Donbass, che avrebbero potuto porre fine al conflitto.
Nella visione morale della «guerra giusta», i concetti di jus ad bellum e jus in bello sono ridotti alle categorie del diritto penale: l’aggressore non è più tanto un nemico nel senso politico del termine, quanto un «aggressore», che è necessario non solo sconfiggere sul campo di battaglia, ma punire. Il problema è che questa visione delle cose, in cui la morale cancella la natura essenzialmente politica della guerra, tende a rendere impossibile il ritorno alla pace attraverso una soluzione negoziata del conflitto, perché non si può negoziare con un «criminale» o un «pazzo».
Lo scopo della guerra è la pace. E questa pace è di natura politica, per lo stesso motivo per cui la guerra è semplicemente un’estensione della politica. Qualsiasi guerra che non sia accompagnata da un piano politico per la pace non può che portare al caos. La guerra non è mai solo un mezzo per raggiungere un fine. Nella vicenda ucraina, l’Occidente non ha mai avuto alcun obiettivo politico, diplomatico o strategico, ma si è preoccupato solo di fornire un sostegno infinito a una guerra a cui ha aderito per motivi puramente ideologici e morali.
I grandi sconfitti di questa orribile guerra sono gli ucraini. L’ex presidente ceco Václav Klaus l’ha detto senza mezzi termini: fin dall’inizio, l’Ucraina è stata «solo una pedina sulla scacchiera di un gioco molto più grande». Le disgrazie dell’Ucraina non sono finite.

[Articolo pubblicato su Junge Freiheit, Berlino, 18 luglio 2025].
Traduzione a cura di Piero della Rocella Sorelli.