Volontà di impotenza
di Roberto Pecchioli - 29/06/2025
Fonte: EreticaMente
I due pilastri posti da Freud alla base dell’uomo – principio di piacere e pulsione di morte – sono diventate profezie che si auto avverano. La tensione verso il piacere – nell’ambito sessuale e in quello esistenziale, con la tirannia della comodità che fa accettare ogni cessione di pensiero, libertà, autonomia – si è trasformata nella carota per farci accettare una vita destituita di senso e scopo. La pulsione di morte è diventata il criterio fondante delle nostre agonizzanti società. L’aborto prende la forma del diritto universale, esteso sino al momento della nascita di un grumo di carne e cellule senza valore, se non per l’industria che utilizza i feti. Si arriva all’ aperto infanticidio come nella nuova legge inglese, ma l’attacco alla vita umana dispiega tutta la sua potenza distruttiva attraverso la normalizzazione della morte di Stato, chiamata eutanasia o suicidio assistito. L’importanza – non osiamo dire sacralità – dell’essere umano è negata in radice.
Per farci accettare il destino trans e post umano deciso da folli scimmie di Dio, tutto viene rivestito dall’aura nobilitante dell’ avanzamento di civiltà. Sono “leggi di civiltà”, affermano soddisfatti i promotori, dal matrimonio omo alle follie trans e gender sino alla tecnologia che si insinua, occupa e dirige il corpo e presto il cervello. O quel che ne resta, poiché è all’ Intelligenza Artificiale che affidiamo volentieri giudizi, decisioni, conoscenza. Un esperimento condotto su studenti universitari a cui sono stati assegnati compiti di ricerca ha dimostrato che il gruppo a cui era stato consentito di utilizzare l’Intelligenza Artificiale ha perduto parte delle abilità naturali e non era capace della concentrazione, costanza nello sforzo, creatività di chi si era affidato alle proprie capacità umane.
In più assistiamo alla cancellazione del passato che abbatte la “tirannia delle consuetudini”, (J. Stuart Mill) un’autorità esterna che si impone all’individuo provenendo dal passato, una dipendenza dai morti di cui liberarsi. Il linguaggio diventa campo di battaglia: una giornalista della BBC – di cui tocca ammirare non la normalità ma il coraggio – ha corretto un testo in cui le donne incinte divenivano, in omaggio alla bugia gender neolinguistica, “persone incinte”. Il linguaggio “person first” teorizza che ogni definizione deve essere preceduta dal termine “persona”[che]”, per cui ad esempio i detenuti diventano “persone ospiti del sistema penitenziario”. Il genitore 1 de* cretin* (con asterisco o schwa) anzi delle “persone che hanno un basso livello intellettuale” è sempre “persona incinta”.
Il fatto è che una parte della popolazione crede sinceramente che la libertà e la civiltà passino per la progressiva cancellazione della dignità e intangibilità dell’essere umano. E’ un frutto della civilizzazione, scoprì Emile Durkheim analizzando il suicidio nella Francia di fine XIX secolo. Aumentava chi si toglieva la vita in corrispondenza con la crescita del benessere e della “comodità”, non ancora divinità postmoderna. Oggi crollo delle nascite, solitudine, tasso di suicidi si innalzano nelle società sviluppate (ma che significa sviluppo, in concreto?) mentre chi ha cercato di misurare la felicità ha dovuto rilevare che non abita più qui (paradosso di Easterlin). La società fondata sulla Dea Ragione non funziona, diventa un ovile in cui, a orari definiti, ci si aspetta il pasto, piaceri volgari e momentanei, caldo d’inverno, refrigerato in estate. Uomini siate e non pecore matte, appello inascoltato, vittoria dell’artificiale con il consenso delle vittime.
La ragione ha avuto torto e la volontà di potenza teorizzata da Nietzsche si è rovesciata nel suo contrario, volontà di impotenza, di controllo, di una vita amministrata e somministrata, da interrompere in caso di povertà, malattia, disagio. Un clic e qualcuno spegne la luce. Non per tutti, giacché la volontà di potenza oligarchica è più violenta che mai e non arretra dinanzi a guerre, invasione dei corpi, controllo dei cervelli, inserimento di apparati artificiali, ibridazione uomo-macchina, potere degli algoritmi e dell’Intelligenza Artificiale estranea alla sfera morale. Un’assenza alla base dell’indifferenza verso la vita che porta il protagonista di Delitto e castigo a uccidere senza ragione la sordida usuraia Aliona Ivanovna.
E’ alle fasi finali lo spettacolo dello spogliarello della civiltà occidentale, che si libera di abiti, orpelli, principi e rimane nuda tra gli applausi della folla. Presto resterà solo da toglierci la pelle, scorticati come Marcantonio Bragadin. La finestra di Overton si spalanca verso la morte, facendoci chiamare civiltà, progresso, Eden, una società spappolata di assassini seriali e suicidi che chiamano libertà lo strip-tease di valori comuni il cui finale è il nichilismo (il più inquietante di tutti gli ospiti, per Nietzsche), prologo al trionfo del più forte, il Leviatano animato da volontà di potenza. Anomia, società senza regole, come voleva Foucault, e insieme soffocante dispositivo di controllo che realizza la “società senza storia” proposta dal politico liberal Tony Blair. E senza realtà, che, se non mi piace, ho il diritto di negare o piegare alla mie insindacabili auto percezioni. Se diventa insopportabile, mi ammazzo. Volontà di potenza capovolta in nichilismo.
Una civiltà che ha attraversato trenta secoli, dall’antichità greca, il tempo dell’Iliade e dell’Odissea, sino ai giorni nostri irrequieti, non muore di colpo. Soffre di convulsioni, vive una lunga agonia intervallata da momenti di apparente ripresa, attimi di lucidità e nuovi stati febbrili. Emil Cioran sapeva che la crisi europea è il risultato dell’inaridimento della vita spirituale, del trionfo di uomini interessati solo al profitto e all’ingordigia strumentale. “Il vuoto dell’Europa dà la vertigine, è presente in me; e la sua presenza mi lega all’Europa. In quale parte del mondo potrei trovare un abisso così visibile, così generoso, una tristezza così liberale e un tale sperpero del nulla”.
L’Europa – e con lei la civiltà che ha esportato nel mondo – sta vivendo la sua fase terminale. Ci troviamo a sgranare il rosario di un’infezione che ha penetrato la società con un’accelerazione potente dal 2020, l’anno del coronavirus. Incede un’ideologia volta all’odio di sé che ha penetrato, avvelenato pensieri e stati d’animo, il Grande Virus che ci sta decimando. Cancellazione per odio: della tradizione, della civiltà, della cultura, di tutto ciò che siamo, che penetra nell’inconscio collettivo sino alla rimozione di millenni La prova della tabula rasa è l’inverno demografico che impedisce la riproduzione della società. Primum vivere. La nostra civilizzazione applaude l’impotenza, disprezza la nascita di nuovi membri, sino a considerare un valore il rifiuto. Il fenomeno della denatalità è irreversibile; dunque è irreversibile il declino di chi rifiuta di avere eredi. La civiltà nostra muore per un particolarissimo virus, l’odio di sé, volontà d’impotenza, rovesciando un concetto di Friedrich Nietzsche, la volontà di potenza. Il principio di volontà di Arthur Schopenhauer , la volontà di vivere affermata da ciascun vivente e dalle forze impersonali della natura deve essere convertita in noluntas, non-volontà, mediante un percorso ascetico ispirato allo spiritualismo orientale.
Per Nietzsche la volontà di potenza è il senso della vita. Tuttavia, prima di volere qualcosa, deve volere se stessa. Una volta che la volontà di potenza vuole e crede in se stessa, sa che non potrà mantenere quello che ha conquistato se si limita solo a conservarlo. Per conservare, si deve espandere, alimentarsi di nuova potenza e nuova volontà. La volontà nostra si è bloccata, decidendo di non volere più stessa. Ha preso a odiarsi, a disprezzare il sistema di valori, principi, relazioni che aveva costruito. Si è lasciata irretire dal progetto oligarchico di riformulazione dell’umanità, la formattazione attraverso il reset di tutto ciò che era, in nome di una dittatura globale tecnoscientifica e sanitaria.
Il futuro prossimo è l’irruzione della biochimica nel corpo umano: vaccini, inoculazione di sostanze con effetti sconosciuti, apparati artificiali. E’ la fase zootecnica del consapevole suicidio attraverso meccanismi di negazione, decostruzione, demitizzazione, colpevolizzazione di sé. L’odio implacabile delle origini, la destituzione di ogni concetto, giudizio, valore da esse proveniente, ha innescato un processo contrario all’istinto di conservazione, che Paul Eluard chiamava il “duro desiderio di durare”. L’odio di sé conduce l’uomo a trasformarsi in tabula rasa, atomo alla deriva. Si diffonde una sensazione di naufragio, di nichilismo gaio, in cui l’individuo contemporaneo, svuotato e senza bussola, è un naufrago diverso da Enea e dai troiani in viaggio per ricostruire la patria in una nuova terra: rari nantes in gurgite vasto, rari nuotatori nel vasto gorgo.
Gli europei e gli occidentali contemporanei il naufragio lo hanno voluto, provocato, liberandosi dell’intero fardello del passato e negando la possibilità di un futuro. Enea parte da Troia deciso a riprodurne i valori. Reca con sé i Penati, gli dei della patria, tiene per mano il figlio Ascanio e si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise. “Antiquam equirite matrem”, cercate l’antica madre, recita l’Eneide, il responso dell’oracolo di Apollo che spinge Enea al viaggio di rifondazione. Ora un’eco misteriosa di morte sembra imporre agli uomini d’Occidente, terra del tramonto, una tenace volontà di uccidere la civiltà-madre, dopo aver accettato la folle richiesta di farla finita con il padre della psicanalisi.
L’ uomo postmoderno non riconosce padri e non vuole eredi; è indifferente alla fine biologica della sua razza e della civiltà che ha espresso, ha abolito il passato, non sembra avere interesse per il futuro, se non per l’attimo immediatamente successivo al presente, a cui affida desideri e capricci. Vive in un presente dilatato a dismisura. Ha prostituito la natura in nome della ragione economica, dimenticando di esserne il custode. Ha ridicolizzato la figura del padre – ma anche quella della madre – gettato nella spazzatura le figure archetipiche di millenni – il guerriero, il sacerdote, il filosofo – mettendo sul trono il mercante e l’esperto, titolare di un sapere strumentale, tecnico, un lacerto di conoscenza sempre più limitato e settoriale. Ha abolito il sacro, di cui non comprende più il significato; è incapace di riconoscere i simboli. L’uomo d’Occidente capisce solo ciò che può misurare e compravendere. Non è più homo viator, viandante con una meta. Le civiltà tramontano per sconfitte militari, per l’irruzione di nuovi principi ideali, veicolati da popoli più giovani e vitali, per stanchezza o per drammatici eventi esterni – carestie, pestilenze – quasi mai per odio dei propri fondamenti.
All’Europa è accaduto, impegnata nella sistematica distruzione di tutto ciò che aveva realizzato, animata da un febbrile odio di sé, pervasa dall’orrore di ieri, mossa da un’oscura volontà di dissoluzione (cupio dissolvi), che diventa autodistruzione attiva. Una corsa verso il nulla, una malattia fobica dell’anima che rode dall’interno e dal basso un’intera, immensa civiltà. Un suicidio per volontà d’impotenza di un mondo colto dalla vergogna e dall’odio di sé, per descrivere i cui tratti Roger Scruton ha inventato il neologismo oicofobia, l’orrore malato per ciò che è “di casa”. (oìkos, in greco). Ogni comportamento, preferenza, condotta non conforme al pensiero dominante è rubricata come fobia. Psichiatrizzazione del dissenso: le fobie sono disturbi psichici che si presentano come paure, repulsioni irrazionali. Ciò che mette in discussione la vulgata ufficiale è una malattia. Nicolàs Gòmez Dàvila rappresentò la difficoltà di affrontare il non-pensiero che ci soffoca. “Convincere chi ha opinioni proprie è facile, ma nessuno convince chi ha opinioni altrui. Nessuno si aggrappa tanto alle proprie opinioni quanto colui che è solamente l’eco dell’epoca in cui vive. “