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La guerra all'Iran s'avvicina?

di Daniele Scalea - 10/04/2007

 

Mercoledì scorso un quotidiano kuwaitiano, citando non meglio precisate "fonti da Washington", ha previsto che l'atteso attacco statunitense contro l'Iràn avverrà questo mese. Non è la prima notizia di tale tenore che compare sulla stampa araba: e tutte convergono nell'indicare il mese d'aprile quale momento della "resa dei conti".

Difficile prevedere quanto possano essere affidabili notizie del genere. Ormai da più d'un anno, periodicamente, qualcuno salta fuori annunciando con certezza che a breve Bush ordinerà di bombardare la Repubblica Islamica. Ai primi di gennaio del 2006 un analista di meritata fama mondiale come Michel Chossudovski dava per imminente il conflitto: poi, come abbiamo potuto vedere, non se ne fece nulla. Il generale indiano (in pensione) Vinod Saighal, i cui libri sul disarmo nucleare sono stati elogiati anche da Kofi Annan, aveva previsto che il conflitto si sarebbe tenuto entro la fine del 2006.

E' possibile che le loro fonti fossero attendibili, ma poi l'amministrazione Bush sia stata ritardata nell'attuazione dei suoi piani da incidenti imprevisti (la sconfitta elettorale per il Congresso, la fallita offensiva sionista in Libano) o da manovre esterne. In questa seconda categoria rientra l'azione di Russia e Cina. Molti hanno storto il naso perché, schierandosi di fatto con il diktat statunitense che vuol vietare all'Iràn l'esercizio d'un suo cristallino diritto, hanno mostrato un chiaro regresso rispetto alle posizioni di principio assunte nel 2002-2003 in occasione della crisi tra USA e Iràq. Eppure, allora il muro contro muro non pagò: di fronte all'ostruzionismo di Parigi, Mosca e Pechino in sede Consiglio di Sicurezza dell'ONU, Bush - contando sull'incapacità di quei paesi d'opporsi frontalmente a Washington - procedette unilateralmente ed indisturbato all'invasione dell'Iràq. Questa volta, con un atteggiamento molto più "antipatico", forse Putin e Hu Jintao stanno riuscendo, se non ad evitare, quanto meno a procrastinare la guerra. Il che è oro per Tehran, la quale ha così il tempo di riorganizzare le sue difese ed anche le sue proiezioni all'esterno (Iracheni sciiti, Libanesi d'Hezbollah).

Ad ogni modo, a prescindere che la guerra avvenga "entro la fine d'aprile" ("Kuwait Arab Times"), "il 6 aprile" (Andrej Uglanov su "Argumenty nedelii") o molto più tardi, una cosa sembra inevitabile: essa avrà luogo. Nessuno sa con certezza se l'Iràn stia cercando di dotarsi dell'arma atomica (mi auguro di sì), ma gli USA non possono rischiare che ciò avvenga: un Iràn nucleare si renderebbe pressoché inattaccabile (a meno che non si sia pronti ad affrontare una rappresaglia atomica...), s'eleverebbe indubitabilmente al rango di potenza regionale con rilevanza globale e minaccerebbe seriamente l'esistenza d'Israele. Non certo perché - come vogliono sprovveduti (veri o simulati) tipo Benny Morris - Tehran potrebbe raderlo al suolo a suon di bombe atomiche (sterminando anche i Palestinesi ed esponendosi alla micidiale rappresaglia di Tel Aviv e Washington? Ma per piacere!), ma perché la Repubblica Islamica diverrebbe un inattaccabile retroterra per Hezbollah e Hamas.

Riguardo alle caratteristiche del paventato attacco statunitense all'Iràn, ormai tanto i grandi media occidentali quanto i singoli analisti più avveduti (vedi l'ex capo di stato maggiore sovietico Leonid Ivašov) concordano ch'esso si configurerà come un semplice bombardamento aereo senza attacco da terra. Purtroppo i neocons si sono rivelati più furbi del previsto, ed hanno deciso d'evitare un'invasione che avrebbe portato al tracollo la dominazione yankee sul Vicino Oriente. L'Iràn dispone di 29 sistemi antiaerei TorM1, acquistati dalla Russia alcuni mesi fa (con veementi polemiche da parte della stampa statunitense). Senz'altro si tratta d'una difesa potente e d'avanguardia, ma presumibilmente non si rivelerà sufficiente a parare i colpi che verrano inferti dall'arma aerea degli USA (che, sappiamo, nel cielo non hanno al momento rivali, almeno per quantità di mezzi). I Nordamericani attaccheranno dapprima i sistemi radar e le batterie antiaeree, per paralizzare le difese iraniane, quindi l'aviazione nemica ed infine gli obiettivi finali dei loro raids: centrali nucleari, caserme dei Pasdaran, palazzi governativi. La loro speranza - che personalmente ritengo ridicola e puerile - è che la popolazione iraniana accolga le loro bombe come "liberatrici" e si sollevi in massa contro il regime democratico islamico, complice magari la morte del presidente Mahmud Ahmadi Nejad (Dio ce ne scampi). Ovviamente succederà proprio il contrario: il popolo iraniano, che ha la schiena ben dritta e l'ha dimostrato ripetutamente nella sua storia, si schiererà compatto attorno all'Ayatollah ed al Presidente (che non sarà certo tanto stupido da farsi centrare da un missile). In particolare, Ahmadi Nejad recupererà tutta la popolarità perduta sinora (e va notato che il calo di consensi non è affatto legato alla sua politica estera, bensì a quella interna, paralizzata dal veto incrociato dei conservatori e dei cosiddetti "riformisti"). L'aspetto più inquietante delle incursioni aeree statunitensi potrebbe essere l'utilizzo di bombe atomiche tattiche (il CONPLAN 8022, voluto da Rumsfeld ed ancora in vigore, l'autorizza). Come reagirebbe il mondo a questo crimine orrendo? In Occidente, dopo una breve ed ipocrita contrizione quale tributo alla morale finto-pacifista imperante, tutti se ne faranno una ragione perché, in fondo, se i Nordamericani non l'avessero fatto "Ahmadi Nejad avrebbe cancellato Israele". Il resto del mondo reagirà in modo più deciso, ma pochissimi hanno il potere di disturbare Washington: Mosca e Pechino. Da questo punto di vista, la Russia ha dato segnali contrastanti. Da un lato, i lavori a Bushehr si sono interrotti senza una valida ragione, ed il ministro degli esteri Lavrov ha biasimato il comportamente iraniano dicendo che "la Russia non si lascerà trascinare in guerra da Tehran". Però il suo vice, Andrej Denisov, proprio negli ultimi giorni ha definito "assolutamente inaccettabile qualsiasi azione militare vicina ai nostri confini". I Cinesi, fedeli al proprio stile inimitabile, staranno prevalentemente zitti ma sottobanco lavoreranno alacremente per rimpinzare l'Iràn di armi.

E qui viene la cosa più importante. Secondo gli strateghi di Washington basta non attaccare da terra per non subire perdite, ed è sufficiente un bombardamento aereo per spingere la popolazione alla rivolta e rovesciare il governo. Convinti loro... In realtà l'Iràn ha un esercito potentemente armato, soprattutto nella sua frazione d'élite composta dai quasi leggendari "Guardiani della Rivoluzione". Il suo apparato missilistico pare sia di tutto rispetto, e la sua influenza politica su buona parte del mondo islamico sciita (ed islamico in genere) non potrà che uscire rafforzata dall'eventuale attacco subito dal "Grande Satana". Gli Statunitensi ostentano tranquillità, ma Ahmadi Nejad, se subisse un attacco, dovrebbe per forza reagire, pena la perdita della sua credibilità - vista la sua roboante retorica. Gl'Iracheni sciiti potrebbero essere sobillati contro l'occupante statunitense, con effetti forse letali per il già traballante governo collaborazionista. Hezbollah e Hamas potrebbero sferrare un'offensiva contro Israele proprio nel momento in cui il paese ebraico è sommerso da una pioggia di missili  iraniani.

Washington non ha previsto queste possibilità? O forse l'ha fatto e s'è accorta che il potenziale di reazione iraniano è meno temibile di quel che appare, e dunque i timori (per loro - per noi speranze) di cui sopra sono infondati? Chi lo sa. Certo gli strateghi nordamericani che oggi progettano di bombardare l'Iràn indisturbati sono più o meno gli stessi che, quattro anni fa, s'aspettavano d'essere accolti col lancio di fiori dalla popolazione irachena. Sappiamo tutti come andò allora, e questo ci fa ben sperare per oggi.