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Telecom: sotto la Spagna rispunta l’America

di redazionale - 03/05/2007

Tra i primi cinque azionisti di Telefonica, ben tre sono statunitensi. Chase

Manhattan Bank ha il 9,9 per cento, State Street Bank il 7,6, Citibank

il 4,6. Sorpresa, l’italianità di Telecom ha molti dollari che la proteggono

Una volta che le acque intorno a

Telecom Italia si saranno calmate, e la rete

sarà scorporata, la compagnia potrà andare

incontro al suo destino che, secondo

molti osservatori, è quello di una fusione

con Telefonica. Al di là dei diritti di veto

che gli spagnoli hanno preteso su alcune

materie strategiche, è forse questa la spiegazione

del motivo per cui Telefonica ha

acconsentito di spendere molto di più dei

suoi compagni di avventura, avendo un potere

inferiore. L’arrivo della società guidata

da Cesar Alierta è stata salutata da molti

politici come una liberazione dal rischio

che la compagnia potesse finire ad At&t. Il

presidente della Camera Fausto Bertinotti

il giorno dopo l’accordo ha spiegato: “Penso

che si sia evitato il peggio, garantendo

una presenza italiana che rappresenta la

premessa per un discorso più ampio”. L’antiamericanismo

soffre di presbiopia. Vede

America in At&t, ma non la riconosce in

Telefonica. Eppure, i cinque maggiori azionisti

della compagnia iberica sono Chase

Manhattan Bank Nominees con il 9,9 per

cento, State Street Bank con il 7,6, Bbva con

il 6,6, La Caixa con il 5,09 e Citibank con il

4,6. Tre dei primi cinque soci sono americani

e controllano una percentuale complessiva

del 22,17 per cento del capitale.

Questo significa che dei 70 miliardi di euro

circa della capitalizzazione di Telefonica

una quindicina sono in mani statunitensi.

Le tre banche sono concorrenti, ma disposte

a dialogare. Facendo entrare Telefonica

gli americani sono entrati lo stesso e, per

paradosso, anche un pezzetto di At&t. State

Street Corporation infatti è il quarto

azionista assoluto della società americana

con una partecipazione del 4 per cento, per

un investimento di circa 9 miliardi di dollari.

L’anacronismo dell’antiamericanismo

italiano in chiave tlc non tiene conto anche

del fatto che il secondo azionista assoluto

di Telecom è Brandes Investment Partners,

che ha sede a San Diego, con una quota del

5,42 per cento e che una percentuale del capitale

compresa fra il 5 e il 15 per cento e

in mani di altri investitori americani. Dunque

questo matrimonio è per un pezzo americano,

perché il denaro si raccoglie laddove

esistono le condizioni.

Naturalmente nel sistema della libera

circolazione dei capitali nella sua fase di

transizione, in dialettica con i sistemi economici

nazionali, Telefonica è contemporaneamente

una grande società di lingua e

nazionalità spagnola. In molti ritengono

che l’affare Telecom-Telefonica sia stato

una compensazione per l’ingresso di Enel

in Endesa. In realtà José Luis Zapatero, già

nel meeting di Ibiza, avrebbe chiesto a Romano

Prodi di dare il via libera ad Autostrade

Abertis. In questi giorni l’operazione

sembra ritornata di moda, ma è ancora

lontana dall’essere imminente. “Il governo

ha di fatto tolto il veto – ha affermato una

fonte vicina al dossier – ma fino a quando

non verranno rimossi i limiti legislativi non

se ne farà nulla”. In particolare dovrà essere

abolito il famigerato articolo 12 del

collegato alla Finanziaria che disciplina la

materia delle concessioni autostradali con

una convenzione unica al posto delle singole

concessioni introducendo il principio

che in mancanza di adesione del concessionario

la concessione passa all’Anas. Prodi

sa che un intervento del suo governo su

questa materia creerebbe una forte contrapposizione

con Antonio Di Pietro e attende

che Bruxelles si pronunci in maniera

definitiva. I Benetton, che non accettano

alcuna forma d’intromissione nella partita

Autostrade, e che hanno preso una piccola

quota in Telco con funzione di sentinella,

attendono le mosse del governo.