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L'Ue si interroga su voli segreti e prigioni nascoste della CIA

di Antonella Vicini - 04/12/2005



L’inchiesta formale avviata la scorsa settimana dal Consiglio d’Europa sui cosiddetti ‘black sites’, i centri di detenzione aperti dalla Cia in alcuni Paesi dell’Unione, e sui casi di ‘extraordinary rendition’, come quello dell’egiziano Abu Omar in cui è coinvolta l’Italia, potrebbe dare i suoi primi risultati il prossimo 8 e 9 dicembre. In occasione del consiglio della Nato.
Nel frattempo, l’unico risvolto apparentemente positivo della vicenda di cui si è cominciato a parlare in seguito al reportage pubblicato sul ‘Washington Post’ e alle relative denunce di ‘Human Right Watch’, sembrerebbero i primi, timidi segnali di disagio nei confronti degli Stati Uniti, giunti dall’interno dell’Unione. Segnali che si sono concretizzati nelle richieste formali giunte a Washington e ai suoi delegati in Europa di dar conto dei fatti che vedono protagonisti i sevizi Usa. Un gesto che se per alcuni versi può essere definito puramente dovuto e formale, reca comunque in sé un potenziale critico nei confronti di un Paese che non si è mai trovato a salire sul banco degli imputati.
È stato proprio uno dei più forti alleati statunitensi, martedì scorso, a richiedere formalmente agli Stati Uniti di far luce sulla vicenda.
Lo ha fatto il ministro degli esteri britannico Jack Straw, in quanto rappresentante del Paese che guida il semestre europeo.
Nel frattempo, anche il gruppo dei socialisti europeo ha annunciato che chiederà la convocazione davanti all’Aula dell’ambasciatore Usa. Saranno in particolare i due vicepresidenti del Pse, Hannes Swoboda e Jan Marinus Wiersma, a chiedere che il diplomatico americano si presenti davanti a una riunione congiunta delle due commissioni parlamentari competenti, quella per gli Affari Esteri e quella per le Libertà civili, rispondendo alle domande degli eurodeputati.
Il presidente del gruppo, Martin Schulz, ha inoltre criticato l’inazione del Consiglio Ue e della Commissione Europeo, sottolineando che “i cittadini europei sono arrabbiati per la flagrante violazione dei diritti umani che sembra avvenire sul suolo europeo.
E doppiamente arrabbiati perché la Commissione e il Consiglio non hanno ancora agito con rapidità per chiarire questa materia. Non bastano forti parole, abbiamo bisogno di azione”.
Gli Stati Uniti finora hanno rifiutato di confermare o negare ogni rapporto compromettente con i Paesi ospitante le loro segrete, hanno però ugualmente varato un’inchiesta interna sulla fuga di notizie, confermandone indirettamente l’esistenza.
Martedì potrebbe toccare a Condoleezza Rice - che sarà in Europa per la riunione della Nato – rispondere a nome dell’amministrazione Bush.
L’organizzazione Human Rights Watch nel frattempo ha pubblicato i nomi di 26 ‘prigionieri fantasma’, producendo in questa maniera delle prove difficilmente ignorabili sulla faccenda.
I detenuti, arrestati perché sospettati di essere coinvolti nell’attacco alle Torri Gemelle, negli attentati del 1998 alle ambasciate statunitensi in Kenya e in Tanzania, e in quelli del 2002 a Bali, accusano le autorità statunitensi di averli sequestrati e probabilmente torturati, in località segrete di Paesi stranieri.
Secondo la denuncia di HRW, i prigionieri scomparsi nei ‘black sites’ sarebbero tenuti in isolamento senza possibilità di farsi assistere da un avvocato. Una pratica non nuova ai servizi Usa, venuta a galla chiaramente anche a Guantanamo Bay.
Stando a quanto reso noto dal quotidiano britannico ‘The Guardian’, sarebbero almeno 300 i voli della Cia che avrebbero toccato aeroporti europei. Una affermazione comprovata dall’esistenza di giornali di bordo in cui sarebbero annotati 26 differenti velivoli utilizzati per compiere innumerevoli voli in tutto il Vecchio Continente, più di frequente all’ovest che non all’est.
Quest’ultimo elemento contrasterebbe la tesi portante dei rapporti privilegiati tra Paesi dell’Europa orientale e i centri di detenzione Cia.
Il giornale sostiene di essere venuto in possesso di tali documenti attraverso fonti riservate presso l’Amministrazione federale dell’Aviazione e l’industria aeronautica da cui emerge un numero “senza precedenti” di missioni aeree segrete: la maggior parte in Germania, in tutto 96, e poi in Gran Bretagna, visitata ottanta volte. Regolari i voli in Europa orientale, con quindici scali nella sola Praga.
Nonostante tutti i Paesi chiamati direttamente ed indirettamente in causa abbiano continuato a negare ogni coinvolgimento nei fatti al centro del ciclone, dunque, sarebbe ormai chiaro che il transito principale sia passato al centro dell’Europa.