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Gramsci, viaggio infinito al centro dei «Quaderni» (recensione)

di Gianni Francioni/Bruno Gravagnuolo - 07/05/2007

INTERVISTA a Gianni Francioni, storico della filosofia e direttore dell’edizione critica dei Quaderni del Carcere nella nuova edizione nazionale. Un’impresa filologica che riordina le note gramsciane con criteri nuovi e mirati all’ordine «logico»

«Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte «originali», significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte «socializzarle»... e farle diventare... elemento di ordine intellettuale e morale»
Antonio Gramsci

C’era una volta l’edizione tematica dei Quaderni del carcere in sei volumi, quella voluta da Togliatti nel 1947. Arbitraria ma utile, e ricavata da alcuni titoli indicati dallo stesso Gramsci: Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, il Risorgimento, Note sul Machiavelli, etc. Poi nel 1975 venne la capitale edizione Einaudi di Valentino Gerratana in quattro volumi, oggi ristampata, rigorosamente cronologica e senza i quaderni di traduzione (4 quaderni su 33). Oggi, non senza polemiche in passato, arriva invece l’Edizione Nazionale degli scritti, che include le traduzioni fatte dal prigioniero e tutti i carteggi paralleli (Gramsci, Schucht, Sraffa). E prevede per i soli Quaderni 6 o 7 tomi (Fondazione Gramsci-Istituto dell’Enciclopedia italiana). La novità, anticipata da l’Unità lunedì scorso, è grossa e anche controversa. Poiché il criterio non è più solo cronologico, bensì per «partizioni». Basato cioè sulle distinzioni interne che Gramsci stesso in carcere «immaginava» per tutto il suo lavoro. Resta «l’unità-Quaderno» ripristinata dallo scomparso Gerratana, e anche la sua cronologia, grosso modo. Tuttavia (con le traduzioni a parte) vengono separati i tipi di «quaderni»: «miscellanei», «misti» e «speciali». È un tentativo di radiografare l’ordine «ideale» e logico di una scrittura frammentaria e compressa dal carcere, ma aperta a un progetto continuo, fatto di «enunciati mobili». Un altro Gramsci? Anch’esso arbitrario? Il vero Gramsci? O un Gramsci più leggibile? Ne parliamo con Gianni Francioni, ordinario di storia della filosofia a Pavia, sassarese, 57 anni. Da oltre un trentennio sulle piste di un’impresa del genere, che oggi va in porto sotto la sua direzione (con Giuseppe Cospito e Fabio Frosini) proprio nel settantesimo della morte di Gramsci.
Professor Francioni, perché nel riordinare i «Quaderni del Carcere» nella nuova edizione nazionale, il criterio cronologico usato da Valentino Gerratana non bastava più?
«Ci ho lavorato per anni. Ma, detto in breve, mi sono convinto che esista un ordine dei Quaderni ideato da Gramsci stesso. E che sia stato l’autore stesso a conferire ad essi il carattere di un insieme strutturato in aree o settori abbastanzi precisi. E ciò sulla base del modo di stesura, dei vari sdoppiamenti dei Quaderni. Delle linee di sequenza. Ci sono infatti quaderni o blocchi di essi che nel momento di terminare, vengono proseguiti in un altro quaderno, e poi ci sono i ritorni all’indietro. Insomma, esiste una cronologia, ben ricostruita da Gerratana. Ma essa è in larga parte indiziaria, ricavata da vari elementi presuntivi, tra inizio e fine. Ciò che ho cercato di fare in più, è vedere se tra un quaderno e l’altro vi fossero dei collegamenti, e se agli occhi di Gramsci l’insieme fosse strutturato in ambiti. Se cioè lui stesso scorgesse queste aree distinte: traduzioni, quaderni miscellanei, speciali, etc. Il prigioniero era costretto dalle regole carcerarie a non poter disporre di più di quattro quaderni per volta, o cinque. Il che lo spinse a scegliere una certa struttura, inclusiva di cronologia e aree particolari, sovrapposte».
Nondimeno voi distinguete vari tipi di quaderni, separandoli in miscellanei, misti e speciali, pur nel dar conto della cronologia acquisita da Gerratana. È una rivoluzione...
«Nel caso dei quaderni di traduzione il problema non si pone, perché Gerratana non li aveva inclusi nella sua edizione, che collocava gli altri quaderni in sequenza cronologica di inizio. Scelta legittima. E tuttavia, allorché si decide di inserire i quaderni di traduzione, estraendoli dagli altri, deve cambiare tutta la strutturazione. Cosa peraltro che rende meglio l’idea complessiva del lavoro di Gramsci in carcere».
Perché è utile distinguere strutturalmente quaderni «miscellanei», «misti» e «speciali», e in che cosa consiste la loro differenza?
«La distinzione è data dal loro carattere. I quaderni speciali sono inventati da Gramsci nei primi mesi del 1932, in una fase in cui capisce che la mole di note che aveva scritto non era fruibile da un lettore a venire. Era persuaso che questa fosse la sua eredità letteraria, e perciò la concepiva al futuro, per scongiurare il rischio di un puro zibaldone illegibile. Lo “speciale” invece è un tentativo di riordinare la materia, benché per lui nessun quaderno di tal tipo fosse un libro o un saggio definitivo. Piuttosto una rielaborazione “in progress”»
Si può dire quindi che i «miscellanei» fossero degli «archivi/progetto» da cui Gramsci attingeva per i quaderni sucessivi?
«Senza dubbio. Se non fosse stato in carcere avrebbe usato delle schede. È proprio questo il carattere dei quaderni miscellanei»
Veniamo ai nuclei e ai titoli di possibili opere o monografie al futuro. Quali sono a suo avviso?
«Monografie in senso proprio nessuna. Gramsci parte con un elenco di argomenti principali ampio. Non con raggruppamenti di materie, come quelli usati dall’edizione Togliatti del 1947 ed enucleati più tardi rispetto all’inizio. Ecco l’elenco, dal Quaderno 1: Teoria della storia della storiografia, sviluppo della borghesia italiana fino al 1870, letteratura popolare, Cavalcanti, l’azione cattolica, il folklore. Questi sono i temi su cui si propone di scrivere note. Non c’è l’idea di monografie: è uno schedario di rubriche. Via via però Gramsci restringe e focalizza. Per esempio, quando nel 1930 compare il blocco di note intitolato “Appunti di filosofia, materialismo e idealismo”, è chiaro che non lo aveva previsto all’inizio. E che sta disegnando un ambito in cui condensare la sua idea del materialismo storico e della filosofia della prassi. Lo stesso vale in “Per la storia degli intellettuali italiani”, note della fine del 1930, e anche qui sta abbozzando un altro ambito particolare di ricerca, come scrive a Tatiana in quel momento. Infine nel 1932 c’è l’avvio dei Quaderni speciali, nei quali tenta di riordinare tutto il materiale già elaborato. In pratica Gramsci non aveva un solo programma di ricerca, ma se ne dà di successivi. E nemmeno c’è un tema dominante»
Impossibile circoscrivere un fulcro concettuale e tematico?
«Il fulcro ideale c’è a mio avviso, e sono i quaderni filosofici: 10, 11, 12, 13. Su Croce e il suo rovesciamento, su Bucharin contro il suo marxismo popolare, sugli intellettuali e su Machiavelli. Sono queste le pagine più costruite e più lavorate»
E la questione dell’«economia-mondo», con quella del fordismo ormai egemone nel tempo moderno?
«Questo più avanti, in “Americanismo e fordismo” ad esempio, negli ultimi quaderni. Poi, ovunque e in parallelo, tanti altri temi: la letteratura, il folklore, il senso comune. Meno importanti rispetto ai quaderni filosofici e a quelli sul fordismo. Va detto che i Quaderni del 1932 sono quelli più “energici” e lavorati. Da un certo momento invece Gramsci riversa e addirittura ricopia negli “speciali” elementi dei “miscellanei”»
Ma quali sono le «rocce» vere e proprie nei pensieri di Gramsci? Quelle cioè che parlano di più a un lettore contemporaneo?
«Stabilito un testo sicuro, la vera roccia è il tratto di una scrittura continua e metodica. La capacità di lavoro. Il riuscire, come lui dice, a “cavare sangue dalle rape”, da una pagina di giornale, da un dettaglio. Per incontrare il vasto mondo. E il concetto a mio avviso più forte è quello di “rivoluzione passiva”, davvero epocale. Con il quale Gramsci cercava di revisionare il marxismo del suo tempo»
Rivoluzione passiva come dipendenza delle aree geopolitiche più arretrate da quelle più avanzate, dentro la connessione mondiale? E come inclusione passiva dentro la modernità dei subalterni?
«Proprio così. E non per caso Gramsci inizia i Quaderni traducendo una rivista tedesca che parla di forme di vita americana, di narrativa, costume, cinema. Era attratto da quel mondo, dalla sua egemonia globale, di mercato e non solo, rispetto alla vecchia Europa. Tutto ciò verrà rielaborato nelle note sul fordismo. Quella di Gramsci è una teoria della modernità: dall’economia all’immaginario. Ecco ciò che la rende affascinante. Così come sono affascinanti i concetti di “egemonia”, di “Oriente e Occidente”, diversi e interconnessi per morfologia e livelli di sviluppo. Una visione larga, che ci mostra come l’oriente bolscevico fosse arretratezza per lui. Inadeguato a fungere da modello per la politica e la rivoluzione ad ovest».
Filosofia delle classi subalterne per attrezzarle al governo, senza farsi scavalcare dai processi di modernizzazione?
«A questo tendono tutti i fili dell’opera di Gramsci, anche quelli apparentemente più episodici e casuali, dal senso comune al folklore. Una capacità di vedere in grande la sua. Con l’idea che attorno alla teoria politica ruotassero tutta una serie di problemi “sovrastrutturali”, cruciali per la politica e l’azione egemonica»
E se l’opera di Gramsci stesse proprio nella sua «macchina di scrittura»? In una teoria della modernità, sprigionata dalla critica delle forme di potere dominanti?
«Possiamo dire di sì, senza esagerare. Visto che era condannato a essere uno scrittore di frammenti, in un mosaico infinito di tessere. Un modo a lui congeniale, per carattere e stile intellettuale, che procedeva per stratificazioni sucessive e aggiustamenti del tiro. Colpisce infatti nei Quaderni vedere come egli ritorni sugli stessi concetti, per limarli e modificarli. E poi aprire nuovi ambiti di ricerca. Una pratica di liberazione culturale, perseguita con coerenza e onestà, e coscienza di una provvisorietà bisognosa di ulteriori verifiche».
E cosa replica a chi potrebe accusare la vostra edizione “non cronologica” di ricadere nella tematizzazione arbitraria?
«Intanto non è un edizione tematica, come quella di Togliatti che smontava per temi i Quaderni, operazione allora meritoria. Bensì la proposta di una diversa partizione, rispondente all’ordine stesso che Gramsci voleva dare al suo lavoro. Del resto il filologo, dinanzi a un testo inedito come questo, non può che rappresentarlo cercando di decifrare la volontà dell’autore. Naturalmente tutto è discutibile, ma è una responsabilità a cui lo studioso non può venir meno».