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L'oppio e il tè (II)

di Miguel Martinez - 15/05/2007

 

A Venezia, si sono riuniti i ministri degli interni del G6, uno di quei tanti misteriosi organismi che decidono delle nostre sorti, senza che noi possiamo decidere delle loro.

Ovviamente, tali organismi decidono in senso relativo: sono il prodotto a loro volta di innumerevoli pressioni di ogni sorta, nonché del lavoro di migliaia di piccoli funzionari.

Al vertice hanno partecipato anche il Vicepresidente della Commissione UE, Franco Frattini, e fin qui va bene.

Ma, a dimostrazione della libertà di cui gode l'Europa, c'era anche un extracomunitario, nemmeno immigrato in questo continente: il Segretario alla Sicurezza interna (Homeland Security) degli Stati Uniti, Michael Chertoff.

Michael Chertoff dirige l'immenso sistema della Homeland Security dal 2005.

Qui apro una piccola parentesi, perché certe cose ci danno una misura dei nostri tempi.

Michael Chertoff gestisce (nel bilancio del 2007) la somma di 42,7 miliardi di dollari - cosa se ne faccia non è molto chiaro, visto che il manto della "sicurezza" permette di fare più o meno ciò che si vuole.

Chertoff proviene dalla combattiva cerchia della Federalist Society: in una società in cui le decisioni dei tribunali determinano la realtà politica e sociale molto più che da noi, questa organizzazione di 25.000 avvocati e laureandi in diritto lavora per ricostruire la società statunitense .

La Federalist Society è uno degli innumerevoli think tank, operanti in tutti i campi, prodotti da Irving e William Kristol, i padri del movimento neocon, e si impegna in tutti i campi - per salvaguardare le grandi aziende dai consumatori, per abolire i controlli sull'inquinamento, per legalizzare la tortura, per giustificare l'invasione dell'Iraq e - persino - per negare l'esistenza dell'effetto serra  (infatti, la FS riceve un piccolo finanziamento dalla Exxon).

Dobbiamo alla Federalist Society il famoso Patriot Act, di cui si dice che Michael Chertoff sia l'autore.

Pochi mesi fa, Michael Chertoff, parlando proprio davanti alla Federalist Society, si è lanciato in una denuncia del pericolo posto dal diritto internazionale e dalla diffusione di una "filosofia del diritto militante, di sinistra e  persino elitaria" che pretenderebbe la sottomissione degli Stati Uniti a "presunte norme universali"; Chertoff ha attaccato, in particolare, certe politiche europee, tra cui quelle a tutela della privacy.

Questo, insomma, è il signore che viene invitato a partecipare al convegno dei ministri degli interni europei.

Dal convegno scaturisce il progetto dichiarato di procedere a una "mappatura europea" dei luoghi di culto islamico. Che i servizi monitorino il monitorabile è ovvio: è nella natura di qualunque organismo burocratico moltiplicare all'infinito le proprie funzioni, se non altro perché così può chiedere fondi infiniti.

Ciò che è discutibile è che questa mappatura costituisca il risultato principale di una riunione di vertice dei ministri che si occupano, per definizione, di pericoli pubblici e di criminalità.

La mappatura non cerca eventuali depositi di tritolo nascosti sotto i tappeti o tra gli scaffali per le scarpe, ma si occupa del modo di essere delle persone:

"Uno degli aspetti della mappatura europea riguarderà proprio il ruolo degli Imam, il loro livello di formazione, la loro capacità di comprendere e di esprimersi nella lingua del paese dove predicano, i flussi di finanziamento che arrivano alle moschee", comunica alla stampa Frattini.

In più, il summit ha lavorato sul modo per abolire fastidiose interferenze della magistratura.

E' stato citato esplicitamente il caso dell'imam Abulkair Fall Mamour, espulso dall'Italia con decreto arbitrario del ministero degli interni (nonostante  fosse residente in Italia da sedici anni e  sposato con un'italiana e avesse dei figli in Italia).

L'imam è stato riammesso con una sentenza del TAR del Lazio, che andrebbe letta tutta per cogliere quali siano i metodi usati dai governi europei nella "lotta al terrorismo". 

Davanti al TAR, come prova della pericolosità del vivace Fall Mamour, il governo italiano ha dovuto presentare le prove, raccolte in anni di sotterraneo lavoro dei servizi segreti: una collezione di ritagli di giornale.

Ora, come fare per evitare che la magistratura ristabilisca il diritto violato?

Frattini, affiancato dal ministro italiano Amato, dichiara che per evitare la ripetizione del caso Fall Mamour (cioè la ripetizione della riammissione, non  dell'espulsione), le espulsioni arbitrarie di persone sgradite devono valere a livello europeo.

I principi elencati nella "mappatura" sono significativi.

Il discorso sui "flussi di finanziamenti", che all'inizio potrebbe colpire la fantasia, si rivela in tutta la sua ipocrisia se pensiamo che si trovi perfettamente normale che la Moschea di Roma sia gestita, apertamente, dagli stati saudita, marocchino ed egiziano; o che i servizi segreti italiani si coordinino regolarmente con quelli dei paesi mediorientali per controllare e terrorizzare i migranti, che rischiano in ogni momento di essere rispediti in patria e torturati dietro vaghe segnalazioni di qualche ente di qualche regime dittatoriale.

Notevole poi è il concetto linguistico: il luogo di culto sarebbe un posto in cui un marocchino che predica a dei marocchini dovrebbe parlare in italiano per facilitare il lavoro di chi ha riempito lo stesso luogo di culto di cimici.

E' dai tempi delle persecuzioni fasciste contro sloveni e sudtirolesi che non si sentiva una cosa del genere.

Certo, ci sarà chi dice, "ma siamo in Italia e si devono adeguare". Un'affermazione che contiene due errori.

Prima di tutto, il migrante economico non è in Italia perché ammira quelle opere d'arte di cui il novanta percento degli italiani se ne frega, o per imparare i congiuntivi che la scuola sta dimenticando.

Anzi, non è nemmeno "in Italia": è inserito in un nodo che collega - tanto per dire - materia prima cinese e un cliente in Uruguay; un nodo che per motivi chiari solo al flusso globale, si trova in questo momento a Treviso, ma potrebbe anche trovarsi domani a Timisoara.

Lo stesso flusso globale spinge il frustrato sessuale romano in Tailandia, o lo spacciatore di piastrelle emiliane ad Abu Dhabi.

Ma nessuno chiede al frustrato sessuale romano o al piastrellista emiliano di farsi tailandese o abudhabese. E nemmeno di imparare come si fa a dire "buongiorno" nella lingua locale.

Alla chiesa cattolica di Phuket, ammesso e non concesso che esista e che ci vadano i viveur italici, non è obbligatoria la predica in lingua thai.

Né il ministero degli interni di Bangkok pretende di controllare il "livello di formazione" del ministro di culto che vi opera.

Ma non succede nemmeno in Italia, visto che ogni domenica nella Chiesa di Santa Susanna a Roma  si predica in lingua inglese, e in quella di San Nicola da Tolentino in armeno (lingua ben più ostica dell'arabo).

Dietro la mappatura dei ministeri degli interni, è palese il bastone dell'espulsione.

Pensiamo cosa significhi per persone che magari hanno espresso critiche nei confronti dei governi dei paesi da cui provengono, ma che sono state attentissime a non violare alcuna legge italiana: l'espulsione, infatti, colpisce tipicamente chi non può essere processato, perché non ha commesso nessun reato.

Stiamo parlando di persone che vivono qui da molti anni, che hanno lavorato per pagare un mutuo, che hanno messo in piedi magari una piccola ditta, che hanno cresciuto qui i figli.

Trovarsi la polizia in casa alle 4 di mattina, per essere caricati su un aereo che li porterà verso un paese che non ha nulla da invidiare, come metodi, al Cile di Pinochet.

Questo incubo, sempre presente, significa che i migranti che provengono da paesi mediorientali vivono in una condizione perenne di terrore.

Al bastone, però, si accompagna la carota. Le agenzie dicono:

""Abbiamo anche dei progetti pilota di finanziamento degli Imam", ha precisato il vicepresidente dell'esecutivo Ue, annunciando che all'inizio della settimana prossima sarà a Bruxelles, insieme al presidente della Commissione José Manuel Barroso, dove incontrerà i leader delle comunità religiose, non solo musulmane, rappresentate e operanti a livello europeo. [...]  Uno dei temi sarà come accrescere la promozione di un messaggio di tolleranza e rifiuto della violenza"."

Frattini

"ha poi spiegato che nel corso del vertice ha illustrato un progetto già in corso da 10 mesi in Olanda, finanziato dall’Ue, che si chiama ‘progetto di Rotterdam’: si tratta di corsi di formazione per gli imam che predicano in lingua olandese. Amato — ha detto Frattini — si è detto interessato a questo progetto“.

Chi sa cosa direbbe il Vaticano, se il governo indiano - ad esempio - facesse una "mappatura" dei preti cattolici, minacciando di espulsione quelli che non hanno un'ottima conoscenza dell'hindi, li obbligasse a predicare sempre nella lingua locale e poi finanziasse la formazione di preti indiani scelti in base al grado di conformità con il governo dell'India.

Direte, "ma in effetti ci sono stati attentati da parte di gruppi che si dichiarano islamici".

E' vero, ce ne sono stati, anche in Europa, e con esiti tragici: il numero dei morti, compressi negli affollati spazi delle metropolitane di Londra e di Madrid, ci fa dimenticare che quegli attentati sono stati però pochissimo di numero.

Io tutti i giorni salgo su un autobus affollato con il mio zaino, passo per strade affollate, potrei entrare in ristoranti e bar affollati.

Sono entrato anche alla questura con il mio zaino.

Insomma, se ne avessi voglia, potrei fare tranquillamente una strage, nonostante tutte le "misure antiterrorismo" di cui si parla. E lo stesso vale per i milioni e milioni di musulmani che vivono in Europa.

Eppure, quasi nessuno di loro ha approfittato di questa possibilità. Non solo: non ci sono state nemmeno risse islamiche, molotov islamici, schiamazzi islamici.

Ecco perché il cosiddetto "terrorismo islamico" non è un problema sociale.

Non solo. C'è anche una questione di principio. Dire che gli attentati di Londra e di Madrid giustificano l'accantonamento delle regole di base della democrazia liberale, è come dire che le norme che regolano il traffico valgono fino al primo tamponamento grave sull'A1.

Dopo, la polizia stradale ha il diritto di aprire il fuoco sugli automobilisti sospettati di volersi bere una birra al prossimo autogrill.