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NoTav: Val di Susa & Decrescita

di Daniele Lentini - 11/12/2005

Fonte: promiseland.it


L'opposizione alla Tav è anche l'opposizione ad un modello di sviluppo basato su una illimitata crescita economica

L'obiezione al progetto Tav in Val di Susa non è soltanto quella di carattere ambientale (l'amianto), non è neanche soltanto quella di tipo "sub-sviluppista" (ma le merci da trasportare non sono poi così tante), tanto meno solo quella economica (costa troppo), neppure quella "alla mani pulite" (chi ci guadagna, su quei 15 miliardi di euro?).
L’opposizione di questi giorni, infatti, nasce al di là di questi specifici aspetti, che pure hanno la loro importanza, in quanto è figlia soprattutto della considerazione che questo progetto, come altre grandi opere in fase di progettazione e sviluppo (una su tutte il tanto discusso Ponte sullo Stretto), è partorito da una logica economica che pone come unico obiettivo la crescita in sè, in quanto questa è considerata la medicina di tutti i mali che affliggono la nostra società.

La costruzione dell’Alta Velocità costituisce la quintessenza dello sviluppo. Infatti essa favorisce senz'altro una crescita economica e occupazionale immediata e prospetta inoltre un futuro in cui le merci viaggeranno da un paese all’altro in quantità sempre maggiore e ad una velocità sempre maggiore, vendendoci per buono il fatto che comunque lo spostamento del trasporto merci dalla strada alla rotaia costituisce un progresso in termini di diminuizione dell’impatto ambientale del trasporto stesso.

Il che è evidentemente anche vero, ma il fatto è che questa visione non colpisce il cuore del problema: Albert Einstein diceva che non si può risolvere un problema usando la stessa logica di pensiero che l’ha generato, da questo noi possiamo dedurre che non si può risolvere un problema generato dallo sviluppo economico (e cioè quello relativo al trasporto delle merci su medio-lunghe distanze) con altro sviluppo economico (cioè con la costruzione di altre infrastrutture che vanno ad aggiungersi a quelle già esistenti). Ciò a cui noi dovremmo pensare non è tanto come spostare, nel modo più ecologicamente sostenibile, le merci di cui abbiamo bisogno per centinaia e migliaia di chilometri, bensì dovremmo pensare a come fare a meno di questa nostra "necessità" di trasporto. In altri termini, bisogna pensare a come uscire da una società basata sulla crescita economica ed entrare in una società della decrescita.

Non è ragionevole far viaggiare le acque minerali su e giù per lo stivale, come non lo è importare dall'estero dei prodotti agricoli (o di altro genere) che potrebbero essere coltivati (o prodotti) anche all'interno del nostro paese. L’unico modo per annullare effettivamente le distanze è quello di accorciare materialmente la distanza fra i luoghi di produzione e i luoghi di consumo. Se questa distanza viene accorciata, non abbiamo più bisogno del feticcio dell’Alta Velocità, non abbiamo più bisogno di accorciare, con l’uso della tecnica e dello sviluppo economico, le distanze fra luoghi materialmente molto distanti. Si tratta, dunque, di puntare alla rilocalizzazione dell'economia.

E’ certo comunque che l’Alta Velocità esercita su di noi un fascino irresistibile, per l’idea stessa di poterci spostare, in treno, con facilità e velocità da un luogo all’altro in un tempo inferiore rispetto che al passato. Ma d’altra parte questa è anche la logica della continua corsa in avanti della società in cui viviamo, in cui il tempo è tiranno e abbiamo sempre bisogno di correre, di andare di fretta, senza avere la possibilità di fermarci un attimo a riflettere o a goderci la bellezza del paesaggio dal finestrino del lento treno in cui viaggiamo, o magari di approfittare di quel tempo per leggere un buon libro o ancora chiacchierare del più e del meno con l’improvvisato compagno di viaggio. Facendo nostro il pensiero di Alex Langer, al motto "citius (più veloce), altius (più alto), fortius (più forte)", che rappresenta bene la quintessenza della civiltà competitiva in cui viviamo, deve essere sostituito il suo contrario: "Lentius, profundius, soavius". Insomma, più lenti invece che più veloci, più in profondità invece che più in alto e più dolcemente o più soavemente invece che con più muscoli.

Ma i nostri politici, sia a destra che a sinistra, continuano a venderci la solita storia. Per sconfiggere la disoccupazione, le disuguaglianze sociali e tutti i problemi della nostra società, la ricetta è: produrre di più, consumare di più, riempiendoci di "merci" inutili. In altre parole, l'unico obiettivo che si insegue è la crescita del Pil. Se il Pil cresce stiamo automaticamente meglio. Se anche ciò fosse vero (e di fatto non lo è), bisogna comunque considerare che la crescita non può essere infinita, perchè "finite" sono le risorse del pianeta in cui viviamo. Quindi o scegliamo consapevolmente di entrare in una società della decrescita, quindi in una società del "produrre meno, consumare meno" (e di conseguenza lavorare meno, ed avere più tempo libero da dedicare all’autoproduzione di beni e alle relazioni sociali… non per niente la chiamano "decrescita felice"), oppure prima o poi sarà il pianeta stesso a metterci nella condizione di decrescere in modo forzato (e doloroso). Meglio arrivarci preparati, no?