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Quegli incendi vengono da lontano...

di Giuliano Corà - 31/07/2007

     

 

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In sessant’anni di ‘democrazia’ e di ‘legalità’ l’abbiamo ben imparato che la dietrologia non è mai, in Italia, esercizio inutile. Basta grattare, anche poco, a volte, e subito salta fuori qualche porcheria. Questa volta non è stato necessario nemmeno andare troppo lontano, per scoprire quello che da decenni tutti sanno, e cioè che l’autocombustione è la favola della buonanotte. Esistono i piromani, sì, quelli via di testa davvero, e sono tanti, il 29%. Ma questi, per così dire, ‘possiamo capirli’, e poi sono meno pericolosi di quanto sembri: proprio a causa della loro patologia, spesso sono loro a chiamare subito i soccorsi, e il danno può essere limitato. Ma chi fa danno sul serio sono altri. Accendono i pastori, per aumentare la superficie a pascolo: il 23%. Accendono i volontari dell’antincendio (il 10%), così si garantiscono il lavoro. Accendono, soprattutto, gli speculatori edilizi, golosi dei terreni che così si rendono liberi, con la complicità dei Comuni, che non istituiscono il catasto degli incendi, unico strumento che consenta di applicare la legge del 2000 secondo cui per dieci anni non si può costruire sui terreni bruciati. Ma c’è un altro elemento estremamente interessante, in questa storia. Chi, materialmente, va ad appiccare il fuoco? A parte appunto i piromani ‘certificati’, sembra che la percentuale di giovani sia molto bassa: circa l’8%. La grande maggioranza sono ultrasessantenni, in genere pensionati, che per poche centinaia di euro arrotondano la pensione seminando devastazione e rovina. Ora, ogni uomo ha il suo prezzo, dice Tex, ed anche ogni infamia, soprattutto da quando il dio Profitto ha ucciso qualsiasi gerarchia di valori, qualsiasi differenza tra Bene e Male. Male è ciò che mi fa guadagnare ‘poco’. Bene, invece, è ciò che fa guadagnare molto e in fretta. Per esempio, vendere bambini al mercato della prostituzione, o al traffico di organi: perché no? Oppure seppellire nei campi e nei fiumi veleni mortali: tanto sono sempre ‘gli altri’ a crepare, e io mi bevo la minerale. Oppure anche trafficare in schiavi e schiave: un bel business anche quello. Secondo: il problema sono i déracinés, gli sradicati. Agli inizi del secolo scorso, la percentuale di popolazione italiana impiegata in agricoltura era superiore all’80%, e ancora nel ’55 – in prossimità di quel boom economico che ci avrebbe reso tutti ricchi, moderni e "felici" – era ancora del 40%. Oggi, quella percentuale è di poco superiore al 5%. Pensateci un attimo. Per decenni (e prima per secoli), la terra è stata ben più e ben altro che un mestiere. La terra era una Weltanschauung, una dimensione dell’esistenza, l’unico sistema di valori possibile ed immaginabile. Poteva essere una padrona dura ed esigente, spesso anche avara: ma era comunque l’unico punto di riferimento ideale e ‘culturale’ per milioni di persone. Di conseguenza, le sue esigenze erano essenziali e fondamentali: prima venivano i bisogni della terra, e i doveri che si avevano verso di essa, poi l’individuo, con le sue esigenze personali. Ma poi è arrivato il Progresso. La Natura? Ubbìe da romantici: anch’essa deve servire a guadagnare, altrimenti non ‘serve a niente’.E il lavoro contadino, di cui si diceva? Una cosa ‘vecchia’: sporco, volgare, ignorante, troppo lento nei suoi ritmi, troppo lento nei suoi profitti. Meglio la fabbrica: da operai o magari anche da padroncini. Così, la montagna e la campagna da un lato hanno cominciato ad essere abbandonate, dall’altro hanno cominciato a ricoprirsi di cemento e capannoni, in una proliferazione selvaggia e maligna che ha massacrato e snaturato – appunto – il Paese. In meno di cinquant’anni, quella che si è verificata non è stata soltanto una mutazione economica, ma anche e soprattutto una mutazione antropologica. Quello che accade oggi, allora, non deve stupire. Il pensionato che per cinquecento o mille euro incendia un bosco non è che l’ultimo anello consequenziale di una catena che comincia da lontano, dalla Rivoluzione Industriale, e che sembra voglia andare ancora lontano, verso l’abisso. E chi accende un rogo non è meno ‘immorale’ di chi costruisce un mostro di cemento sulla spiaggia, o di chi nasconde rifiuti tossici sotto un campo. I déracinés, coloro che hanno tagliato le proprie radici, non possono fare altro che rivoltarsi contro la loro stessa Madre, la Natura.