Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La sfida che viene dal Sud

La sfida che viene dal Sud

di Richard Gott* - 20/12/2005

Fonte: Nuovi Mondi Media


Il neo-presidente boliviano Evo Morales è entrato a far parte di quel crescente numero di governi sudamericani critici verso le teorie economiche neoliberiste degli ultimi vent'anni. Gli Usa ora vengono sfidati dal loro fianco meridionale 


La larga votazione a favore di Evo Morales, il candidato socialista indigeno alle elezioni presidenziali della Bolivia, e l'attesa ratificazione del suo successo da parte del Congresso nazionale, evidenzia un nuovo e affascinante momento nello spiegamento delle forze politiche radicali in America Latina.

Morales è un personaggio carismatico che rappresenta due importanti componenti della tradizione politica boliviana. Leader indigeno aymara, egli è inoltre il portavoce del potente partito socialista del paese e della corrente nazionalista che, generazione dopo generazione, esce regolarmente allo scoperto.

Contrariamente al giudizio comune, l'alleanza tra queste tradizioni dovrebbe assicurare al governo del neo-presidente una certa stabilità nell'affrontare i conflitti politici che si trova di fronte. Considerando come Morales sia anche il massimo dirigente della Federazione dei coltivatori di coca, la materia prima di quella cocaina così cara ai cittadini americani, la Bolivia inevitabilmente si troverà ad essere condizionata dalle decisioni prese oltre i propri confini.

Sottostante la storia delle maggioranze indigene in Bolivia si trova la dura eredità di secoli di dominio coloniale spagnolo, come si trova il brullo retaggio dei governi indipendenti che si sono succeduti nel corso del XIX secolo. Questi vennnero instaurati dai coloni europei, ai quali vennero fornite terre e i quali reinstaurarono lo schiavismo e l'oppressione. Lo scontro tra coloni bianchi da una parte – oggi in particolare posizione di forza nella provincia orientale di santa Cruz – e popolo indigeno dell'altopiano delle Ande occidentali dall'altra ha costituito lo sfondo della politica boliviana degli ultimi due secoli.

La tradizione del nazionalismo boliviano di sinistra ha avuto origine a seguito della Guerra del Chaco, il conflitto scoppiato tra Bolivia e Paraguay negli anni trenta. Esso portò alla diffusione del nazionalismo del petrolio (la prima iniziativa del genere nella storia dell'America Latina), l'emersione di diverse dittature militari ed una vera e propria rivoluzione nel 1952. Questi eventi e quelli successivi spesso sono sfociati nella violenza e nelle repressioni più violente.

Tra gli eroi caduti di Morales e del suo partito, il Movimento al Socialismo (Mas), figura Gualberto Villaroel, l'ufficiale militare riformista che venne deposto e ucciso e il cui corpo fu appeso a un lampione nella piazza principale di La Paz nel 1946, il rivoluzionario cubano Che Guevara che venne fucilato nella Bolivia orientale nel 1967, come del resto Tupac Katari, il leader della rivolta contro la spagna del 1780.

Se un tempo i dibattiti politici riguardavano lo sfruttamento della classe operaia, oggi si concentrano sulla prooprietà e sullo sviluppo delle risorse naturali. Una grossa fetta dei sostenitori di Morales sono coloro che in questi anni si sono mobilitati per le "guerre dell'acqua", una serie di vittoriose battaglie tenutesi in diverse città contro la privatizzazione dei rifornimenti di acqua nel paese.

Morales, come noto, è il leader dei coltivatori di coca, un settore caratterizzato da una produzione a base di manodopera altamente intensiva fornisce occupazione per migliaia di indigeni rimossi dalle stagnanti miniere di Stato. Il neo-presidente intende interrompere la cooperazione con gli Stati Uniti nello sradicamento delle colture di coca, sostenendo come la questione delle tossicodipendenze negli Usa non sia un problema della Bolivia.

Nel frattempo, gli eredi dei coloni bianchi di Santa Cruz e di Tarija stanno tentando di non perdere il controllo dello sfruttamento dei ricchi depositi di petrolio e gas naturale che consentono il sostentamento dell'intera Bolivia. Essi temono l'instaurazione di un governo nazionale indigeno e minacciano di dichiarare la propria indipendenza se non verranno lasciati operare in autonomia.

Lo staff economico di Morales ha già programmato la rinazionalizzazione delle risorse energetiche del paese e nuove regole contrattuali con le società straniere. Seguendo l'esempio tratto dal nuovo libro sulle politiche per l'America Latina scritto da Hugo Chávez, Morales cercherà di prendere a modello la riforma energetica statale venezuelana, che è riuscita a garantire accordi vantaggiosi con le compagnie petrolifere straniere senza eccessivi clamori.

Sempre seguendo l'esempio del Venezuela, il leader indigeno concentrerà nel suo primo annno di mandato un'assemblea costituente e formulerà un trattato costituzionale che assicurerà il ruolo preponderante della popolazione indigena all'interno del governo. Le caratteristiche relativamente riformiste del suo programma dovrebbero tranquilizzare i timori dei coloni e degli Stati Uniti e rassicurare gli elettori indigeni, ansiosi di un immediato miglioramento delle loro condizioni di vita, sul fatto che un nuovo futuro per loro si profila all'orizzonte.

Il programma governativo di Morales – e la sua intenzione di portarlo a termine – ha già suscitato preoccupazioni per gli scenari più catastrofici. Alcuni prevedono che la provincia di Santa Cruz, ricca di petrolio, potrebbe secessionarsi dalla repubblica boliviana e unirsi al Brasile. Altri immaginanole truppe cilene ammassate sulla frontiera andina a dichiarare guerra come fecero nel 1879. Altri ancora parlano di un'ipotetica invasione degli Usa dalla loro base militare in Paraguay, evocando lo spettro di una nuova Guerra del Chaco.

Coloro che propongono tali drasticità tendono ad ignorare la difficoltà pratica di poter condurre una guerra nei territori delle Ande e del bacino delle Amazzoni. E inoltre non considerano che Morales non è da solo. Il neo-presidente boliviano è entrato a far parte di quel crescente numero di governi di sinistra sudamericani critici verso le teorie economiche neoliberiste degli ultimi vent'anni e profondamente ostili alle brame egemoniche degli Stati Uniti. Dietro di loro stanno i sempre più potenti movimenti indigeni dell'Ecuador e del Perù, che vantano una discreta influenza politica.

Gli Stati Uniti, già messi sotto tensione in altri continenti, si trovano ora ad affrontare la sfida proveniente dal loro fianco meridionale, che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita e una diffusione senza precedenti.

Fonte: http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1670949,00.html
Tradotto da Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media
 
*Guardian