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Gli Usa costretti alla svolta energetica

di Michael T. Klare - 13/09/2005

Fonte: Nuovi Mondi Media

Non esiste un rimedio, almeno nel breve periodo, che possa invertire la rotta verso il declino. La via d’uscita è una sola: implementare la conservazione energetica. Ed è esattamente la politica che la Casa Bianca ha rifiutato

Tra le tante lezioni da seguire e da apprendere a seguito degli effetti dell’uragano Katrina, probabilmente nessuna è più importante di quella che porta alla definizione di una nuova politica energetica nazionale per gli Usa.

Il piano energetico nazionale annunciato con fragore da George Bush nel maggio del 2001 è ora collassato, spazzato via come le dighe di protezione di New Orleans dalla furia della natura. Con il risultato che ora gli americani, tra gli altri attuali “inconvenienti” di natura economica, si trovano a fare i conti con il rialzo sfrenato dei prezzi della benzina e dei combustibili per il riscaldamento domestico.

Come ci stiamo battendo per ricostruire New Orleans e gli altri centri del Golfo colpiti dal disastro, allo stesso modo dovremmo impegnarci per stabilire le linee guida di un’efficace e innovativa politica energetica nazionale.

Il piano di Bush del 2001 ha in sé un’obiettivo lacerante: incrementare la fornitura e il consumo interno di petrolio con ogni mezzo necessario. “Gli obiettivi di questa strategia sono chiari: assicurare un regolare rifornimento energetico per il business, le fabbriche e le abitazioni degli Stati Uniti”, dichiarò Bush il 17 maggio del 2001.

Per raggiungere questo traguardo l’amministrazione ha scelto di predisporre più ingenti trivellazioni petrolifere interne, in particolare nel territorio del Golfo del Messico, l’unica area del paese in grado di garantire maggiori rifornimenti per i prossimi anni. Il fatto che l’area del Golfo sia un magnete per gli uragani non sembra però essere stato considerato dall’amministrazione Bush.

Per incrementare l’approvigionamento, il Governo ha incentivato la trivellazione dell’Arctic National Wildlife Refuge (un’importante zona protetta) in Alaska, e ha riposto una fiducia crescente sulle importazioni dal Medioriente, dall’Africa e dal bacino del Mar Caspio. Finora il Congresso si era rifiutato di consentire la trivellazione dell’ANWR, affidandosi sempre più sulle scorte importate dall’estero.

Le importazioni costituiscono attualmente il 60% della fornitura totale degli Stati Uniti. Dal momento che le condizioni politiche di diversi paesi produttori si sono mostrate - per usare un eufemismo - turbolenti, la richiesta mondiale di petrolio fatica ad essere soddisfatta: da qui il rialzo del prezzo della benzina prima della devastazione del Golfo del Messico.

Se da un lato si intensificano le attività di trivellazione interna e ci si affida alle importazioni, dall’altro l’amministrazione Bush nulla sta facendo per promuovere la conservazione energetica nel proprio paese. Il vice-presidente Dick Cheney ha così sarcasticamente sentenziato l’argomento durante un incontro con la stampa: “La conservazione può essere un gesto di virtù personale, ma non costituisce certo una solida base su cui fondare un esauriente strategia energetica nazionale”.

La realtà è che il piano dell’amministrazione incentiva la sregolatezza. I vergognosi standard di economia di combustibile dei veicoli imposti per i mezzi SUVs [Sport Utility Vehicles, NdT] e per altri “veicoli leggeri” sono rimasti invariati, e molte altre simili vetture, come l’ “Hummer”, non conosceranno adeguate misure restrittive. Incredibilmente, i più recenti standard di efficienza proposti dalla Casa Bianca annunciati appena una settimana prima dell’uragano Katrina non faranno altro che incentivare la produzione e la vendita dei suddetti veicoli.

Una delle conseguenze di questo mancato contenimento della domanda è stata la smisurata crescita del consumo di petrolio proprio durante il governo dell’attuale amministrazione. Nei primi mesi del 2005 si è toccato il record dei 20,7 milioni di barili di petrolio giornalieri. Esattamente nel momento in cui la produzione mondiale di greggio ha iniziato a mostrare i primi segni di un consistente rallentamento.

Le cause di questo fenomeno sono diverse: il declino della produzione in molti altri settori; il fallimento dell’attività di ricerca in merito ad altri settori energetici; la cronica instabilità del Medioriente e di altre regioni chiave della produzione petrolifera.

Una cosa è certa: non esiste un rimedio, almeno nel breve periodo, che possa invertire questa rotta verso il declino. La via d’uscita è una sola: implementare la conservazione energetica. Ed è esattamente la politica che la Casa Bianca ha rifiutato.

Ora, dopo lo shock di Katrina, è tempo di ripartire. Gli Usa necessitano di una nuova strategia energetica che promuova e diffonda la cultura della conservazione e dello sviluppo delle fonti di energia alternative. Come primo passo, il Congresso deve imporre standard economici di consumo dei carburanti più sostenibili per tutti i veicoli, ma soprattutto per quelli SUVs e per quelli cosiddetti “leggeri” (che ora godono di misure molto più permissive rispetto alle altre vetture). Altri provvedimenti, come la riduzione dei limiti di velocità e maggiori incentivi a favore dei veicoli ibridi e dell’utilizzo dei mezzi pubblici, dovrebbero inoltre essere considerati.

E, prima di tutto, serve un piano strategico di lungo periodo che ci svezzi dalla cultura dei combustibili fossili, come petrolio e gas naturale, e ci conduca verso le biomasse (l’etanolo), l’idrogeno e altre potenziali risorse.

Di pari passo alla ricostruzione di New Orleans, di Biloxi e degli altri centri colpiti, l’adozione di una simile strategia è l’azione migliore che possiamo compiere mentre ci svegliamo dall’incubo di Katrina.



Michael T. Klare è professore di pace e sicurezza mondiale all’ Hampshire College ed è autore di 'Blood and Oil: The Dangers and Consequences of America's Growing Petroleum Dependency' (Metropolitan Books)


Fonte: http://www.commondreams.org/views05/0908-30.htm
Tradotto da Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media