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La Banca d'Italia e la grande frode del debito pubblico (recensione libro Arianna editrice)

di Luca Redig - 24/12/2005

Fonte: Rinascita



I coraggiosi autori della presente opera sono l’avvocato Marco Della Luna e Antonio Miclavez. Essi scrivono svelando i misteri della grande frode del debito pubblico e i segreti del signoraggio, di cui, secondo la loro ricostruzione, sarebbero responsabili la Banca d’Italia, in particolare, e le Banche Centrali estere, in generale, ognuna per la propria nazione.
Per comprendere affondo la complessità della materia affrontata, bisogna partire dall’epoca successiva a quella di Filippo II di Spagna e di Elisabetta I la grande d’Inghilterra.
In questo periodo travagliato, gli Stati (regni di Spagna, Francia, Inghilterra) per sostenere le loro spese di Guerra, per il mantenimento delle loro Corti, (soprattutto quella del cattolicissimo re di Spagna e quella assai sfarzosa del cristianissimo re di Francia; si rammenta che in quegli anni regnava sulla Francia Luigi XIV soprannominato il re sole anche per la magnificenza del suo tenore di vita), per la realizzazione di dispendiosissime opere pubbliche, emettevano troppo denaro, troppi biglietti di stato, in rapporto alle riserve auree che possedevano e agli introiti garantiti dalla fiscalità; perciò reiteratamente fecero bancarotta ossia insolvenza (parziale o totale, temporanea o definitiva, sul capitale e sugli interessi o su entrambi) nei confronti dei loro creditori (banchieri fiorentini, senesi, genovesi, in seguito anche tedeschi ad esempio i Fugher e olandesi).
Accadde allora, dal terminare del XVII secolo in poi, un grande cambiamento del sistema di potere e della struttura dello Stato, la quale configura lo Stato quale oggi noi lo troviamo.
In sostanza le case regnanti e le aristocrazie dei loro seguiti si accordarono con i banchieri creditori delle Nazioni e fondarono, in società con essi, banche private e concessero a questi medesimi istituti creditizi il potere sovrano di emettere denaro – prerogativa questa che fino ad allora era stata esclusivamente esercitata dallo Stato, dal monarca.
La facoltà di coniare le monete e di stampare le banconote fu data quasi interamente a queste banche – difatti queste banche stesse divennero, dopo questa riforma generale che le investiva, le monopoliste di fatto dell’emissione del denaro e del suo prestito, ognuna nel suo Stato.
La prima a sorgere, a causa della pressione del crescente indebitamento dello Stato per le guerre in corso, fu la Bank of England, nel 1694, sotto Guglielmo III di Orange, quest’ultimo voleva scalzare definitivamente la Spagna dal ruolo di potenza egemone sui mari; la Banca d’Inghilterra acquisì tutte le prerogative, che caratterizzano una Banca Centrale, nel corso di pochi lustri.
“L’importanza di questa trasformazione è unica” - come acutamente ci fanno notare gli scrittori di questo interessante saggio – “nella storia dell’umanità. Essa è la più grande e, soprattutto la più stabile di tutte le rivoluzioni. La rivoluzione francese è poca cosa, al confronto con essa. Persino l’Unione Delle Repubbliche Socialiste Sovietiche aveva una Banca Centrale gestita privatamente da un finanziere ebreo americano”.
Riprendendo il discorso si può facilmente arguire che, prima di questa trasformazione, il re che spende quattrini per edificare una reggia sfarzosa o per sostenere una guerra con cui ingrandire i propri possedimenti, indebita lo Stato, ossia se stesso, verso le banche; mentre, dopo di essa, è il monarca stesso, insieme ai suoi soci finanzieri, a fungere da banchiere verso lo Stato, attraverso la sua Banca centrale, e a prestare soldi allo Stato (al popolo) per finanziare i medesimi progetti nell’interesse del sovrano e dei suoi soci. Perciò, grazie a questa riforma, il re o l’imperatore quando sostengono una guerra per incrementare il proprio potere (e quello della classe dirigente che sostiene la monarchia), non solo non fanno più la guerra senza più indebitare loro stessi, ma grazie ad essa vanno a credito di capitale ed interesse verso lo Stato e i cittadini per le spese di guerra. Ossia, possono fare i propri interessi a spese del popolo, e per giunta guadagnandoci sopra. Guadagnano indipendentemente da chi vinca la guerra. Si produce una triangolazione tra oligarchia, Stato e nazione: l’oligarchia, per arricchirsi e consolidare il proprio potere, indebita lo Stato verso di sé onde prelevare al popolo col pretesto del debito pubblico.
La spesa pubblica (dalla guerra all’assistenzialismo) e il debito pubblico che da essa origina, diventano un inesauribile affare per il re e per i suoi soci. Anche perché il debito pubblico fornisce il pretesto allo Stato per incrementare la pressione fiscale, quindi crea per i governanti opportunità di arricchirsi maneggiando molti quattrini dei cittadini, distribuire molto denaro per comperare consensi e clientele, nonché alzare i tassi d’interesse e mandare in rovina per debiti molte imprese e rilevare così le per un tozzo di pane le loro aziende e proprietà.
“Questo modo di gestire gli affari delle Banche Centrali” - rilevano l’avvocato Marco Della Luna e Antonio Miclavez – “è l’essenza stessa della politica come praticata da allora ad oggi; Ovviamente nessuno ne parla” concludono gli autori.
Come si può comprendere la classe governante dei vari Paesi si distacca dagli interessi della Nazione e dissocia le proprie fortune da quelle della Nazione stessa, rendendoli indipendenti e perlopiù contrapposti.
Gli interessi dell’alta dirigenza vanno a collocarsi e a muoversi su un piano sopranazionale, al di sopra dei confini territoriali e dei popoli che governa e degli Stati attraverso cui li governa. Gli Stati si riducono a strumenti attraverso cui essa fa i propri interessi.
L’oligarchia finanziaria di un dato Paese, assumendo e scambiando partecipazioni azionarie delle banche di altri Paesi, può trovarsi in situazioni in cui il suo interesse economico è addirittura contrario a quello della Nazione che Governa, e convergente con quello della Nazione nemica – proprio come l’interesse economico dell’amministratore delegato della società x, che è concorrente della società y, se egli ha ( in proprio o tramite la moglie o per mezzo di uomini di paglia) una forte partecipazione nella società y, può attivarsi per mandare in rovina la società x per aumentare i profitti e il valore y, o trasferire la produzione e la clientela della società x alla società y, se il personale della società x si fa troppo esigente e contestatore.
“Ciò spiega” – come ci rivelano gli scrittori del lavoro – “come la famiglia di un capo di Governo di una “Democrazia Occidentale” che, con il pretesto di inesistenti arsenali di distruzione di massa, lancia guerre contro i terroristi, può essere alleata in affari con famiglie arabe di cui diversi membri finanziano il terrorismo con i profitti del petrolio”.
“Il punto centrale da comprendere” - secondo gli scrittori del saggio economico Euroschiavi – “è quello che da quando la riserva e la conversione aurea sono state soppresse, ossia grosso modo dal 1929, le banconote emesse, il denaro emesso, non possono più costituire debito. Ossia, il denaro emesso costituisce per essa puro attivo (su cui pagare le dovute tasse) – il contrario di ciò che essa fa figurare nel proprio bilancio”.
Il saggio è molto interessante per gli argomenti trattati, che per ragioni di spazio non si è potuto sviluppare nel presente articolo, come avrebbero meritato, però si raccomanda questo scritto per la chiarezza dell’esposizione e per il coraggio dimostrato dagli autori.