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La clonazione coreana? Un falso Ma da noi nessuno lo saprà

di Marina Corradi - 27/12/2005

Fonte: Avvenire

 

Com’è possibile che una rivista prestigiosa abbia pubblicato un lavoro di rilievo senza controlli?

 

Il dottor Hwang Woo-Suk a maggio era stato proiettato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo: era riuscito a produrre delle cellule staminali embrionali, clonate a partire da cellule adulte di undici malati gravi. Cellule staminali "su misura" che avrebbero rapidamente permesso di curare pazienti affetti da diabete, da lesioni del midollo spinale, da immunodeficienze.
L'entusiasmo e la speranza erano rimbalzati ovunque, dai media amplificati - soprattutto in Italia, dove si era nell'imminenza del referendum. Tutto un argomentare sulla modernità avanzante, altrove, e sulle biotecnologie trionfatrici là dove non sono accalappiate dalla morsa clericale e oscurantista; e su quanto tutto questo sarebbe costato all'Italia, e su come saremmo rimasti indietro nell'industria del terzo millennio - costretti poi, quei brevetti, a comprarceli a caro prezzo dalla Corea del Sud, o da altri paesi lasciati liberi di conquistarsi il futuro. (E tutti, in tanto progressista entusiasmo, a metter fra le righe, come irrilevante, il fatto che quelle cellule prodigiose venivano da embrioni. Fabbricati su misura solo per curare i loro padri genetici).
E ora che il dottor Hwang Woo-Suk di Seul, indagato da una commissione di colleghi per certi dati che non tornavano nei suoi lavori, ha lasciato la cattedra universitaria e ha ammesso di avere falsificato la sua ricerca (nove delle undici linee di staminali sviluppate non sono mai esistite, si attendono gli esiti degli esami per verificare se almeno due clonazioni sono autentiche), ora si metterà in moto un'onda mediatica uguale e contraria per dire che le promesse di Seul non erano vere?
Pareva che in Corea avessero finalmente trovato il modo di liberare gli uomini dal male, sia pure al prezzo di sacrificarne alcuni - piccolissimi, però - e si magnificava l'alto tasso di efficienza del dottor Hwang Woo-Suk, solo 185 ovuli per 11 linee staminali, che produttività fantastica. Se ne scriveva come si fosse trovato una nuova fonte di energia per i motori a scoppio: con entusiasmo da nuova alba preindustriale. E noi, povera Italia, che saremmo rimasti indietro, e quanto ci sarebbe costato.
Ma la ricerca era in buona parte, se non del tutto, un falso. Ora la Corea del Sud rimpiange i 40 milioni di dollari investiti in quelle provette. Mentre sorgono altre domande: com'è possibile che una rivista del prestigio di "Science" abbia pubblicato un lavoro di tale rilievo, senza controllarlo? I prodigiosi "pezzi di ricambio" - umani - di Seul sono diventati verità mediatica prima di esserlo scientificamente. E lo rimarranno a lungo: le parole della televisione restano, anche se i professori si dimettono. Succede qualcosa di simile a quanto va accadendo con la Ru 486. Da noi sta arrivando, acclamata come l'aborto "semplice", mentre sul New England Medical Journal un docente della Harvard Medical School venti giorni fa ha segnalato due casi di tossicità mortale in otto mesi negli Usa, che vuol dire un tasso di mortalità di 1 su 100.000, contro lo 0,1 su 100.000 dell'aborto chirurgico. Ma da noi è tutta una corsa ad adottare la pillola dell'aborto "leggero" - l'onda delle parole va in questa direzione. E' la modernità, il progresso che preme. E non c'è tempo, nemmeno per capire.