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Gli usi civici come problema sociale irrisolto della modernità

di Franco Carletti * - 06/01/2006

Fonte: ecologiapolitica.it


1. La storia italiana sui beni comuni trova riscontri significativi ed
illuminanti anche in pagine analoghe e parallele della storia inglese, di quella russa,
e di altri paesi; in sintesi, i diritti genericamente da noi designati col nome di usi
civici sono stati in tutta Europa il grande problema sociale della prima modernità e,
da noi, il primo problema che lo stato unitario si è trovato ad affrontare in termini
legislativi dopo l'unificazione del Regno.
Si pensi a tal proposito che le prime leggi “eversive” della proprietà
feudale e insieme della proprietà comune, passate con il nome di leggi di abolizione
della mano morta, risalgono al 1860; dunque, appena creata l'unità politica, il nuovo
Stato prova ad affrontare il grande problema sociale dell'epoca, quello del ruolo e
del peso delle masse contadine impoverite, che su quelle terre contavano e di quelle
ancora campavano, nonostante i compromessi deteriori cui erano state costrette
dalla parassitaria nobiltà che le dominava.
Secondo uno storico moderno, i beni comuni riservati ai ceti popolari
erano nel 1860 ancora l’80% del territorio extraurbano, oggi non raggiungono il 10-
15% del territorio nazionale, nonostante il lavoro secolare di accertamento,
consolidamento e difesa teorica, compiuto anche a seguito della legislazione
eversiva.
In proposito, si impone una constatazione preliminare: tutte le sentenze di
accertamento dei diritti collettivi, pronunciate dai Commissariati sino ad oggi,
debbono considerarsi senza effetto, perché non sono mai state trascritte sui registri
immobiliari; al contrario, pieni effetti vanno riconosciuti alle sentenze
commissariali che, nel conflitto con i diritti collettivi, hanno assegnato
riconoscimento ai diritti dei privati, perché queste sentenze sono state
immancabilmente trascritte a richiesta degli stessi privati vittoriosi.
Ripeto: nella controversia che si instaura, su istanza di parte o anche di
iniziativa dello stesso giudice, per accertare se vi sono e quali sono i diritti
immobiliari collettivi in un certo comprensorio, ebbene, il proprietario privato
trascrive immancabilmente la decisione a proprio favore; non altrettanto fa invece il
proprietario collettivo, o l'Ente che lo rappresenta. In proposito, sarebbe sufficiente
una riforma minima, interpretativa: i commissari trasmettano la propria ordinanza o
la propria decisione agli Uffici del Territorio, che provvedano ex lege alla
trascrizione dei beni collettivi, in favore delle comunità riconosciute titolari.
2. I beni civici presenti storicamente sul territorio sono stati dunque, in
vario modo, quasi tutti dispersi e privatizzati. Degli originari 100 milioni di ettari
presenti nel 1860, si calcola che ne sopravvivano oggi 2 milioni di ettari; e tuttavia,
a mio parere questa valutazione è in larga misura sottostimata.
Secondo la mia esperienza giudiziaria ormai ventennale, nel solo Lazio
non vi sono mediamente meno di 500 ettari a Comune – cioè 18-19 mila ettari in
tutto. Ma attenzione: la fruizione di questi compendi patrimoniali è quasi
dappertutto privatizzata e parcellizzata, in particolare sulla costa, dove dentro e
fuori gli usi civici sono state edificate decine di migliaia di abitazioni abusive, mai
perseguite né dal giudice penale né da quello amministrativo.
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Questo trend non si è ancora interrotto: quasi ogni compendio di demani
collettivi è interessato oggi da edificazioni in atto, da iniziative di urbanizzazione,
da parcellizzazioni illegittime e incontrollabili. Nel territorio del Comune di Ardea,
vi sono quattromila ettari di terreni gravati da usi civici, tutti indebitamente costruiti
e urbanizzati in violazione dei più sacri divieti delle leggi urbanistiche, nel Comune
di Roma c’è una quantità elevata di terre acquistate in tempi storici dal Comune di
Frascati per l’esercizio dell'uso civico di pascolo, che oggi ospitano un’Università, e
via di questo passo.
Il segnale più clamoroso di questa situazione viene di recente da una legge
della Regione Lazio, che in violazione dei principi di incommerciabilità sanciti
dalla legge nazionale, consente ai Comuni l'alienazione delle terre civiche ai privati.
3. L’origine dei beni civici si perde nella notte dei tempi. Alcuni nascono
al tempo dei Romani e sono riconducibili al patrimonium dei vari municipi, altri
sono di origine germanica e sono quindi i beni originariamente occupati dai
Longobardi o dai loro successori, altri sono i feudi nobiliari istituiti in tutto il corso
dell'età di mezzo ed affidati al vassallo per l’esercizio della sovranità derivata, ma
con l'intesa almeno implicita che costui consentisse ai propri contadini di camparvi,
partecipando dei prodotti del suolo.
Non è possibile, è schematico, è una pretesa della modernizzazione, ridurre
tutta la proprietà a proprietà individuale. In realtà anche l’individuo vive in
comunità, e le risorse immobiliari appartengono fondamentalmente al popolo
insediato sul territorio.
Oggi tuttavia, le comunità titolari dei beni collettivi non esistono più quasi
in nessun luogo – ovvero non sono fortemente interessate allo sfruttamento
esclusivo delle proprie risorse territoriali. Qualche segno di attaccamento si ritrova
oggi, ancora, in Umbria, in Sardegna e in pochi altri luoghi; ma in genere manca la
strumentazione giuridica, istituzionale e finanziaria necessaria per consentire loro
un utilizzo adeguato di questi capitali, in linea con le esigenze odierne.
Bisogna quindi studiare e immaginare strumenti nuovi e alternativi che
consentano insieme la gestione produttiva dei beni collettivi, capace di radicarvi il
lavoro e le risorse necessarie, dall’altro la loro gestione conservativa, atta a
conservare il patrimonio anche in chiave di rispetto e tutela dell'ambiente.
A questo scopo, mi sembra necessario istituire una agenzia nazionale o
regionale (o anche una serie di agenzie regionali, collegate tra di loro) che abbiano
il potere, in primo luogo, di agire in giudizio per l'accertamento dei beni di
appartenenza collettiva e per il rilascio dei demani occupati, anche quando le
occupazioni siano imputabili agli interessi criminali organizzati, presenti sul
territorio.
L’Agenzia dei Demani Collettivi dovrebbe contrastare queste occupazioni
e a questo scopo dovrebbe tenerne una situazione aggiornata; dovrebbe promuovere
gli accertamenti giudiziari e curare la trascrizione delle relative decisioni, dovrebbe
redigere o far redigere l' inventario patrimoniale di gestione, dovrebbe riscuotere e
redistribuire i redditi attesi o concordati.
*Magistrato di Cassazione - Giudice agli usi civici per l’Italia Centrale.