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Pratica della Meditazione Zen

di Celestino Cavagna - 16/01/2006

Fonte: cele-jp.com/bukkyo/

Vorrei dire qualche cosa circa la mia esperienza personale di meditazione Zen con Padre Enomiya Lassalle e il Maestro Yamada Ko-un. Essi mi hanno insegnato che l'esperienza della morte consiste nell'essere semplici, nel dimenticare sé stessi; vivere in modo giusto e vero e praticare continuamente la meditazione. Meditare con impegno, non per ottenere qualche cosa, ma per dimenticare sé stessi e capire in profondità la nullità di sé e del tutto. Questa è libertà e verità. Inoltre, controllare se quello che è compreso è vissuto nella vita di ogni giorno (personalizzazione dell'esperienza). Vedere nei sentimenti, nei pensieri, nel modo di incontrare le persone, nel modo di affrontare i problemi, se uno si è veramente svuotato ed è libero. La prova della vera comprensione (satori), è la capacità di essere una cosa sola con tutte le persone, è di essere a proprio agio in ogni situazione. Se non c'è questo, non ci può essere la "Vita Nuova", non ci può essere salvezza, è solamente una spiritualità fatta di parole e di idee.

 

Il mio primo sesshin (ritiro Zen di diversi giorni) con Padre Lassalle a Shinmeikutsu (la casa di ritiro Zen cattolica, sui monti alla periferia di Tokyo) fu alla fine di marzo del 1979. Ero già abituato da prima a sedere in meditazione Zen da solo, ma quella era la prima volta che partecipavo a un sesshin completo di cinque giorni, e non immaginavo come sarebbe stato. L'amico con cui andai aveva partecipato già molte volte a dei sesshin, e mi disse non era così duro. Avrei sentito male alle gambe all'inizio, ma poi mi sarei abituato.

Con molta fiducia entrai nella casa di ritiro e mi sentii subito a mio agio col silenzio e l'austerità di Shinmeikutsu, e pensai che per me sarebbe stato un buon sesshin .

Mi sedetti un po' nello Zendo (sala di meditazione) da solo per gustarne l'atmosfera, e poi avemmo un incontro di introduzione e di spiegazione dettagliata dei giorni del sesshin.

L'orario era piuttosto severo, con davvero molto tempo di meditazione. Non avevo problemi col silenzio e pensai che sarebbe stata una bella esperienza lo stare una settimana intera senza parlare. Mi piaceva anche il cibo giapponese vegetariano e non mi preoccupai più di niente.

 

Il seguente è l'orario quotidiano del sesshin a Shinmeikutsu. E' anche lo stesso orario dei sesshin nei monasteri Zen dai tempi antichi:

  •  

    • 4:00 Levata

      4:20 Zazen (sedere in meditazione zen)

      5:00 Messa, Zazen

      6:00 Colazione

      6:30 Samu (lavoro manuale), interruzione

      7:30 Zazen (40 minuti), Kinhin (camminare in meditazione)

      8:30 Conferenza sullo Zen

      9:30 Zazen, Dokusan (incontro privato col Maestro), Kinhin.

      10:30 Zazen

      11:00 Pranzo, momento di riposo

      1:30 Tè, Zazen, Kinhin

      2:30 Zazen, Dokusan, Kinhin

      3:30 Zazen, Kinhin, preghiera della sera

      4:30 Cena

      6:30 Zazen, Kinhin

      7:30 Zazen, Dokusan, Kinhin

      8:30 Zazen

      9:00 Ultime istruzioni del maestro, Tè

      9:30 Riposo

Il primo giorno ci alzammo alle 4:00. In 15 minuti ero pronto ed entrai nella sala di meditazione, sedetti in posizione aspettando la campana che dà il segnale d'inizio dello zazen. Nel silenzio profondo nessuno si muoveva , sembrava perfino che nessuno respirasse. Il suono vibrante dei tre colpi di gong entrò nei miei orecchi e nel mio cuore profondamente, conducendomi a un più profondo silenzio interiore. Continuai a seguire mentalmente il respiro e capii che per me stava iniziando una vita nuova. Finalmente potevo avere un vero addestramento Zen con un buon maestro, una cosa che desideravo da molto tempo.

Dopo lo zazen ci fu kinhin, la meditazione camminando, poi la Messa. La colazione fu molto semplice, riso in brodo con un po' di tsukemono, le salamoie giapponesi. Seguì il samu: lavoro nella casa, pulire la sala di meditazione, i corridoi, i gabinetti; oppure fuori, pulendo intorno alla casa, e il giardino.

Una piccola interruzione e di nuovo zazen. 40 minuti erano un po' lunghi e le mie gambe cominciavano a far male più che mi aspettassi ma tentai di concentrarmi meglio che potevo. Padre Lassalle ci tenne una conferenza circa il corretto modo di sedere della meditazione Zen, poi di nuovo zazen, kinhin, zazen fino alle 11:00 quando ci fu il pranzo e poi potemmo riposare per un paio d'ore. Si dovrebbe essere concentrati continuamente, anche durante il riposo, ma ruppi il silenzio per parlare del mal di gambe con l'amico con cui condividevo la stanza. Lui mi rassicurò che il primo giorno è sempre duro, ma dal secondo giorno ci si abitua. Nel pomeriggio la meditazione divenne più difficile per il dolore di gambe. Stavo facendo del mio meglio ma il tempo sembrava così lungo, non potevo concentrarmi bene, e aspettavo solo la fine della seduta. Venne il momento della cena, una breve interruzione e di nuovo lo zazen. In qualche modo vennero le 9 di sera e sentii un grande sollievo per aver terminato la giornata. Nelle ultime istruzioni Padre Lassalle ci consigliò di non allentare mai la concentrazione, impegnandoci al meglio nello zazen, come se fosse una questione di vita o di morte.

 

Il secondo giorno cominciai lo zazen di nuovo con tutta la forza ma compresi che le gambe ancora facevano male.

La conferenza di Padre Lassalle fu circa l'effetto della meditazione Zen, e fui colpito e ripresi speranza quando lui parlò di "Joriki", la forza spirituale che viene dalla meditazione. Qualcosa che migliora le funzioni di tutto il corpo e allevia anche il dolore. Il pomeriggio sedere in zazen divenne di nuovo molto difficile. Capii che non stavo migliorando, ma perdendo coraggio. Non mi stavo concentrando, ma soltanto desideravo fortemente che la seduta finisse presto. Qualche volta perfino contavo i miei respiri fino a cinquanta, immaginando che nel frattempo il gong avrebbe certamente segnalato la fine della seduta. Qualche volta il dolore era così forte che tutto il mio corpo tremava, e quando mi alzavo alla fine della seduta non potevo stare in piedi. Cominciavo a dubitare che avrei potuto finire i cinque giorni di meditazione zen. Alla seduta della sera le cose peggiorarono. Cominciai a pensare che il giorno seguente, avrei potuto prendere l'autobus al mattino presto e abbandonare il sesshin. Forse non ero preparato fisicamente, forse ero troppo stanco, avrei dovuto fare più esercizio fisico prima di andare a un sesshin. Avrei potuto fare meglio la prossima volta.

Ricordai la fiducia che avevo in me stesso quando cominciai il giorno prima. Veramente volevo praticare zazen, e spesso dicevo agli amici che lo zazen era per me. Lo Zazen era il modo per approfondire l'intuizione e comprendere la Verità così com'è. Ero sicuro che era il modo di vivere adatto a me.

Potei vedere che non era una questione di preparazione fisica, ma era come se dovessi morire a me stesso, non solo nelle idee e i sentimenti, ma anche con tutto il mio corpo. Stavo mentendo, stavo prendendomi molta cura del mio caro "Io". Stavo mostrando agli altri un'immagine spirituale di me, qualcuno a cui piace la meditazione e può praticare zazen. Pensavo di essere "un bravo meditante", come dicono nello Zen. Ma la bugia divenne chiara a causa del dolore di gambe, la maschera sbriciolò via e mi sentii pieno di vergogna di me stesso. Se avessi lasciato il sesshin il giorno seguente, non sarei mai potuto sedere di nuovo, avrei trovato sempre delle scuse per rimandare la meditazione, o avrei pensato che forse non avevo bisogno di meditazione zen per niente, e potevo benissimo usare soltanto la preghiera cristiana stando seduto comodamente. Non erano solo le mie gambe che stavano facendo male ma tutto me stesso, specialmente il mio orgoglio.

Sentii che le mie guance erano bagnate. Lacrime calde stavano fluendo lentamente dai miei occhi e la mia respirazione era eccitata.

 

Decisi di non andare via. Volevo finire il sesshin. Volevo praticare zazen, e arrivare all'esperienza di comprendere la Verità come facevano i maestri Zen. Pensai ai martiri cristiani al tempo delle persecuzioni, o ai prigionieri politici in alcuni paesi che sopportano le torture per i loro ideali e che anch'io potevo sopportare un po' di dolore di gambe. Il giorno seguente quando ebbi la prima opportunità di incontrare Padre Lassalle privatamente, gli dissi sinceramente che non riuscivo più a sopportare il dolore di gambe ma che volevo continuare fino alla fine. Lui mi disse che potevo sedere da solo nella stanza piccola fuori dalla sala di meditazione, così avrei potuto muovere le gambe quando il dolore era troppo forte e non avrei disturbato gli altri. Feci quanto mi disse, ma con un forte sentimento di fallimento vedendo gli altri sedere silenziosi nella sala.

Il quarto giorno non potevo sedere cinque minuti senza muovermi, e fui consigliato di sedere con le gambe diritte in giù lungo il rialzo del posto di meditazione. Il quinto giorno anche la mia spina dorsale cominciò a far male, ma non dissi più niente. Alla fine dell'ultima seduta della sera qualcuno colpì l’asse di legno fuori della sala di meditazione per segnare la fine del sesshin. Prima lentamente, poi più veloce con ritmo crescente, come il suono di una biglia di vetro che cade sul pavimento. I cinque giorni trascorsi mi erano sembrati degli anni e quel suono mi parve un sollievo molto grande, sebbene sentissi che mi stava invitando ad altri sesshin e a un addestramento più lungo.

Quando il sesshin era finito dissi a Padre Lassalle che era stata una grande esperienza per me; era come se fossi morto a me stesso, o a quello che credevo di essere. Lui rise e mi disse che nessuno è mai morto per essere stato seduto in meditazione, che il mio impegno deciso verso la meditazione zen era una buona cosa ma era solo metà della Via, l'altra metà consisteva nel continuare la meditazione per tutta la vita.

Dopo quella volta presi di nuovo parte a molti sesshin. Questi non furono così dolorosi come il primo; poco per volta mi stavo abituando. Non era il dolore alle gambe che diminuiva ma la determinazione che era aumentata con la pratica. Qualche volta potevo sedere realmente in concentrazione profonda e sentirmi a mio agio, ma qualche volta non riuscivo a concentrarmi, preoccupato di diverse cose. La pratica Zen è lenta e richiede lungo tempo, richiede tutta la vita.

Dopo cinque anni ebbi il forte desiderio di approfondire la concentrazione e l'intuizione, dedicando più tempo alla meditazione, sotto la guida di un maestro. Potei ottenere un anno libero da impegni parrocchiali e seguire la guida del maestro Yamada Ko-un di Kamakura, a cui fui presentato da Padre Lassalle. Andai a vivere a Kamakura affittando una stanza e ogni sera dalle 6:30 alle 9:00 frequentavo il San-Un Zendo dove insieme con 20 o 30 altre persone potevo sedere in meditazione e avere quasi ogni sera l'incontro privato col maestro Yamada. Avevamo ritiri zen due volte al mese per tutta la domenica e ogni circa due mesi avevamo sesshin di 4 giorni o 5 giorni.

 

Il maestro Yamada mi accettò come discepolo il 21 Gennaio 1984. Il suo insegnamento negli incontri privati con me cominciò col primo caso del Mumonkan: "Il cane di Jo-shu" .

"Quando pratichi meditazione, ripeti mentalmente "Mu"( il Nulla) a ogni respiro; non cercare altro se non di divenire una cosa sola con il Mu. Non pensare quando mediti, ma solo ripeti mentalmente "Mu, Mu Mu", e la prossima volta portami la risposta. Che cosa è il Mu?

Feci quanto mi disse. Ripetevo continuamente Mu quando meditavo; qualche volta mentre viaggiavo in treno, e ogni qualvolta potevo riposare la mente prima di dormire, stavo ripetendo mentalmente Mu. Ma ogni volta che incontravo il maestro Yamada nell’incontro privato, le mie risposte erano soltanto idee e pensieri circa il Mu. Ogni tentativo era rifiutato e non sapevo più che cosa rispondere.

"Non ti ho detto di pensare al Mu, soltanto di portarmelo. Se tu realmente divieni uno con il Mu dovresti capirlo. Ripeti Mu quando respiri, a ogni respiro, non perderlo mai. Se hai distrazioni, ogni volta torna indietro al Mu, torna sempre indietro al Mu, ripeti Mu soltanto come uno stupido, per sempre. Non preoccuparti del significato del Mu. Non è filosofia, non è teologia, Mu è solamente Mu."

Qualche volta non sapevo come rispondere, e dicevo "sto ancora cercando il Mu." Lui era tagliente nel rispondere:

"Non devi cercare il Mu, il Mu cerca se stesso. Questo è il Mu"

e guardandomi fisso disse con respiri profondi:

"Mu, Mu, Mu. Tu devi dimenticare te stesso e soltanto ripetere Mu, all'infinito. La pratica del Mu è senza fine. Devi fonderti nel Mu. I tuoi sono solo pensieri, non è il Mu. Impegnati di più, impegnati di più. Non c'è l’Io, non c'è il pensare, c'è solamente il Mu.

Ricorda quanto disse il maestro Harada: Il Mu sta muificando il Mu."

Quasi ogni volta che incontravo il maestro era la stessa cosa. Cominciai ad avere paura di lui. Stavo facendo del mio meglio, almeno nella mia intenzione.

 

Ad Aprile un giorno dissi al maestro Yamada che avevo cominciato a frequentare dei corsi sul Buddismo all'università Komazawa di Tokyo, pensando che lui sarebbe stato contento. Ma la sua reazione fu inaspettata. Mi gridò all'improvviso:

"Io non ti dissi di studiare, ti dissi solo di ripetere Mu tutto il giorno. Mu non può essere capito studiando. Devi dimenticare tutto te stesso ed essere una cosa sola col Mu."

Tentai di spiegare che lo studio non era per capire il Mu, ma soltanto per passare meglio il mio tempo libero. Ma lui fu molto severo.

"Smetti di studiare, e pratica con impegno! Oppure vai via. Se non hai fiducia in me, vai dove vuoi, ma non darmi più fastidio. Sono occupato con molte persone che vogliono realmente praticare."

Fui scosso da quella reazione e capii come la pratica del Mu doveva essere seria. Sebbene non potessi smettere la scuola, mi promisi di fare veramente tutto per poter mostrare il Mu al maestro, e praticai con più impegno, dedicando più tempo alla meditazione. Dalla sua parte, lui non mi chiese più dello studio, e continuò a guidarmi con tutto il cuore.

Una volta mi disse:

"Tu stai praticando con molto impegno, ma questo non è abbastanza. Devi praticare e meditare come se dovessi morire."

Non potei dimenticare queste parole. A poco a poco capii che non era questione con quanto impegno facevo, ma una questione di non fare, non di cercare di ottenere qualcosa, ma di lasciare andare ogni cosa, era questione di morire. Non pensare, non desiderare, non desiderare nemmeno di capire il Mu. Cominciai a meditare come un morto. Ogni volta che sedevo in meditazione, ripetevo solamente Mu, immaginando che era la mia ultima seduta, che la mia vita finiva, che non avevo un futuro di cui preoccuparmi, che era l'unica opportunità che avrei avuto in tutta l'eternità. Senza pensare, senza tentare di dare risposte intelligenti al maestro, dicevo solo "non capisco", o soltanto ascoltavo lui e mi inchinavo in silenzio.

Col tempo ero come posseduto dal Mu, sentivo che la parola Mu detta a ogni respiro stava divenendo come una spina dorsale in me, era come un ruscello che scorreva dentro di me tutto il tempo.

La mia coscienza era molto chiara, ero molto calmo e il tempo della meditazione passava in fretta.

Alcune parole sentite durante il sesshin alla sera, quando il supervisore batte l'asse di legno all'ingresso della sala, col ritmo crescente tipico che segna la fine di ogni giorno, aiutò grandemente la mia concentrazione.

  •  

    • "Vi dico in tutta sincerità,

      Vita e Morte sono una questione importante,

      Esse sono fugaci e rapidamente passano via,

      ciascuno di voi sia ben sveglio e allontani le illusioni,

      sia accurato, e non si comporti secondo il proprio modo di vedere".

Seppi più tardi che queste parole sono scritte sull'asse di legno all'ingresso della sala di meditazione, secondo le regole del maestro cinese O-baku (850), e gridate ogni sera durante il sesshin per incoraggiare gli studenti a praticare sinceramente.

Il Maestro Yamada osservava attentamente la mia pratica. Un giorno in Giugno mi disse durante l'incontro privato che il Mu era vicino, a portata di mano. Si alzò in piedi improvvisamente di fronte a me e disse: "Guarda bene qui, questo è il Mu!" Compresi che lui realmente era una cosa sola con il Mu, potevo vederlo chiaramente, e desideravo di poter dire lo stesso anch'io.

Durante il sesshin alla fine di Luglio, mentre sedevo meditando come al solito come se fossi morto, rinunciando a tutto, nemmeno pensando più a comprendere, pronto anche ad accettare di essere mandato via dallo Zendo se il maestro Yamada non fosse stato soddisfatto di me, ebbi un'esperienza strana. Il supervisore durante il kinhin mi disse di andare all'incontro col maestro. Congiunsi le mie mani e fatto l'inchino, lasciai la fila per andare alla stanza del maestro. Notai però che non avevo il cartellino del mio nome, e andai indietro alcuni passi a prenderlo dalla mensola. Improvvisamente, in un istante compresi quanto ero stupido nel cercare il Mu, il Mu ero io, Io non ero nulla se non un cartellino con un nome. Quello che sempre credevo di essere, il mio Ego, non era nulla se non un cartellino attaccato a un corpo che va in giro, mangia, lavora, dorme e fa diverse cose.

Quando dissi al maestro che il Mu ero io, e gli dissi la storia del cartellino del nome, lui mi fece delle domande per esaminare se stessi dicendo la verità, e mi disse di tornare al mio posto e meditare più profondamente. Sedetti di nuovo ma non potevo stare tranquillo. Mi sentivo molto eccitato, il mio corpo stava tremando, sudavo, e avevo strani sentimenti, come sogni. Era come se qualcosa dentro di me si stava gonfiando e spingeva forte, il mio corpo si stava tagliando e stava aprendosi in fuori. Una specie di nebbia avvolgeva tutte le cose intorno, il mio corpo stava sbriciolandosi a pezzi e scomparve, tutte le cose intorno erano come gusci d'uovo che si aprivano, erano vuoti e si rompevano a pezzi. Era come un sogno che mostrava il vuoto di tutte le cose.

In ogni modo la meditazione era più importante e divenni quieto e continuai a ripetere Mu. Ero molto felice, e ogni persona, ogni oggetto intorno a me, sebbene quieto e zitto, era come sveglio e vivo. Tutto era così naturale e perfino i suoni e i rumori che prima disturbavano la meditazione, ora mi riempiva di gioia.

Il maestro Yamada più tardi mi disse:

"Tu hai aperto un piccolo buco nella realtà, e ora puoi cominciare a meditare e praticare per tutta la vita. La realtà è come un grande palazzo. Tu hai solo guardato dentro attraverso un piccolo buco nel muro di cinta. Ora devi andare alla porta d'ingresso, devi aprirla ed entrare nelle stanze, facendo della stanza più interna la tua abitazione permanente.

Continua a sedere in meditazione ogni giorno."

Per un altro mezzo anno ricevetti quasi ogni giorno la guida del maestro Yamada, poi ritornai al lavoro della parrocchia, e lo vidi soltanto alcune volte all'anno quando era in vita.

 

Sto ancora cercando un buon maestro, e nel frattempo il mio nuovo Zendo è la vita di ogni giorno. Ogni persona che incontro o con cui lavoro ogni giorno, tutto quanto accade nella mia vita sta mostrando il grado del mio morire all'Ego. Affetti e antipatie, essere feriti da situazioni sgradevoli, o essere ottusi al bisogno degli altri, tutto questo è il termometro della forza dell'Ego.

Personalizzare l'esperienza, morire la Grande Morte e ritornare in vita, alla Grande Vita è un addestramento di lunga durata. Tra gli inganni di ogni giorno, la Vita Grande ed Eterna sta mostrando la sua faccia.