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L'esilio degli ebrei? un mito.

di Davide Frattini - 01/04/2008



La tesi di Shlomo Sand: è solo parte dell'ideologia nazionalista e sionista. «La diaspora? Convertiti». Polemiche e dibattiti, il libro è tra i più venduti
«L'esilio degli ebrei, un mito». Uno storico scuote Israele

È come il sesso: non se ne parla davanti ai bambini. Cari colleghi, voi lasciate che i piccoli imparino falsità: è ora di parlare di sesso

GERUSALEMME — I bambini israeliani la imparano a memoria: «Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno e nel ripristino della sua libertà politica». È la Dichiarazione d'indipendenza, insegnata nelle scuole da quando David Ben-Gurion la firmò il 14 maggio di sessant'anni fa. Parole che un professore dell'università di Tel Aviv ha deciso di smontare come «mitologia nazionalista». Il suo saggio è entrato in due settimane nella classifica dei cinque più venduti, al primo posto tra i più discussi e criticati.

In 297 pagine, Shlomo Sand sostiene che gli ebrei non vennero esiliati dai romani dopo la distruzione del Secondo tempio: gli ebrei della Diaspora sarebbero i discendenti di popolazioni locali convertite.
Racconta la storia della regina berbera Dahia al-Kahina, che scelse la religione ebraica per sé e la sua tribù nordafricana, combattè gli assalti dei musulmani e dal Maghreb emigrò in Spagna per dare origine alla comunità. Gli ashkenaziti dell'Europa orientale deriverebbero invece dai rifugiati del regno cazaro, che si erano convertiti nell'ottavo secolo.
«Il paradigma dell'esilio — spiega — serviva per costruire la storia del vagabondaggio tra mari e continenti, fino all'idea sionista che permise un'inversione a U e il ritorno alla terra d'origine». «È uno dei libri più affascinanti e stimolanti pubblicati in questo Paese da molto tempo», commenta lo storico Tom Segev. L'università di Tel Aviv ha organizzato un dibattito pubblico per affrontare le tesi controverse del saggio, intitolato «Quando e come il popolo ebraico venne inventato». Sand si è difeso dagli attacchi, che sono arrivati da destra e da sinistra. I professori di formazione marxista lo hanno accusato di ignorare la storia economica degli ebrei, gli altri docenti lo hanno bollato come antisionista.
Dina Porat, storica dell'Olocausto, gli ha detto di aver completamente trascurato la realtà politica dopo la Shoah. Tutti lo hanno criticato per essere uscito dal suo campo e per non aver consultato le fonti originali, visto che insegna e studia la Storia del Ventesimo secolo, in particolare quella francese.
Lui ha chiuso trattando di «sesso»: «I genitori non ne parlano davanti ai bambini. Aspettano che vadano a dormire. Cari colleghi, voi sapete quanto me che non c'è stato nessun esilio, ma lo sussurrate solo tra di voi. Voi lasciate che i bambini imparino falsità. È ora di parlare apertamente di sesso».
Come altri «nuovi storici» israeliani, Sand vuole erodere «le fondamenta del progetto sionista». Sa che il suo libro mette in discussione «il diritto storico a questa terra, alla legittimità del nostro essere qua». Non è si è fermato al 1948 o alla fine dell'Ottocento, è andato indietro migliaia di anni. Tenta di dimostrare che il popolo ebraico non ha avuto un'origine comune ed è un mix di gruppi che in varie fasi hanno adottato l'ebraismo: «Quella che si è diffusa nel mondo — spiega — è la religione, non la gente». Così i discendenti del regno di Giuda sarebbero piuttosto i palestinesi. «Nessuna popolazione rimane pura durante un periodo tanto lungo — commenta al quotidiano Haaretz — ma i palestinesi hanno più possibilità di me di essere imparentati con l'antico popolo ebraico».
Definisce «perverso» il dibattito israeliano sulle radici: «È etnocentrico, biologico e genetico». L'obiettivo del suo saggio è politico. Sand sostiene uno Stato binazionale, da dividere con i palestinesi, e dice di trovare difficile vivere in un Paese «che si definisce ebraico». «Per me è un paradosso. Uno Stato deve rappresentare tutti i suoi cittadini. I miti che riguardano il futuro sono meglio delle mitologie introverse del passato. Bisognerebbe ridurre i giorni di commemorazione e aggiungere cerimonie dedicate a quello che verrà».
 

Una invenzione chiamata “il popolo ebraico”


AUTORE:  Tom SEGEV

Tradotto da  Mauro Manno


La Dichiarazione di Indipendenza di Israele afferma che il popolo ebraico proviene dalla Terra di Israele e che fu esiliato dalla sua patria. Ad ogni scolaro israeliano si insegna che ciò accadde durante il dominio romano, nell’anno 70 d.C. La nazione rimase fedele alla sua terra, alla quale iniziò a tornare dopo 2 millenni di esilio. Tutto sbagliato, dice lo storico Shlomo Sand, in uno dei libri più affascinanti e stimolanti pubblicati qui (in Israele) da molto tempo a questa parte. Non c’è mai stato un popolo ebraico, solo una religione ebraica, e l’esilio non è mai avvenuto – per cui non si è trattato di un ritorno. Sand rigetta la maggior parte dei racconti biblici riguardanti la formazione di una identità nazionale, incluso il racconto dell’esodo dall’Egitto e, in modo molto convincente, i racconti degli orrori della conquista da parte di Giosué. È tutta invenzione e mito che è servita come scusa per la fondazione dello Stato di Israele, egli assicura.

Secondo Sand, i romani, che di solito non esiliavano intere nazioni, permisero alla maggior parte degli ebrei di restare nel paese. Il numero degli esiliati ammontava al massimo a qualche decina di migliaia. Quando il paese fu conquistato dagli arabi, molti ebrei si convertirono all’Islam e si assimilarono con i conquistatori. Ne consegue che i progenitori degli arabi palestinesi erano ebrei. Sand non ha inventato questa tesi; 30 anni prima della Dichiarazione di Indipendenza, essa fu sostenuta da David Ben-Gurion, Yitzhak Ben-Zvi ed altri.

Se la maggioranza degli ebrei non fu esiliata, come è successo allora che tanti di loro si insediarono in quasi ogni paese della terra? Sand afferma che essi emigrarono di propria volontà o, se erano tra gli esiliati di Babilonia, rimasero colà per loro scelta. Contrariamente a quanto si pensa, la religione ebraica ha cercato di indurre persone di altre fedi a convertirsi al giudaismo, il che spiega come è successo che ci siano milioni di ebrei nel mondo. Nel Libro di Ester, per esempio, è scritto: “Molti appartenenti ai popoli del paese si fecero Giudei, perché il timore dei Giudei era piombato su di loro” [1].

Sand cita molti precedenti studi, alcuni dei quali scritti in Israele ma tenuti fuori dal dibattito pubblico dominante. Egli descrive anche, e a lungo, il regno ebraico di Himyar nella penisola arabica meridionale e gli ebrei berberi del Nord Africa. La comunità degli ebrei di Spagna derivava da arabi convertiti al giudaismo che giunsero con le forze che tolsero la Spagna ai cristiani, e da individui di origine europea che  si erano convertiti anch’essi al giudaismo.


                                 


I primi ebrei di Ashkenaz (Germania) non provenivano dalla Terra di Israele e non giunsero in Europa orientale dalla Germania, ma erano ebrei che si erano convertiti nel regno dei Kazari nel Caucaso. Sand spiega l’origine della cultura Yiddish: non si tratta di un’importazione ebraica dalla Germania, ma del risultato dell’incontro tra i discendenti dei Kazari e i tedeschi che si muovevano verso oriente, alcuni dei quali in veste di mercanti.

Scopriamo così che elementi di vari popoli e razze, dai capelli biondi o scuri, di pelle scura o gialla, divennero ebrei in gran numero. Secondo Sand, i sionisti per la necessità che hanno di inventarsi una etnicità comune e una continuità storica, hanno prodotto una lunga serie di invenzioni e finzioni, ricorrendo anche a tesi razziste. Alcune di queste furono elaborate espressamente dalle menti di coloro che promossero il movimento sionista, mentre altre furono presentate come i risultati di studi genetici svolti in Israele.

Il Prof. Sand insegna all’Università di Tel Aviv. Il suo libro, ‘When and How Was the Jewish People Invented’, (Quando e come fu inventato il popolo ebraico), pubblicato in ebraico dalla casa editrice Resling, vuole promuovere l’idea di un Israele come “stato di tutti i suoi cittadini” – ebrei, arabi ed altri – in contrasto con l’attuale dichiarata identità di stato “ ebraico e democratico”. Il racconto di avvenimenti personali, una prolungata discussione teoretica e abbondanti battute sarcastiche non rendono scorrevole il libro, ma i capitoli storici sono ben scritti e riportano numerosi fatti e idee perspicaci che molti israeliani resteranno sorpresi di leggere per la prima volta.


[1] Ester, 8,17