Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / André Gorz e Dorine, la coerenza dell’incoerenza

André Gorz e Dorine, la coerenza dell’incoerenza

di Claudio Ughetto - 03/04/2008

 

 

 

È stato attraverso Diorama Letterario e i libri di Alain De Benoist che sono venuto a conoscenza del pensiero di André Gorz, il filosofo francese suicidatosi con la moglie all’età di 84 anni lo scorso settembre. Il numero di Diorama in questione è di 10 anni fa (Lavoro e questione sociale)1, mentre libro è Comunità e Decrescita2, nel quale De Benoist cita Gorz a proposito dell’”ideologia del lavoro”, considerata da entrambi “un’invenzione della modernità (che) appare in effetti solo con il capitalismo manifatturiero”. Al momento ho pensato che qualcuno avrebbe potuto trovare curiosa l’assonanza di vedute tra quello che stupidamente in troppi continuano a considerare un intellettuale di destra e colui che, subito dopo il suicidio, è stato definito dal presidente Sarkozy “grande figura intellettuale della sinistra francese europea”3.  Di là delle facili classificazioni, degli schematismi che tanto piacciono ai poliziotti del pensiero e ai pigri di mente che preferiscono basarsi sui pettegolezzi, su voci e sentiti riguardanti presunte frequentazioni e amicizie anziché aprire i libri e leggerli, è chiaro che le persone intelligenti sanno bene che le idee non appartengono a nessuno. Le idee si evolvono in base all’analisi della realtà e talvolta riescono persino a modificare i comportamenti di persone e gruppi che possono essere indifferentemente di destra o di sinistra, o addirittura permettere di infischiarsene di tale barbara dicotomia.

André Gorz e Alain De Benoist, di là dei loro differenti percorsi esistenziali e della differenza anagrafica, sono arrivati alla medesima conclusione non solo riguardo all’”ideologia del lavoro”, ma anche sul ruolo del “cittadino consumatore” nella società contemporanea, sulla subordinazione della politica all’economia, sui pericoli derivati dall’inseguimento della crescita economica, sull’uomo asservito alla “megamacchina”. Non è un caso che proprio in Comunità e Decrescita Alain De Benoist dedichi ben due saggi all’automobile, perverso mezzo di locomozione individuale che Gorz fu tra i primi ad attaccare. 

Non è il caso di stare ad enumerare le analogie tra due pensatori sicuramente differenti per tanti altri aspetti. Mi preme invece rilevare come il pensiero e l’analisi della realtà, quando sono liberi e indipendenti, ci aiutano a spendere meglio il nostro tempo che non un sondaggio o l’ascolto delle proposte elettorali di Berlusconi e Veltroni (queste sì davvero insensate, sia che le consideriamo dentro o fuori l’annosa dicotomia). Per dirla con Filippo La Porta, i pensatori dello scorso secolo che davvero hanno saputo dirci qualcosa d’interessante sono quelli che ci hanno preservato dall’”inganno del futuro”4: non per “rafforzare l’ideologia dominante, il pensiero unico delle nostre società” che ci condanna a non avere futuro, ma perché rinunciare a tale inganno significa riconoscere che “il presente ha molte dimensioni (quasi sempre inesplorate) … contiene molti colori e narrazioni possibili”5.

Questi pensatori, di solito, hanno vissuto il loro percorso intellettuale in modo libero e non conformista, compiendo talvolta scelte scomode che li hanno messi “dalla parte del torto”, secondo una nota espressione di Piergiorgio Bellocchio. Non mi riferisco a scelte discutibili come quella collaborazionista di Céline, che non ne inficia il genio letterario ma sicuramente non agevola il suo magistero. Intellettuali come Orwell (letterariamente molto meno dotato di Céline), Hannah Arendt o Pasolini hanno avuto il semplice torto di pensare con la propria testa per tutta la vita, in base all’osservazione diretta della realtà e ad una capacità d’astrazione altrettanto vivida, soffrendo per le inevitabili emarginazioni cui andarono incontro, perdendo degli amici coi quali delle volte si sono riconciliati anni dopo6 (oppure mai), perseverando non tanto nella convinzione d’avere ragione, ma piuttosto che fa parte del percorso d’ognuno lottare con i propri fantasmi e affrontare i cambiamenti che la vita ci sottopone. C’è da chiedersi cosa rimane di loro adesso che sono stati “rivalutati”, presi a modello dai fautori delle più disparate ideologie, soprattutto di quelle alla moda – su tutte quella liberale -, come se anch’essi debbano infine trovare una collocazione e non più propriamente accendere delle intuizioni.

Tornando ad André Gorz, è da poco uscito in Italia il suo ultimo libro Lettera a D. Storia di un amore (Sellerio, pp. 68), che pur non riguardandone direttamente le idee, ben sintetizza com’egli è vissuto e il perché l’anno seguente deciderà con la moglie di lasciare la vita. Si tratta, infatti, di una lunga lettera d’amore. Ed è un amore appassionato, che però non ha niente a che vedere con l’infatuazione. L’uomo che scrive ha quasi 84 anni, la moglie sta per compierne 82, e già all’incipit lui la definisce “sempre bella, elegante e desiderabile”. Dorine è stata davvero splendida, al punto che uno degli amici di Sartre, negli anni 50 disse al giovane André: “… fa’ attenzione. Tua moglie è più bella che mai. Se decido di farle la corte, sarò ir-re-si-sti-bi-le”. È sufficiente guardarla nella foto che la ritrae con lui in quegli anni e che è comparsa sui giornali il giorno dopo il suicidio dei due: il profilo è perfetto, l’espressione vivace sembra compensare quella più melanconica del marito. “… sovrana, intraducibilmente witty, bella come in un sogno”, così è quando Gorz la incontra per la prima volta, e da allora è come se non fosse mai cambiata. Non si tratta soltanto della naturale attrazione che un uomo prova verso una bella donna, bensì di un sentimento su cui il filosofo s’interroga a lungo e che rimarrebbe irrisolvibile limitandosi agli strumenti della filosofia. “È impossibile spiegare filosoficamente perché si ama e si vuole essere amati da una tale persona precisa con l’esclusione di tutte le altre”, scrive Gorz, e dichiarando questo limite dichiara anche quanto è stata importante Dorine nella sua formazione umana e intellettuale: di come l’ha aiutato a coniugare le costruzioni teoriche e la tendenza all’eccessiva strutturazione con l’intuizione e gli affetti, senza i quali “non c’è né intelligenza né significato”.

“Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai”. Questa lettera non nasce da un’infatuazione, ma per confermare un amore duraturo. Di fronte alla riluttanza di André verso il matrimonio, lei risponde: “Se ti unisci con qualcuno per la vita, mettete insieme le vostre vite in comune e tralasciate di fare ciò che divide o contrasta la vostra unione. La costruzione della vostra coppia è il vostro progetto comune, non avrete mai finito di rafforzarla, di adattarla, di riorientarla in funzione delle situazioni mutevoli. Noi saremo ciò che faremo insieme”. Il privato sembra venire prima del pubblico, senza per questo escludere la coppia dalla vita sociale. Entrambi militano per Citoyens du monde, André non ha ancora alcun contatto con l’ambiente intellettuale, ma negli anni 50 diventerà redattore principale del servizio di rassegna stampa straniera di Paris-Presse, e con lo pseudonimo di Michel Bosquet inizierà la sua carriera giornalistica. Scrive anche dei libri, adottando un approccio esistenzialista inusuale che lo porterà alle sue formulazioni più originali.

La crisi intellettuale di quegli anni si rifletterà anche sulla coppia, ma Gorz trova il coraggio di parlarne a Dorine solo in questa lettera, lamentando di non averle dato il giusto in uno dei suoi libri più importanti, Il Traditore, di averla svilita senza volerlo e di aver fornito di sé un ritratto “feroce e carico di derisione”. Tra il vivere secondo i suoi principi astratti e scegliere Dorine, alla fine Gorz sceglie Dorine, e nonostante un susseguirsi di contraddizioni che lui non nasconde, il suo modo di pensare e di scrivere non ne subirà, evolvendo anzi nella comprensione dell’uomo e del presente.

“Gide nota da qualche parte nel suo Diario di sentire sempre il bisogno di sostenere nell’opera successiva il contrario di quello che ha appena scritto. Era anche il mio caso”, scrive André Gorz alla moglie. Può sembrare un insulto alla coerenza, eppure è spesso su queste basi che si basa un modo di pensare onesto che guarda alla realtà con la dovuta coerenza. Si pensa liberamente per non lasciarsi imprigionare dai detentori di false coerenze, senza mai servire partiti o chiese. Molti anni prima, nel 1936, André Gide aveva visitato l’URSS dov’era stato ricevuto con i massimi onori, e appena tornato non aveva esitato a scrivere che quello che aveva visto non gli era piaciuto7. Nel suo La complicazione8, Claude Lefort ha ben chiarito l’ostilità dei militanti comunisti francesi verso chiunque esprimesse dei dubbi verso l’ideologia. Che sapessero o no, o che non volessero sapere, per chi allora si riconosceva nella sinistra senza per questo adeguarsi alla menzogna pensare diventò una sorta di travaglio pubblico e personale. “Ho finalmente capito che non avrei potuto impegnarmi dalla parte dei comunisti che per delle cattive ragioni; che degli intellettuali non avrebbero potuto, ancora per molto tempo, dare l’impulso ad una trasformazione del PCF”. Pur accogliendo “con gioia il Maggio ’68 e ciò che n’é seguito”, coerentemente con le convinzioni libertarie di Gorz, la coppia si manterrà coerente all’intento di “cambiare la vita senza aspettarsi niente dal potere politico, tentando di vivere insieme in un altro modo, di mettere in pratica (degli) scopi alternativi”. Dopo il soggiorno negli Stati Uniti, detestati da entrambi, Gorz comprende che “le forme e gli obiettivi classici della lotta di classe non possono cambiare la società, che la lotta sindacale doveva spostarsi su nuovi terreni”. In anticipo sui tempi Gorz parlerà della società come di una “megamacchina”, scrivendo inoltre che “l’inseguimento della crescita economica (provocherà) delle catastrofi multiple”. In quegli anni conosce Ivan Illich, che diventerà un riferimento per un nuovo modo di concepire l’ecologia. Gorz stesso è spesso associato al pensiero ecologista, in una critica che già allora associava sia il sistema capitalista che quello comunista, in quanto entrambi detentori di un modello di crescita economica generata che ha nel produttivismo i suoi fondamenti. “Non mi aspettavo niente di veramente innovatore nella vittoria della sinistra nel 1981”, scrive. Coerente nell’incoerenza, nel 1983 critica il movimento pacifista che si oppone alle installazioni missilistiche americane in Germania Ovest. Per lui la libertà era al di sopra della vita.

Inutile chiedersi cosa pensasse Gorz di ciò che è successo dopo l’11 settembre 2001. Quando la moglie si ammala di una malattia degenerativa, in parte conseguente ad una cura sbagliata, egli si ritira con lei nella casa in campagna nella quale rimarranno per 23 anni. Fino alla decisione finale. Questa splendida lettera non è stata scritta pensando al suicidio: fu pubblicata un anno prima, e le commoventi parole con cui si conclude hanno acquisito senso dopo ritrovamento dei loro corpi. “La notte vedo talvolta la figura di un uomo che, su una strada vuota e in un paesaggio deserto, cammina dietro un carro funebre. Quest’uomo sono io. Sei tu che il carro funebre trasporta. Non voglio assistere alla tua cremazione; non voglio ricevere un vaso con le tue ceneri. (…) Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora. Ciascuno di noi vorrebbe non dover sopravvivere alla morte dell’altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme”.

Questo mi sembra uno splendido inno alla vita, uno dei più belli che mai siano stati scritti.

 

                                                                                        Claudio Ughetto 

 

 

NOTE:

 

1.       Diorama Letterario, n. 217, settembre 1998.

2.       Alain De Benoist, Comunità e Decrescita, Arianna Editrice, Bologna 2006.

3.       LA STAMPA, 25/9/2007.

4.       Filippo La Porta, Maestri Irregolari, Bollati Boringhieri, Torino 2007

5.       Filippo La Porta, cit.

6.       Hans Jonas disse della sua amica Annah Harendt: “… ci legava un’autentica amicizia, la quale una volta fu gravemente scossa quando uscì il suo libro su Eichmann, per il quale me la presi molto con lei, tanto che interrompemmo il rapporto per un certo periodo, ma poi lo riprendemmo. È stata la donna più importante che abbia mai conosciuto. Sull’orlo dell’abisso, Einaudi, Torino 2000.

7.       Per una cronaca del viaggio in URSS di Gide rimando a Libertad, di Dan Franck (Garzanti 2005).

8.       Claude Lefort, La complicazione. Al fondo della questione comunista. Eléuthera, Milano 2000. Mi permetto, a proposito, di rinviare alla mia recensione su Diorama Letterario n. 246, luglio/agosto 2001.