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Il Pakistan sotto le bombe Usa

di Enrico Piovesana - 18/01/2006

Fonte: peacereporter.net


Quello di venerdì è solo l’ultimo dei sempre più pesanti raid aerei Usa sui villaggi pachistani 
   
    
Diciotto, forse trenta morti venerdì. Otto una settimana prima. Due i primi di  dicembre. Le vittime dei raid aerei americani sui villaggi delle Aree Tribali pachistane aumentano a ogni bombardamento. E con essi aumenta la rabbia della popolazione, soprattutto dei musulmani, che accusano il presidente pachistano Musharraf di consentire queste azioni ‘pirata’ da parte delle forze Usa stanziate oltre il confine afgano. Azioni volte a eliminare presunti esponenti di al Qaeda che, secondo la Cia, si nasconderebbero nei villaggi pashtun di frontiera. Ma che finora hanno ucciso solo contadini, donne e bambini, dando voce al fondamentalismo islamico che minaccia la stabilità del regime militare, nucleare, pachistano. 
 
I racconti della gente di Damadola. “Da tre, quattro giorni sentivamo aerei che sorvolavano il nostro villaggio. Poi venerdì, alle 3 di notte, siamo stati svegliati dai missili, almeno sei, che sono caduto per almeno mezz’ora. Uno è caduto sulla mia casa, distruggendola e uccidendo mio fratello Bukhtpur e molte donne della nostra famiglia”.  A parlare è Sher Afzal, contadino, sui 50 anni, miracolosamente scampato alla morte nel bombardamento missilistico americano che ha ucciso almeno 18, forse 30 persone nel villaggio pachistano di Damadola, a pochi chilometri dal confine afgano. Un attacco sferrato con missili lanciati dagli velivoli telecomandati Usa ‘Predator’ e organizzato dalla Cia allo scopo di eliminare l’ideologo di al Qaeda e braccio destro di bin Laden, il medico egiziano al Zawahiri. Che però, secondo i sempre ben informati servizi segreti pachistani (Isi), non si trovava a Damadola.
 
“Qui non c’era nessun uomo di al Qaeda”. Quella notte, dopo il bombardamento, la gente di Damadola è rimasta chiusa in casa per la paura di nuovi attacchi fino alle prime luci dell’alba, quando decine di persone si sono precipitate tra le macerie alla ricerca di sopravvissuti e cadaveri. Shah Zaman, padre di famiglia, sotto i resti della propria abitazione ha trovato i corpi senza vita di tre dei suoi cinque bambini.
Anche Afzal ha perso dei familiari: se ne sta in disparte tra le macerie della sua pensione distrutta dai missili, disperato, mentre la gente del villaggio viene a porgergli le condoglianze. Secondo gli informatori della Cia, proprio nella guesthouse di Afzal si trovavano quella notte al Zawahiri assieme ad altri membri di al Qaeda. “Non è vero – dice Afzal ai giornalisti che arrivano al villaggio – ieri notte non c’era nessun ospite nella pensione, era vuota. Nel villaggio non c’erano stranieri, non c’era nessun uomo di al Qaeda”.
 
La rabbia dei musulmani esplode dopo il terzo raid Usa. Sabato, il giorno dopo il raid, la popolazione del Bajaur è scesa in piazza inferocita. Domenica la protesta, guidata dai partiti fondamentalisti islamici pachistani, è dilagata in tutte le città del Pakistan, da Karachi a Islamabad, da Lahore a Peshawar. Tutti a protestare contro gli americani e contro il presidente pachistano Musharraf, accusato di permettere loro simili azioni. Ovunque le stesse scene: bandiere Usa date alle fiamme, violenti slogan antiamericani e antigovernativi. E un unico ricorrente grido: “Allah uakhbar!”, Allah è grande.
La rabbia popolare è esplosa solo ora, ma montava da settimane a causa dei ripetuti bombardamenti americani effettuati sul territorio pachistano. Il 7 gennaio in Nord Waziristan (poco a sud del Bajaur) il villaggio di Saidgai è stato bombardato da elicotteri da guerra americani. Sotto le macerie di una casa sono morti una donna, due bambini e cinque uomini. Il 1° dicembre scorso missili lanciati da un ‘Predator’ Usa su un altro villaggio della zona, Haisori, hanno ucciso due bambini. L’obiettivo in quel caso era Abu Hamza Rabia, alto comandante egiziano di al Qaeda, il cui corpo però non è stato ritrovato. Dal governo Usa sempre la stessa reazione: no comment.