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Oriente e Occidente: un incontro possibile?

di Mauro Bergonzi - 18/01/2006

Fonte: www.storiadellereligioni.it

 

Bergonzi: Buongiorno, mi chiamo Mauro Bergonzi e insegno Religioni e Filosofia dell'India all'Istituto Universitario di Napoli. Oggi ci occupiamo di un tema attuale, che è l'interesse crescente del mondo occidentale contemporaneo per la spiritualità orientale. A questo proposito abbiamo preparato una breve scheda, che ci introduce all'argomento e poi passeremo al dibattito.

 

-Si visiona la scheda:

COMMENTATRICE: Dal positivismo scientifico al materialismo marxista, dalla secolarizzazione e demitizzazione delle chiese al consumismo capitalistico, tutti i principali sistemi di valori predominanti nell'Occidente contemporaneo, hanno rinforzato una svalutazione dell'esperienza interiore e una massiccia repressione della sensibilità religiosa, al punto che Ronald Laing scriveva negli anni Sessanta: "La nostra civiltà non reprime soltanto gli istinti e la sessualità, ma anche ogni forma di trascendenza. Il nostro stato normale e ben adattato non è molto spesso che una rinuncia all'estasi, un tradimento delle nostre più vere potenzialità. Molti di noi riescono fin troppo bene a costruirsi un falso io per adattarsi a una falsa realtà. Negli ultimi anni però ciò che era stato rimosso da questa cruda eclissi del sacro ha cominciato a riemergere sotto forma di una nuova sensibilità religiosa, connotata da esiti spesso ambivalenti. Da un lato la moda dell'occulto, le sette suicide, il fascino dell'esotico e dell'esoterico, la sottomissione a sedicenti guru, le superstizioni millenaristiche. Dall'altro la ricerca di un'autentica esperienza spirituale, vissuta in prima persona, senza intermediari attraverso un lavoro interiore che coniughi insieme contemplazione e azione. In tale prospettiva l'incontro con la spiritualità orientale rappresenta per alcuni occidentali una preziosa occasione per riscoprire attraverso un terreno religioso vergine, dominato da pregiudizi e da antiche ferite, la dimensione del sacro, celata nell'intimo di ciascuno. Così il viaggio in Oriente diviene un ritorno alle fonti del proprio spirito, come scrisse Tagore in una bella poesia: "Sono le vie più remote che portano più vicino a te stesso. Il viandante deve bussare a molte porte straniere per arrivare alla sua e bisogna viaggiare per tutti i mondi esteriori per giungere infine al sacrario più segreto, all'interno del cuore.

-Fine della scheda, inizia la discussione.

STUDENTESSA: Questa differenza tra Oriente e Occidente, che quindi non è tanto a livello geografico, quanto piuttosto culturale, filosofico-religioso, da dove nasce realmente. Perché la nostra civiltà reprime gli istinti? Da cosa nasce l'oblio dell'essere? Di conseguenza quindi per quale motivo l'uomo occidentale, soprattutto in questi giorni, adesso sente questo bisogno di tornare alle origini, quindi attraverso proprio la filosofia o la religione, che dir si voglia, orientale?

Bergonzi: Negare che ci siano delle differenze tra Oriente e Occidente è chiaro che sarebbe assurdo. Nello stesso tempo, quando uno si accosta, comincia ad approfondire questi argomenti, ci si rende conto che in realtà poi non esiste un Occidente compatto e un Oriente compatto, ma ci sono tanti Occidenti e tanti Orienti. E sia in Occidente che in Oriente l'uomo si trova costantemente a confrontarsi con i grandi temi, il grande mistero del che significa vivere e di che significa morire. Allora a questo le religioni, le filosofie hanno dato un contributo, sia in Oriente che in Occidente. Poi, diciamo che poi c'è una tendenza, in Occidente, a rivolgersi a un cambiamento del mondo esterno, attraverso la tecnologia, così, laddove invece in Oriente c'è una prevalenza, diciamo, di tecnologia rivolta alla mente, alla parte interna. Ma non bisogna nemmeno esagerare con queste differenze, perché in Occidente c'è una grandissima tradizione spirituale, che è quella della mistica cristiana, per esempio, c'è una tradizione psicologica, di psicologia, che ha assoldato la mente. E in Oriente anche c'è stata una ricerca di tecnologie esterne. Basti pensare alle scoperte nel passato che ha fatto la Cina, però c'è questa, questa tendenza. Allora l'Occidente forse è arrivato a un punto critico in cui ha cominciato a capire che il controllo tecnologico sul mondo esterno ha dei limiti e questi limiti richiamano a cercare dentro di sé. Cioè, per esempio la fiducia nella scienza, non impedisce che ci siano dei disastri ecologici. Allora la scienza ha cominciato a fare una riflessione critica e a vedere che la tecnologia va accoppiata con una esplorazione dell'uso che ne facciamo. E quindi si ritorna dentro, a esplorare dentro. Allora, in questo momento in cui l'Occidente si sente forse di aver troppo, troppo trascurato il lato interno, come diceva la scheda - dall'Illuminismo ad oggi si è levata, si sono tolte una serie di superstizioni che andavano tolte -, però nello stesso tempo forse si è buttato via il bambino con l'acqua sporca, cioè anche questa esplorazione dei mondi interni. Allora, in questo punto l'Occidente capisce forse, comincia a sentire l'esigenza di guardare dentro. E allora da un lato avviene nell'ambito della spiritualità occidentale, cioè ci sono una serie di fermenti, nella chiesa per esempio, e dall'altro avviene per alcuni rivolgendosi invece all'Oriente, che è un terreno meno, meno inquinato forse da una serie di ferite o di condizionamenti, che alcuni di noi sentono di aver ricevuto dall'educazione spirituale occidentale.

STUDENTE: Allora, salve. Io volevo chiedere fino a che punto l'economia c'entra nella differenza tra la concezione religiosa occidentale e quella orientale, ossia, fino a che punto potrebbe essere fatta un'analisi materialistica, diciamo così, delle origini, della differenza sostanziale che noi possiamo vedere tra la religione orientale, che tende più all'astratto, allo spirituale, e la concezione invece occidentale, che noi vediamo tendere più al concreto e al materiale?

Beh sicuramente ci sono una serie di realtà storiche, oltre che economiche, eccetera, che influiscono. Cioè, quando noi leggiamo che una civiltà, una religione, degli eventi storici, è chiaro che bisogna tener conto di tanti livelli insieme. Direi che forse, certamente qui dipende dalla scelta ideologica che uno fa, cioè dalla chiave interpretativa. Io penso che ogni chiave interpretativa abbia un contributo da dare. Cioè io posso studiare, per esempio, in che modo certe concezioni religiose sono state condizionate dall'economia. Per esempio ci sono delle religioni arcaiche che si basano su popoli allevatori o nomadi, e avranno una prevalenza di divinità celesti, perché il cielo uno che si sposta ce l'ha sempre sopra la testa. E altre, altre civiltà invece di tipo agricolo, sedentarie, avranno una religione, per esempio, che si sviluppa molto sulla venerazione di dee madri, dee della terra, i cicli della vegetazione. Quindi, da questo punto di vista c'è un influsso della realtà economica sulla forma che assume una religione, ma nello stesso tempo bisogna dire che le idee religiose determinano e condizionano lo sviluppo storico. Per esempio c'è un vecchio studio, ma ancora interessante, di Max Weber, in cui mostra come l'etica protestante dette un enorme impulso alla nascita del capitalismo, della mentalità capitalistica. Quindi non soltanto le realtà economiche influenzano una religione, la forma di una religione, ma anche le idee religiose condizionano gli sviluppi storici e le scelte anche economiche. E bisogna anche chiedersi se certe realtà condizionano la forma di una religione, ma se la tendenza alla religiosità e alla spiritualità non sia qualcosa di profondamente radicato in noi e di non riconducibile poi a altre realtà. Secondo alcuni autori, per esempio Jung, per esempio William James, che sono stati i pionieri della psicologia della religione, noi avremmo un istinto spirituale, cioè avremmo una naturale tendenza a un'esperienza interiore spirituale. La forma può variare, può essere condizionata, ma questa tendenza, secondo alcuni autori come questi, è innata, e la repressione di questa spinta, di questo istinto crea le stesse, gli stessi sintomi, di tipo anche nevrotico, che possono procurare, può procurare la repressione di altri istinti, che fanno parte dei nostri bisogni naturali, ecco.

STUDENTE: Dunque, io avevo pensato anche a un altro nucleo di diversità sostanziali che si può evidenziare tra le due concezioni religiose, occidentale e orientale, ossia il fatto che, per la concezione occidentale, o per lo meno per il cristianesimo, che, comunque, non è soltanto occidentale, c'è la ricerca di qualcosa di trascendentale, ossia, alla fin fine, si adora una verità, esiste una verità assoluta in cui si crede. Invece io vedo nel buddhismo, che supera, sotto certi aspetti, questo limite di porre una verità assoluta, nel buddhismo appunto la ricerca della via di mezzo, la ricerca quindi non di qualcosa che trascende, di una verità non assoluta, ma soltanto, per esempio di capire la relatività di tutte le cose che ci si presentano nella vita. Questa quindi è la diversità essenziale, diciamo.

Sì. Diciamo che non solo nel buddhismo, ma anche in altre forme di spiritualità orientale - per esempio mi viene in mente il vedànta o anche il taoismo -, c'è un po' questo, questo modo di relativizzare le forme specifiche religiose, in vista di una verità, diciamo così, che non può essere imprigionata in una qualche formulazione dogmatica, ecco. Il buddhismo è stato forse uno degli aspetti che ha portato più avanti, anche in Oriente, questa concezione, per cui c'è un riconoscimento, in qualche modo, che l'esperienza interiore, che l'esperienza spirituale va fatta al di là dei nostri concetti, dei nostri preconcetti, di quello che noi pensiamo, e al di là anche di dogmi. Per cui seguire una via spirituale significa percorrere un cammino e non avere un credo, una credenza, espressa in una serie di dogmi e dire: "Io aderisco a questa religione perché credo a questi dogmi". Nel caso, per esempio, del buddhismo invece si dice: "Seguite questa via perché vi può portare ad essere liberi dalla sofferenza, dal condizionamento". In questo senso voi potete anche lasciare andare tutto questo insegnamento, quando vi ha portati dove volevate andare. L'esempio della zattera. "La zattera - dice Buddha -, il mio insegnamento è come una zattera, serve per attraversare il fiume della sofferenza, ma, quando si è arrivati all'altra sponda, è stolto portarsi sulle spalle la zattera soltanto perché c'è stata utile. Quindi anche il mio insegnamento va preso come un metodo per liberarsi, quindi non come una formulazione cui aderire". Ecco, allora in questo senso, questa, questa linea è molto seguita un po' da tutte le tradizioni, nel senso di dire: "Sì, anche se io vedo qualcosa che non nasce e non muore, che è al di là del relativo, però è qualcosa che non posso imbrigliare in un concetto, in un'immagine, in una formulazione dottrinaria". Ecco in questo si arriva molto lontano nella spiritualità orientale.

STUDENTE: Scusi, secondo Lei, questo avvicinarsi da parte dell'Occidente alle filosofie orientali è dovuto a un limite della religione cristiana, comunque del pensiero occidentale?

Io penso che sia una necessaria, un necessario sviluppo storico, dovuto a quella parola, che oggi va molto di moda, che è la globalizzazione. Cioè nella evoluzione storica dunque la chiesa cristiana e cattolica, nel caso dell'Italia quella cattolica, diciamo più in generale le chiese cristiane hanno sviluppato al loro interno delle vie spirituali - penso soprattutto alla contemplazione cristiana - che sono state per secoli una delle maggiori fonti di ricchezza spirituale dell'Occidente, e lo sono tuttora. Nel caso dello sviluppo storico della chiesa cristiana, mi sembra importante che si è creata una forte istituzionalizzazione della chiesa e una gerarchia, per cui la contemplazione a volte è stata vista con sospetto - diciamo le affermazioni dei mistici devono essere sempre vagliate secondo un certo dogma - e poi è successo che sono state, la via dei mistici è stata riservata per molto tempo a poche persone, a degli specialisti, che sceglievano di ritirarsi dal mondo, di andare in un eremo o in un monastero e di praticare questa via, mentre ai laici, a coloro che seguivano questa religione, l'unico modo per accedere al sacro era attraverso intermediari della chiesa e attraverso il rito, cioè la messa, eccetera. Allora quello che è successo ultimi decenni, direi, è successo che attraverso una conflittualità con il mondo laico la chiesa ha attraversato un processo di secolarizzazione, cioè ha cercato sempre più di demitizzare i suoi miti, ha cercato di ridurre e razionalizzare i suoi riti. Allora ai laici non è rimasto molto, non sono rimasti molti strumenti per avere un'esperienza religiosa fatta in prima persona, nella propria viva esperienza. Naturalmente questa crisi è stata affrontata dalla chiesa e attualmente noi assistiamo infatti a un revival di movimenti, anche laici, all'interno della chiesa in cui si rimette al primo posto l'importanza della contemplazione, oltre quella dell'azione, altrimenti prima c'era stato uno sbilanciamento, anche da parte della chiesa, a favore di un'azione esterna, di un'azione fatta di aiuto, di assistenza del mondo, ma non accompagnata da questa profondità, dovuta alla contemplazione. Mi sembra di ricordare, ad esempio, Madre Teresa di Calcutta, che in qualche lettera diceva che lei faceva un certo numero di ore al giorno di preghiera, di contemplazione, e che senza quel ritiro nel profondo non avrebbe avuto l'energia di dedicare tutto il resto del suo tempo ad aiutare le persone, perché sono due cose che vanno insieme. Quindi diciamo che nella chiesa sta avvenendo questo all'interno, però alcuni, alcuni occidentali, nello stesso tempo, si sentono più attratti da altre forme di religiosità, come quelle orientali, che in qualche modo, di nuovo, cercano di mettere insieme la contemplazione con l'azione, attraverso degli strumenti molto concreti, dando la precedenza all'esperienza che uno fa e a un rapporto con una guida spirituale. E questo quindi viene trovato molto interessante da alcuni. Certamente ci sono anche degli incontri, delle sintesi. Cioè sono degli incontri fra monaci orientali e monaci occidentali, scambi di esperienze, il famoso dialogo interreligioso, come uno strumento di crescita reciproca fra le due religioni. Ci sono anche, per esempio, dei casi di cattolici che insegnano, insegnano i vangeli, eccetera, usando però, per esempio, delle meditazioni di tipo orientale o mettendo insieme tutto questo. E questo è tutto un campo, va bene, molto interessante da esplorare, perché in Occidente c'è questo, proprio: uno dei vantaggi, diciamo, che ha l'occidentale, una delle doti è quella di cercare l'altro, contattare l'altro e nello stesso tempo adattare continuamente questi incontri verso l'altro. Ne parla anche un po' il Dalai Lama, in una domanda, in un'intervista, in cui appunto gli viene chiesto di parlare un po' di questo incontro tra buddhismo e Occidente contemporaneo e quali sono un po' le caratteristiche dell'occidentale. E appunto il Dalai Lama cita un po' questo elemento. Se vogliamo mandarla in onda.

-Si visiona un'altra scheda:

DALAI LAMA: Una cosa che mi ha colpito molto è che in genere in Occidente, in generale, c'è questa natura creativa, questa tendenza a prendere le iniziative individuali. Questo è molto bene, ma naturalmente c'è anche il pericolo che se uno usa questa energia, questa natura creativa, se si usa nel modo sbagliato, allora c'è un rischio, Ma in generale, come essere umano, con l'intelligenza umana, la determinazione umana, io penso che l'iniziativa individuale è essenziale, è il modo per avere il progresso. Mentre in Asia io credo che, in generale, particolarmente in India, dove ci sono tante antiche filosofie, diverse pratiche di yoga, queste io credo che trattano molto con la mente, lo sviluppo mentale, la calma mentale. Per cui penso che è qualcosa di piuttosto importante, per cui io sempre credo che la scienza e la tecnologia occidentale, lo sviluppo materiale, lo sviluppo mentale orientale, se queste due cose vanno insieme armonicamente, l'una accanto all'altra, io penso che il futuro dell'umanità sarà più positivo e lo sviluppo materiale allo stesso tempo lo sviluppo spirituale, in modo che lo sviluppo materiale può rimanere più bilanciato. Questo io penso, sarebbe una risposta migliore per l'umanità, specialmente per le generazioni future.

-Fine della scheda, riprende la conversazione.

STUDENTESSA: La filosofia precedente, in particolare mi riferisco alla filosofia del XIX secolo, fine del XIX secolo, ha identificato il buddhismo con il nichilismo. Io volevo proprio sapere, volevo delle chiarificazioni su questo rapporto tra buddhismo e nichilismo.

Bergonzi: Grazie, cercherò di essere sintetico, perché è un tema molto complesso. E certamente questo è stato un grande fraintendimento e si trova, fin dai più antichi discorsi del Buddha, dove il Buddha dice che lui insegna la via di mezzo fra eternalismo e nichilismo, cioè fra coloro che affermano l'esistenza, per esempio, di un dio, dell'anima, dell'assoluto e coloro che negano qualsiasi cosa. E dice che questi due estremi sono ambedue fuorvianti nella ricerca spirituale. Allora a questo punto c'è da chiedersi: ma allora questa via che insegna il Buddha, che cos'è, perché fra è e non è non ci sembra che ci sia un terzo, un terzo elemento. E allora vediamo di capire che cosa significa questa via di mezzo, perché non è solo una questione buddhista, è una questione che si pone chiunque cerca di percorrere una via. Immaginate di sognare di trovarvi in un sentiero e questo sentiero è stretto, e c'è una giungla, talmente fitta ai lati, che non potete andare né a destra né a sinistra. Potete andare o avanti o dietro. A un certo punto intravedete in fondo una tigre affamata che viene avanti. Allora a questo punto vi voltate e scappate dall'altra parte. Arrivate a uno stagno, cominciate ad entrare in acqua e quello che vi sembrava un tronco si rivela essere un alligatore con la bocca aperta. Quindi, se andate avanti, trovate l'alligatore, se tornate indietro trovate la tigre. Qual'è la via d'uscita? Chi di voi ha la risposta?

(i ragazzi propongono varie alternative: volare, rimanere al centro...)

Allora, do io la risposta. La soluzione è svegliarsi, perché ho detto all'inizio che questo era un sogno e avete visto come la storia coinvolge talmente tanto che uno si dimentica che si tratta di un sogno e sembra che non ci sia alternativa. Ma che cos'hanno in comune la tigre e il coccodrillo, che sembrano due alternative opposte? Il fatto che fanno parte di una stessa realtà, che è quella del sogno, e l'unica via di uscita è uscire da questa logica del sogno e svegliarsi. Ma noi siamo talmente coinvolti che ce lo scordiamo. E' un po' questa la nostra situazione. Allora che cos'ha in comune il nichilismo da un lato, l'eternalismo dall'altro? Sono opposti, ma hanno in comune il fatto che sono delle convinzioni filosofiche, dei concetti. E quindi la via di mezzo è trascendere questo e andare al di là delle convinzioni. "Avere una convinzione - dice il Buddha - di qualsiasi tipo; eternalista, nichilista, eccetera, al di là del fatto che la cosa possa essere vera o no, avere una convinzione significa attaccarsi a una cosa e cominciare a contrapporsi agli altri, significa cominciare a dire: "Io ho la verità e gli altri sono nell'errore, e quindi li devo o convertire o eliminare, eccetera". Allora il Buddha dice: "La verità è una cosa viva che non può essere fermata in una convinzione". E il non attaccamento di cui parla il Buddha è proprio il lasciare andare tutte le convinzioni e trovarsi quindi di fronte alla vita, alla realtà, al mistero della morte, con una mente che non presume di avere già, di sapere già la risposta. Questo è l'inizio del cammino, e anche la fine, perché, nel momento in cui noi siamo di fronte alla verità senza una qualsiasi opinione, a quel punto forse si manifesta un'altra capacità di conoscere, che chiamano, per esempio, i buddhisti, sapienza, saggezza, che altrimenti non può venire, perché la nostra mente è troppo occupata, affastellata di convinzioni, di concetti. Allora il nichilismo di cui parla il Buddha non è nichilismo. Il Buddha, quando esprime, per esempio, la "dimensione liberata", cioè il risveglio - ma questo risveglio significa essere andati anche al di là della morte, della vita e della morte, aver raggiunto quello che viene chiamato il "senza morte", quindi è qualcosa... - il Buddha preferisce usare termini negativi, tipo "nirvana", che vuol dire l'estinguersi di tutte le negatività che noi abbiamo, oppure la "non morte", oppure il "senza morte" oppure "l'incondizionato". Ma questo non significa che quella cosa non esista. Significa che viene espressa con un termine negativo. Facciamo un esempio: salute, essere in uno stato sano nella lingua pali si dice "senza malattia", ma dire "senza malattia" non significa che non esiste questo stato, anzi la salute è uno stato molto importante. Anzi si preferisce usare negazioni per indicare la liberazione semplicemente perché non si vuole ingabbiarla di nuovo in un concetto, se no si ricade in quello che dicevo prima. Allora si preferisce dire quello che non è, ma questo non significa che questo dire ciò che non è non corrisponda a qualcosa. E infatti c'è un passo, per esempio, in cui Buddha lo dice bene, che esiste una dimensione, un non nato, una dimensione dove non esiste né la morte, né l'andare né il venire. "Se non esistesse - dice il Buddha - non ci sarebbe nessuna possibilità di liberarsi, ma siccome esiste, allora proprio per questo è possibile la liberazione.

STUDENTESSA: Che cos'è esattamente ciò che non nasce e ciò che non muore e che per la filosofia orientale va cercato nel buio?

No, non è possibile dire che cos'è, perché appunto dire: "è qualcosa" significa già limitarlo. A seconda dei vari sistemi vengono dati vari nomi: la liberazione, il risveglio, il nirvana, l'incondizionato. Ecco l'incondizionato è forse una parola che aiuta molto: "ciò che non è condizionato" da nulla, perché tutto ciò che nasce, causato da qualcosa, necessariamente muore, tutto ciò che può essere fatto può essere disfatto. Quindi se esiste questa dimensione, al di là della vita e della morte, diciamo, deve per forza essere libera da ogni condizionamento e quindi anche da quello spazio temporale. E quindi non si può dire che non è qui e che sarà in un altro luogo, in un altro tempo, ma è sempre qui, è sempre ora, come il sole, che può essere oscurato dalle nubi, ma non è che se ne va, rimane sempre accessibile. Allora in questo senso la via della meditazione è intesa come - un modo che più che apprendere, accumulare conoscenza, - lasciare andare tutto ciò che crediamo di sapere, e cominciare con una mente aperta e fresca a vedere quello che c'è, perché, se esiste questa dimensione, è sempre davanti ai nostri occhi, anche se non la vediamo.

STUDENTESSA: Quest'avvicinamento alle religioni orientali è legato al fatto che, ad esempio, il buddhismo ha la capacità di controllare gli istinti, le emozioni, senza reprimerli, e, ad esempio, la sofferenza ti permette di viverci insieme, di conviverci, di controllarla senza esserne sopraffatti.

Questo è un aspetto molto importante, nel senso che - e di nuovo il buddhismo lo dice in maniera molto chiara, però si trovano anche altri approcci orientali, che parlano di questo - il lavoro meditativo viene fatto con uno strumento che è la consapevolezza, cioè si aumenta la capacità di essere presenti, qui e ora, alla vita, anziché, come spesso ci accade, perderci nei ricordi del passato, nelle anticipazioni del futuro, senza più accorgerci di dove stiamo e di che cosa stiamo facendo e di chi siamo. Allora la pratica meditativa è proprio la capacità di calmare, calmare la mente - primo punto - al punto che in certi momenti la mente diventa stabile come la fiamma di una candela in una stanza senza vento. Abbiamo messo una candela, appunto, qui, fra gli oggetti, proprio per indicare questa caratteristica meditativa, cioè la calma, quel riposo sveglio che ci permette di guardare. Questo è un aspetto. Ma l'aspetto più importante è guardare attraverso la calma. Cioè, se ho un'acqua agitata che solleva la sabbia, non posso vedere il fondo. Per vedere il fondo devo aspettare che l'acqua si calmi e si depositi la sabbia. Ma poi devo guardare. Ecco, questo guardare, che è la consapevolezza, è considerato qualcosa di importantissimo perché ha la capacità di trasformare l'energia anche delle emozioni negative. Appunto come diceva lei, per esempio, prendiamo un moto di collera. Allora io posso fare in genere due cose: se io ho un moto di collera, posso reprimere, rimuovere la collera, cioè far finta che non ci sia, rimetterla nell'inconscio - e questo - la psicoanalisi ci insegna - è come mettersi dentro una bomba e farla scoppiare sotto terra, quindi con tutti i disastri psicologici che è un'emozione repressa -; l'altra via che ho spesso e penso che sia l'unica alternativa è quella di esprimere questa collera prendendomela con il bersaglio più vicino e quindi scaricare la collera. Invece quello di cui non ci rendiamo conto che, quando scarichiamo la collera, è un altro modo di non vederla, perché quando l'abbiamo scaricata se n'è andata e così noi non siamo nella situazione spiacevole di doverla guardare. E quindi scaricare la collera e basta è un altro modo di non vedere, di non sentire questa cosa che è nostra, che ci appartiene. La via meditativa è una terza via: non reprimere e non scaricare, ma lasciare cosciente la collera e sentirla in tutti i modi: sentire di che sa la collera fisicamente, in che punto la sento, sentire che pensieri evoca, sentirla, lasciarla essere. Ecco, allora, questo lasciar essere le cose permette di creare uno spazio di libertà, per poi esprimermi nella realtà in una maniera non compulsiva, cioè non meccanica, non come una marionetta, che basta premere certi bottoni e agisco in un certo modo, ma in una maniera libera, sentire pienamente chi sono, come sono, ed essere libero di esprimermi, in maniera da tener conto di tutta la situazione. Questo è anche collegato col non attaccamento di cui si parla molto spesso. Ecco lì, infatti, di nuovo, fra gli oggetti, fra gli oggetti che noi abbiamo, c'è uno specchio e una lastra fotografica, proprio per indicare i due tipi di mente, di cui parlano queste spiritualità orientali. Cioè, se la mente è una mente che si attacca, è una mente dove le esperienze lasciano sempre un residuo, che si accumula. Allora c'è una situazione, io non l'affronto con sicurezza, e mi rimane un residuo di risentimento, un residuo di paura, un residuo di attaccamento. Tutti questi residui si accumulano, fino a che non oscurano la nostra capacità di vedere la realtà. E' come la lastra fotografica. La lastra fotografica può essere esposta ad una sola immagine, perché la trattiene. Se io comincio a esporre due, tre, quattro, cinque immagini, la lastra diventa nera, perché tutte queste immagini la oscurano. Allora una mente su cui la realtà lascia sempre dei residui non risolti, problemi che non risolviamo perché non vogliamo affrontare, eccetera, è una mente di questo genere, e, mano a mano, non vedrà la realtà, non sarà capace di rifletterla. Invece una mente consapevole è una mente come uno specchio. Lo specchio è capace di riflettere tutto, perché, quando l'oggetto gli è passato davanti se ne va, non lascia segno, non lascia traccia. E proprio per questo lo specchio è pronto ad accogliere l'immagine successiva. Ecco perché spesso in Oriente si sente parlare paradossalmente di una mente vuota, perché una mente vuota è capace di accogliere tutto, una mente piena non ha posto per nient'altro.

STUDENTE: Buongiorno. Lei pensa che l'applicazione del buddhismo nella società occidentale porterà a delle spaccature all'interno della nostra società oppure pensa che potrà nascere un nuovo buddhismo, una nuova grande corrente, appunto?

Nessuno può essere profeta, però penso che sia abbastanza improbabile che si creino grosse spaccature, perché il buddhismo ha sempre avuto un'enorme capacità di adattamento. Consideriamo che il buddhismo è l'unica religione indiana che sia stata capace di lasciare l'India, dove è quasi scomparso del tutto, e di diffondersi per tutto il resto dell'Asia, proprio per il suo ..., - prima parlavamo di dogmatismo - proprio perché non ritiene di avere una forma, una convinzione religiosa formulata già. Se uno aderisce è buddhista, se uno non aderisce non è buddhista. Ritiene che tutte le forme religiose possono essere usate come modi per arrivare a una mente vuota, di cui si parlava prima. E allora qualsiasi forma va bene. Così, quando il buddhismo è andato in Tibet, in Cina o altrove, ha preso le forme locali, filosofiche o religiose, e ha saputo indirizzarle mantenendo intatto quel suo nucleo, quell'intuizione, diciamo, che è la liberazione. Però ecco, per esempio, quando il buddhismo è entrato in Cina, che era una civiltà molto ricca, molto matura, ci ha messo secoli prima di esprimere una forma di buddhismo autenticamente cinese. Il buddhismo si è affacciato in Occidente da poco e sta cercando delle forme di riformulazione, come buddhismo occidentale. Ci vorrà del tempo. Già si intravedono alcuni aspetti, per esempio una sacralizzazione dell'esperienza ordinaria, cioè l'importanza di una pratica contemplativa nell'azione quotidiana, la nascita di centri di meditazione, per esempio, urbani, che si rivolgono a chi vive in città, ha una famiglia, ha un lavoro, non intende farsi monaco, ma vuole lo stesso percorrere la via della liberazione. Allora la ricerca di nuove, di nuove aree, dove esercitare la consapevolezza, l'importanza del rapporto, come palestra di spiritualità: vivere insieme con le persone con cui viviamo, come occasione di approfondire le nostre virtù, la nostra consapevolezza, e anche l'ecologia, perché nel buddhismo abbiamo un principio fondamentale, che è la interdipendenza di tutte le cose. Tutte le cose sono interdipendenti. Non posso muovere uno spillo qui senza creare un riflesso in tutto l'universo. Allora l'ecologia, noi sappiamo, in Occidente nasce come riflessione critica di una scienza che si è resa conto dei danni che ha una visione in cui l'uomo si pone fuori della natura e cerca di dominare la natura, quando noi siamo parte. Allora scientificamente la scienza occidentale ha capito il principio ecologico della interdipendenza. Ma quello che può offrire il buddhismo è calare nel vissuto personale questa consapevolezza, cioè vivere quotidianamente questa interdipendenza, vedere bene che noi siamo anche gli altri e che gli altri sono anche noi, e quindi trasformare questo che può essere un riconoscimento solo intellettuale dell'interdipendenza di tutte le cose, in un vissuto, per esempio di amore, verso tutti gli esseri, in quanto non siamo separati dagli esseri, dagli altri.

STUDENTESSA: Bene, abbiamo visto come l'uomo occidentale, la civiltà occidentale sempre più frequentemente si stiano avvicinando alla filosofia, alla religione orientale. Volevo sapere se lo stesso discorso può essere fatto per l'uomo orientale, quindi se l'uomo d'Oriente, la civiltà orientale si stiano avvicinando, comunque prendano in considerazione anche la nostra filosofia di vita, le nostre religioni, e soprattutto, se è vero che questo avviene, come vengano giudicati i nostri metodi di vita, come vengano vissuti. mentre se la risposta è no, vorrei sapere se non avviene perché forse la filosofia orientale è superiore alla nostra o per quale altro motivo.

Certamente in questa globalizzazione di cui dicevamo io penso che sia molto, anche molto maggiore l'impatto che ha avuto l'Occidente sull'Oriente che non l'Oriente sull'Occidente, nel senso che tutta la tecnologia, tutto questo è stato assorbito dall'Oriente, a volte creando grossi problemi, perché un assorbimento troppo veloce di elementi tecnologici, che permettono di manipolare la realtà in maniera estremamente efficace, senza che ci si giunga gradualmente può generare dei grossi problemi all'orientale come all'occidentale. Quindi direi che, oggi come oggi, un orientale medio ha grossi problemi come noi per quello che riguarda la gestione della tecnologia, aggiungendoci che c'è tanta povertà in Oriente, c'è tanta povertà, quindi c'è un insieme di queste cose. Spesso si parla di questo paradosso dell'India di qualche anno fa, che aveva una situazione igienica spaventosa, di povertà, ma aveva la bomba atomica. Ecco, è un po' questo paradosso che si genera in Oriente. Quindi quello che assorbe dall'Occidente in gran parte questo. Bisogna dire che chiaramente questo crea prospettive e problemi, così come il diffondersi della spiritualità orientale in Occidente crea problemi da un lato e prospettive. Però non vedrei una contrapposizione. Per esempio è buffo che molti, molti siti, molti buddhisti sono tecnologici, hanno, usano il computer. La tecnologia dal buddhismo viene molto assimilata, con molta facilità viene riconosciuto l'uso.... Il problema sta dentro, insomma, quello che accade dentro di noi, penso, no?

STUDENTESSA: Non c'è comunque un rifiuto?

Non credo. Penso che il problema può essere appunto, ripeto, l'uso di una tecnologia non assimilata, non metabolizzata, ecco.

STUDENTESSA: Come si pongono gli studiosi occidentali davanti all'avanzare comunque di queste filosofie, di queste religioni orientali, appunto, qui in Occidente?

Beh, dipende da quali studiosi. Diciamo che gli orientalisti le studiano. Le studiano con strumenti filologici, storici, cercano di capire il significato dei testi, eccetera. Poi ci sono invece i vari pensatori o filosofi che danno letture, che danno letture varie, a secondo della loro filosofia. Ecco, quello che a volte io ho riscontrato, essendo uno studioso di queste cose, è a volte la sorprendente approssimazione con cui alcune persone che hanno un rigore in un certo campo, per esempio, alcuni filosofi, alcuni studiosi di storia della filosofia occidentale, i quali parlano poi delle dottrine orientali usando appunto dei preconcetti, come quello di cui si parlava prima, del nichilismo, eccetera, usando dei preconcetti che sono ormai scomparsi dallo studio di queste cose. E quindi ormai è come se la nostra cultura avesse dei compartimenti stagni: chi studia la filosofia occidentale non sa nulla di quella orientale e a volte si sente magari in diritto di formulare delle interpretazioni o dei giudizi che sono molto poco scientifiche. Ecco secondo me c'è bisogno di un'osmosi fra gli studiosi.

STUDENTESSA: Senta il ricongiungimento tra Oriente e Occidente quale fine si pone, quale scopo si pone? Perché io credo che probabilmente la cultura occidentale non arrivi realmente a comprendere quella orientale, però a mio avviso già un passo avanti, o comunque sia, un punto di contatto ci potrebbe essere già al momento in cui l'occidentale così come anche l'orientale arrivino ad accettarsi l'uno l'altro. Quindi questo ricongiungimento viene inteso a livello proprio di comprensione o già soltanto a livello appunto di accettazione?

Diciamo che non è che innanzi tutto c'è un intento. Cioè sta succedendo, per quello che accade nella terra, per l'aumentare della comunicazione, che la terra comincia a sentirsi qualcosa di unico e non così divisa. C'era un insegnante buddhista ricordo, alcuni anni fa, che diceva: "L'unico aspetto positivo che ha avuto la nube di Chernobyl è averci fatto capire drammaticamente che non esistono divisioni tra nazione e nazione, quando si parla di cielo, e che quello che accade da un parte si trasmette dall'altra. Questo avviene con l'economia, avviene con le idee. Quindi è un processo storico, che nessuno ha deliberatamente deciso di attuare, ma che sta accadendo. Allora in questa osmosi, in questo continuo scambio, c'è anche una conoscenza reciproca. Ma d'altra parte però, io non sarei così assolutista, nel senso: l'Oriente non potrà mai comprendere l'Occidente, l'Occidente non potrà mai comprendere l'Oriente, perché, ripeto, si tratta, si parla dell'uomo, dei problemi dell'uomo. Quando si parla di spiritualità orientale non è che noi ci dobbiamo immaginare, così andare in zone rarefatte dove non si sa niente. Si parla della malattia, della vecchiaia, della morte. Sono cose che ci riguardano tutti e si tratta di cercare dentro di noi una risposta per vivere questa vita, tenendo conto di tutto questo ed esplorando questo mistero. E questo l'ha fatto l'Oriente come l'Occidente. Non so se..., io sinceramente, se uno di voi si mette a studiare la filosofia dei presocratici o qualche sistema orientale, io non so, non credo che voi abbiate, troviate più difficoltà a studiare un sistema orientale piuttosto che uno occidentale. Se spiegati bene, io penso che siano ambedue i sistemi difficili o facili, ecco.

STUDENTESSA: Sì, però a livello più pratico, ci sono anche delle differenze tra legislazioni, tra mondo orientale e mondo occidentale, differenze anche piuttosto nette. Adesso è chiaro che né l'occidentale né l'orientale vogliano rinunciare. Nel momento in cui vi è uno scontro però tra questi due, tra queste due realtà, quale può essere il punto di contatto allora?

Legislazioni?

STUDENTESSA: Si, anche a livello legislativo, per quanto riguarda le differenze appunto tra i vari popoli.

Ma sono certamente differenze di vario tipo, ci sono. Senz'altro, secondo me, è un sfida, un arricchimento quello di cercare di imparare l'uno dall'altro, fatta salva naturalmente la propria identità. Ma non lo so se è così, se cioè differenze storiche e di legislazione siano talmente grosse da dire: "Noi non possiamo comprendere", perché, ripeto, ci sono tanti Orienti, ci sono tanti Occidenti. E quindi quale Oriente cerca di conoscere quale Occidente e viceversa. No? Forse occorre un pochettino smembrare questi due blocchi, perché di nuovo è una categorizzazione utile, ma forse a volte diventa più un ostacolo che un vantaggio, ecco, al dialogo.

STUDENTESSA: Io volevo sapere quanto può essere difficile per un occidentale, che magari è stato deluso dalla religione, se vogliamo cattolica, avvicinarsi alla filosofia, alla religione orientale, quindi che bene o male ha studiato, come studiamo noi, su un libro, quindi ha studiato in frasi già scritte, diciamo già racchiuse in dogmi.

Beh, penso sia molto una questione personale questo. Cioè, io non so se uno possa a tavolino decidere. Dice: "Adesso - non so - io cerco la..." Io penso - non so se voi siete d'accordo vedendo voi stessi -, io penso che uno si fa delle domande. Si fa delle domande su che senso ha vivere, su quali, su quali basi affrontare la nostra esistenza, che è limitata nel tempo, che è come cercare se c'è e trovare qualcosa appunto che non nasce e non muore. Allora queste domande, questo istinto spirituale, che magari preme dentro, uno a un certo punto comincia a sentirlo e a non accontentarsi dei libri o delle cose. Allora comincia a cercare, che poi trovi, che ne so, un padre barnabita, un cattolico, oppure trovi un maestro orientale, oppure trovi un vasaio che nel fare vasi trasmette qualcosa di più. Quello dipende anche un po' dagli incontri che si fanno nella vita. Consideriamo che è sempre la vita quella che conta. Io da questo punto di vista avevo portato delle figure da mostrarvi appunto. Ci sono dei disegnini di una scuola buddhista Zen, in cui parla del cammino spirituale come un cammino di ricerca del bue, viene messa in questo modo. Volevo mostrare alcune di queste figure alla telecamera. Ecco vedete che cioè il bue rappresenta quell'aspetto della mente elusivo che noi cerchiamo. Sottomettere certi, certi impulsi non è l'esatta lettura. Ma la ricerca del bue, domare il bue è tutto il lavoro che si fa sulla mente. E poi - giro pagina -, vedete che l'omino torna a casa, suonando il flauto, suonando il flauto, in groppa al bue. Quindi la mente è entrata in armonia. A un certo punto l'armonia diventa tale che il bue scompare, cioè non c'è più bisogno di pensare al bue, perché il bue è diventato parte del tutto e l'omino contempla. Poi a un certo punto l'omino dimentica anche se stesso e arriva alla vacuità, a quella mente vuota di cui parlavamo prima. Vedete, ecco qua: si dimentica di se stesso di tutto il mondo e si vive uno stato di armonia. Infatti la figura ancora successiva è la sorgente della vita, la sorgente. Si entra cioè in contatto con delle energie profonde. Però, ecco, guardate qual'è l'ultima immagine. Non ci si ferma qua. Come dicevo, non è che poi, in questi tragitti, si arriva a un nulla, dove non si sa più nulla, perché l'ultima, l'ultima figura, è il ritorno al mercato, nel mondo. Quando si è raggiunta una mente così, si può entrare e unire insieme contemplazione e azione. Infatti i versi - ve li leggo - dicono: "A piedi nudi e a petto nudo mi mescolo con la gente del mondo. Ho gli abiti stracciati, e impolverati e sono sempre pieno di gioia. Non uso magie per allungarmi la vita; ora davanti a me gli alberi morti prendono vita". Ecco questa è l'ultima immagine.

STUDENTE: Io volevo chiedere, dunque: alcuni filosofi presocratici, ma anche, se vediamo, lo stesso Platone e tutto il mondo occidentale ha sempre, diciamo così, messo in evidenza il concetto, un certo concetto eternalista o comunque, per esempio, l'anima, in Platone, l'immortalità dell'anima, anche in Socrate. La stessa conquista da parte di Alessandro di gran parte dell'Oriente, insomma di una vasta area dell'Oriente, ha sicuramente dettato un'influenza molto forte da parte dell'Occidente sull'Oriente, cioè un'interdipendenza proprio, che evidentemente quindi ha influenzato l'Occidente e l'Oriente, e l'Oriente l'Occidente. Quindi possiamo sottolineare..., cioè fino a che punto si possono sottolineare le consimiglianze dei due mondi e non tanto la diversità? E soprattutto da che momento in poi si è venuta creando questa frattura che io sento, tra Oriente e Occidente, che probabilmente, in passato, durante le conquiste di Alessandro, era molto più attenuata, se è avvenuta una frattura di questo genere?

Io non la vedo così, cioè non vedo un'unità che poi si è fratturata. Io vedo tante realtà locali, che hanno una loro storia, una loro geografia, una loro cultura e che hanno espresso una spiritualità, una religiosità in modi propri, poi, prima o poi, queste realtà sono entrate in contatto e, quando sono entrate in contatto, hanno dato esiti spesso creativi. Facevo l'esempio prima del buddhismo. Quando il buddhismo indiano è andato in Cina ha dopo secoli espresso una forma di buddhismo cinese, che è proprio quello a cui appartengono quelle figure che ho mostrato prima. Ecco, allora, in questo senso, anche con l'Occidente, io penso che sia successo la stessa cosa. Cioè Alessandro arrivò in India giusto nella parte nord-occidentale, e noi non troviamo quasi riferimenti storici in India ad Alessandro. E' stata una cosa passata inosservata per loro. Poi sì, ci sono stati, già abbastanza presto degli influssi culturali, soprattutto dell'arte greca, della filosofia greca, che ha anche formato alcuni dei concetti, per esempio, del buddhismo e viceversa. Ma sono influssi poco, poco rilevanti. Direi però che da per tutto questi, nel loro modo, hanno affrontato i loro problemi, che, nella nostra vulnerabilità, come esseri umani, è la nostra ricerca di qualcosa, ripeto, che sta, che non nasce e non muore, o comunque sia è l'esplorazione del mistero della vita. Allora, da questo punto di vista, le risposte sono tipiche di ogni cultura e quindi diverse, ma hanno anche molto in comune. E troviamo spesso gli stessi processi in atto. Quindi è compito anche dello studioso, di chi si interessa di queste cose, da un lato comparare queste cose, per esplorare questo problema da vari punti di vista, e, dall'altra, rispettare le differenze specifiche di questi mondi.

STUDENTE: Professore, noi abbiamo fatti una ricerca su Internet, e ho troviamo, diciamo, diversi siti sia a livello internazionale che italiano. Ecco io Le volevo porre una domanda. Per esempio, questa frase che noi troviamo qui: "La dimora del gioiello", cosa significa?

Dunque "i tre gioielli" si riferisce - questo, siamo in un contesto buddhista -, quindi "i tre gioielli" si riferiscono ai tre aspetti che vengono affrontati quando si entra in una via buddhista. E sono: il Buddha, che rappresenta il principio di illuminazione o di risveglio, che è presente potenzialmente in ciascuno di noi. Tutti noi siamo risvegliati all'interno, ma non lo sappiamo in qualche modo. E tutto il cammino è togliere tutto ciò che oscura questa consapevolezza che è già in noi. Quindi il Buddha è il principio di risveglio dentro di noi. Il darma è l'ordine cosmico, è la verità e la realtà, la realtà delle cose così come sono e non come normalmente le guardiamo, distolte dalle nostre proiezioni. Quindi il darma è la verità. E il sanga è la comunità, cioè l'insieme di coloro che percorrono la via, insieme con me, e che quindi sono compagni di viaggio sui quali far conto durante il cammino. In genere quando una persona vuole percorrere il cammino buddhista prende rifugio, cioè entra dentro questi tre gioielli. Quindi penso che la frase si riferisca al fatto che questi tre gioielli non si possono limitare a una religione, diciamo istituzionalizzata, ma che in realtà é una via che comprende la terra, l'uomo, il cielo, cioè tutto l'universo.

STUDENTESSA: Il buddhismo con il fatto che porta all'annullamento del desiderio, al nirvana, non toglie anche importanza al nostro essere persone che vivono questa vita terrena.

Ecco, questo mi sembra importante da sottolineare. Il buddhismo parla del fatto che il desiderio provoca sofferenza. Io desidero qualcosa quando sento di non averla e allora la cerco. Il desiderio è l'espressione del mio tendere verso questo qualcosa e quindi anche una forma di sofferenza, se vogliamo. Il problema è che, quando io ottengo quello che desidero, non sono affatto soddisfatto, perché subito dopo desidero un'altra cosa e un'altra cosa ancora. C'è una storia di un saggio folle, il quale venne sorpreso una volta al mercato, a mangiare un mucchio di peperoncini piccanti, e se ne mangiava uno dopo l'altro, ed era tutto rosso, lacrimava. Allora gli dicono: "Ma perché, se ti fa stare così male, continui a mangiare questi peperoncini?" . E lui risponde:" Eh, perché ne sto aspettando uno che non sia piccante". Allora è come se noi, inseguendo tanti desideri - nella visione buddhista -, noi andiamo sempre a sperare che quella cosa che otterremo, ah, quella sì che ci farà stare in pace, tranquilli! Allora il buddhismo insiste nel fatto che questo gioco non finisce mai e non ci dà quello che cerchiamo. Se invece noi cominciamo a essere consapevoli della caratteristica insoddisfacente delle nostre esperienze, allora possiamo aprirci a qualcosa di più grande. Quindi non si tratta di reprimere i desideri. Si tratta, mano a mano che scopriamo il desiderio di qualcosa di più grande, chiamiamo il desiderio di Dio, se vogliamo usare un linguaggio cristiano, allora i piccoli desideri, piano piano, cadono come foglie secche, perché non servono più al cammino e comincio a desiderare molto di più qualcosa appunto che mi dia quella felicità profonda, quella pace profonda che io ho sempre cercato in tutte le cose.