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Quei sottomarini on the rocks

di Luigi G. de Anna - 24/05/2008

 

 
 
La primavera è arrivata anche qui nel Baltico. Vere perle di questo mare, purtroppo largamente inquinato e in estate coperto di vaste chiazze di alghe velenose, sono gli arcipelaghi che si affacciano su Svezia e Finlandia. Piccole isole ridenti di roccia granitica coronate di vegetazione. Qui si pescano le pregiate aringhe e qui vivono le foche e gli uccelli marini. In questo idillico panorama durante gli anni della Guerra Fredda e fino alla caduta dell’Unione Sovietica si sono svolte alcune delle più appassionanti cacce. Ai sottomarini con la stella rossa.
Per molto tempo i giornali si sono riempiti di notizie ricorrenti riguardanti l’allarme dato alla flotta svedese, che si metteva alla ricerca degli intrusi. Il 28 ottobre del 1981 si ebbe il caso forse più clamoroso. Il sottomarino 137 della classe “Whisky” (secondo la denominazione Nato), partito dalla base di Baltijsk al confine tra Urss e Polonia, si incagliò a pochi chilometri dalla base militare di Karlskrona, all’interno delle acque territoriali svedesi. Per anni il governo della Svezia aveva imputato all’Urss di violare la sua sovranità e aveva sempre suscitato le sdegnate proteste di Mosca.
Ora la foto del “Whisky on the rocks” faceva il giro del mondo, accusando in maniera inequivocabile l’Armata rossa. Naturalmente questa dichiarò che il sommergibile aveva perso la rotta a causa di un guasto alle apparecchiature di navigazione. Gli ufficiali svedesi saliti a bordo in effetti constatarono che i comandi non funzionavano (probabilmente perché erano stati manomessi), ma quando cercarono di avvicinarsi al reparto dove erano conservati i siluri suscitarono la ferma opposizione del comandante. E a buona ragione, infatti venne rilevata la presenza di uranio 238, in altre parole i tubi di lancio contenevano armi nucleari, siluri o mine della potenza della bomba di Hiroschima, che potevano essere rilasciate all'altezza della base navale di Karlscrona.
Il governo di centrodestra di Thorbjörn Fälldin (immagine a destra) non si lasciò sfuggire l’occasione per agire con fermezza nei confronti dei Sovietici, i quali stavano cercando di lanciare un piano di denuclearizzazione del Baltico senza evidentemente rinunciare alle loro missioni segrete. L’incidente si chiuse con le scuse ufficiali di Mosca. Ma ecco che oggi si riapre un altro famoso caso, quello detto di Hårsfjärd, dal nome della località dove venne registrata l’intrusione di un sottomarino un anno dopo il caso di Karlscrona, il 12 ottobre del 1982. Qui si sospettò la presenza di uno o più sommergibili sovietici, intravisti sia da civili che da militari. Subito iniziò la caccia e gli elicotteri svedesi cercarono di portare alla superficie (o affondare) l’intruso gettando 44 bombe di profondità. Affiorarono solo le aringhe, uccise dalle esplosioni. Recentemente, il ministro degli esteri dell’attuale governo conservatore, Karl Bildt (foto a sinistra), ha dovuto ammettere che sono affiorati elementi nuovi, anche se questi, a suo giudizio, non infirmano l’accusa fatta a suo tempo alla marina sovietica. In sostanza, ora si mette in dubbio che la registrazione di un motore ad elica fatta dagli idrofoni svedesi nell’ottobre dell’82 appartenesse a un sottomarino, ma piuttosto al battello che trasportava i giornalisti che stavano seguendo la caccia, l’“Amalia”. Lo stesso comandante dell’“Amalia”, il sessantaquattrenne Ulf Bunsch, ha recentemente dichiarato che dopo aver ascoltato la registrazione non ha dubbi che si tratti della sua nave. La commissione istituita nella primavera del 1983 e presieduta proprio da Bildt, si era dunque sbagliata?
Probabilmente la certezza non si avrà mai, né i contatti avuti tra Svezia e Russia tra il 1992 e il 1994, portarono alla conferma che nella misteriosa elica si dovesse riconoscere quella di un sottomarino sovietico, e in ogni caso nel 1995 la commissione svedese giunse alla conclusione che si trattava a tutti gli effetti di una imbarcazione sovietica. Nel 1996 le cose però si complicarono con la dichiarazione dell'allora comandante delle forze armate svedesi, il quale affermò che la registrazione poteva benissimo riferirsi agli squittii di visoni, animaletti che spesso fuggono dagli allevamenti e si rifugiano sugli isolotti lungo la costa. Lo scorso autunno la discussione tornò di attualità quando la stampa rivelò che esisteva il fondato sospetto che si fosse trattato effettivamente di un sottomarino, e non con la stella rossa, ma con le insegne di un paese della Nato, di cui le autorità svedesi non avevano voluto rivelare l’identità. Nel 2000 del resto l’allora ministro della difesa statunitense Caspar Weinberger aveva ammesso in una intervista alla Tv svedese che gli Usa erano stati obbligati in passato a testare la capacità di difesa sottomarina della Svezia. Il Baltico è indubbiamente un mare molto frequentato. I sottomarini russi e i loro concorrenti Usa si studiano a vicenda, mentre i giornalisti se ne vanno in cerca di scoop e i visoni sfuggono al loro spiacevole destino di animali da pelliccia. Chi non sfuggì al suo destino fu il comandante dello “Wisky”, Pjotr Gushin, trasferito dopo la penosa avventura dal mare alla terraferma. In Siberia.
 
 
 
Dal Secolo d'Italia