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La storia del socialismo italiano

di Raffaele Panico - 31/05/2008

 

La storia del socialismo italiano



Il particolare dell’anomalia definitiva oggi (dopo il voto del 13-14 aprile 2008), della scomparsa dei socialisti nel panorama politico parlamentare italiano è stato tema già analizzato nella recente terza edizione del libro di Giorgio Galli. A distanza di pochi mesi dalla presentazione ritorniamo sull’ultima edizione di “Storia del socialismo italiano – da Turati al dopo Craxi” (ed. Baldini Castoldi Dalai – 2007 Milano). Negli anni 1979-80 la prima edizione ed oggi, dopo il voto del 13-14 aprile 2008, la storia del Partito socialista si è decisamente conclusa con la scomparsa di tutti i socialisti. Nel libro, Galli cita i dati delle formazioni elettorali della cosiddetta diaspora socialista - alle elezioni Politiche del 2006, già allora una scomparsa di fatto (cifre percentuali da prefisso telefonico) dei socialisti nel sistema politico in Italia. Anomalia tutta italiana confermata ora con ‘particulare’ tanto maggiore, se notiamo che persino nell’Europa orientale, nell’ex blocco sovietico, oggi per la gran parte paesi nell’Unione europea, esistono formazioni socialiste, e alcune di queste formazioni partitiche sono la trasformazione addirittura dei vecchi partiti comunisti.
Le sue valutazioni, le previsioni di allora sono l’esatta situazione attuale: il libro di Giorgio Galli ha ripercorso vicende storiche del partito socialista italiano che attraversano quasi tutta la vita politica unitaria del Paese, dall’ultimo decennio dell’Ottocento ai momenti culminanti con la presidenza del Consiglio Craxi - fino alle precedenti elezioni del 2006. Dalle analisi di Galli emerge un particolarismo tutto italiano che riguarda la storia del socialismo e la premessa della sua scomparsa “nell’incompiuta democrazia rappresentativa italiana”. Le eccezioni del sistema politico italiano sembrano essere presenti già nel movimento socialista prima, durante e dopo l’intervento nel primo conflitto mondiale (sembra insegnare la Storia che non perdona quando si persevera…).
Una costante quindi, nel sistema politico dell’Italia già presente nel Novecento e per tutto il secolo, anomalia del Partito socialista italiano rispetto alle altre formazioni socialiste in Europa. Con formule e slogan non a caso ricorrenti come il “né aderire, né sabotare” che ritornano - e siamo nell’estate del 1979 quando - scrive Giorgio Galli - la stampa così definisce l’atteggiamento di Craxi di fronte al primo governo Cossiga. L’incapacità a fare scelte coraggiose, rispetto agli altri socialismi europei, come già nel 1914 dopo la crisi di Sarajevo e i vari interventi nel conflitto armato in Europa; i socialisti italiani hanno ben 10 mesi di tempo per prepararsi al peggio, fino all’intervento militare del 24 maggio 1915! – secondo indirizzi o di disfattismo leninista “trasformare la guerra imperialistica in guerra civile”, o di solidarietà nazionale quando in un sistema liberale parlamentare si entra in guerra e le regole non valgono più, con la fine della diplomazia e l’intervento militare. Non riescono a fare una analisi adeguata? I nostri, mentre invece i socialisti francesi e tedeschi decisero scelte politiche coerenti in poche settimane!
Poi il disastro di Caporetto 1917, e non a caso il discorso di Turati in un articolo che incita al dovere del proletariato a resistere quando il territorio nazionale viene invaso dallo straniero.
Le pagine del volume di Galli riprendono svolte storiche e stagioni politiche con suggestivi capitoli che attraversano il periodo politico post bellico, dal Biennio rosso al Biennio nero. Ancora una volta l’Italia presenta anomalie o, forse, è un laboratorio politico d’Europa, nel panorama dell’ “oscillazione del pendolo politico” (tesi di K. Polany in “La grande trasformazione”) sindrome post bellica tipica dell’Europa centro-orientale rispetto alla Francia e alla Germania e, in questo, anticipatrice della virata a destra e della repentina stabilizzazione del 1924-25 di Mussolini non più socialista, svolta che anticipa i fascismi europei degli anni Trenta.
Quindi, il regime e l’esilio dei socialisti, poi la perdita del primato nelle prime elezioni post belliche, già in termini di percentuali elettorali, nel secondo dopoguerra. Il Psi non è un polo progressista come in altri paesi dell’Europa occidentale, ma è un partito minore della sinistra italiana in generale. Cosa lega poi nel tempo il particolarismo di ieri nella democrazia parlamentare dopo il 1945, e l’anomalia di oggi, cioè la scomparsa del socialismo in Italia, a quasi venti anni ormai dalla caduta del Muro di Berlino? Una storia singolare, tutta evidente già col Partito socialista di Turati, lacerato tra le due ali, diviso com’era tra riformisti e massimalisti?
Acuta analisi storica, capitoli suggestivi e intreccio complesso e articolato della storia della società, della cultura e dei costumi della vita unitaria dell’Italia moderna. Altro esempio ricorrente o ritornante, è il paradigma del ‘radiosomaggismo’ termine che poi passa addirittura attraverso il divorzio, problematica già emersa prima della prima guerra mondiale. Nodi storici reali o a volte solo dialettica nell’esercizio del potere politico?
Nelle oltre 500 pagine questo dialogo tra istanze reali affrontate nella società italiana, il dualismo tra Paese reale e Paese legale, appare più volte. Alcune vicende ed etichette politiche sono permeate più dal linguaggio del politico, sono più legate ai rapporti di forza tra i partiti, che a reali esigenze della società italiana. E qui sembrano suscitare fantasmi, loro malgrado, i politici apprendisti stregoni della politica italiana. Come nel capitolo 18, “Il maggio radioso” , dove il “radiosomaggismo, premessa del fascismo – e che era stato per la destra italiana quello interventista del 1915” che “portò alla guerra e determinò le condizioni della crisi del socialismo”. E, continua Galli: “Maggio radioso fu per il Psi e per la sinistra italiana quello del 1974, allorché il referendum del giorno 12 mise in luce con chiarezza che i progressisti potevano vincere e i conservatori potevano essere battuti in uno scontro elettorale”. Fermo restando che, il tema del divorzio – giusto Giorgio Galli scrive a pagina 395 – era riduttivo e si collegava solo per un verso alla questione femminile, e sull’onda emotiva del ‘68. Il divorzio è una vicenda borghese più che di tradizione schiettamente socialista e, allora, non è che un blocco liberale che vuole vincere contro i cattolici, tematica già in essere tre quarti di secolo prima, durante uno dei governi di Giolitti, con il ritiro della proposta Zanardelli, per l’ingresso dei cattolici nella vita politica unitaria.