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Il totalitarismo inverso

di Chellis Glendinning - 01/07/2008

 


Sorveglianza delle telefonate private e delle email. Telecamere che documentano ogni mossa. Niente habeas corpus. Accesso libero ai dati finanziari personali. Macchine del voto che cambiano i risultati di un’elezione con la pressione di un tasto. La protesta che viene definita terrorismo. Molte persone si augurano che la perdita dei diritti civili che gli americani hanno sofferto dagli attacchi inferti dalla seconda amministrazione Bush, sia una realtà politica che possa essere rovesciata esprimendo il proprio voto.

I meccanismi fondati del potere politico sono naturalmente i mezzi immediatamente disponibili per affrontare un cambiamento. Nozioni sui diritti civili, sulla libertà e sulla partecipazione democratica sono principi innegabili che hanno notevolmente ispirato il coraggio dei cittadini americani; e tuttavia l'anziano ociologo, Sheldon Wolin, che ha insegnato la filosofia della democrazia per cinque decenni, vede l’attuale difficoltà dell’egemonia dell’alleanza di governo come qualcosa di più endemico.

“Il totalitarismo inverso,” come lo definisce nel suo recente Democracy incorporated, “consiste nel mantenere il potere totale senza darlo a vedere, senza istituire campi di concentramento o obbligare ad un’omogeneità di pensiero, senza sopprimere con la forza elementi di dissidenza fino a che questi rimangono inefficaci.” Per Wolin una tale forma di potere politico fa degli Stati Uniti “la vetrina del modo in cui la democrazia può essere gestita senza apparire soppressa.”

Wolin fa giustamente notare che il governo degli Stati Uniti “ha nelle sue origini una inclinazione contro la democrazia,” e tuttavia il sistema ha domato velocemente le sue meno che democratiche radici agrarie per diventare una società urbana di massa che, con un caratteristico aroma alla 1984, potrebbe essere chiamata tecno-fascismo. Il ruolo della tecnologia è il pezzo mancante del puzzle del rompicapo politico attuale.

Quali sono i suoi meccanismi di controllo?

L’uso di tecnologie delle telecomunicazioni per la sorveglianza è chiaro. Così come lo sono l’alterazione voluta di dati informatici per reportage pubblici, la manipolazione di notiziari televisivi per plasmare l’opinione, e l’uso di armi che emettono microonde per controllare la folla.


Meno evidente appare quella che potrebbe essere chiamata “meccanizzazione inversa”, con la quale i cittadini accettano ciecamente l’avanzare dello sviluppo tecnologico come espressione di un concetto molto sbagliato, qualcuno direbbe errato, di “progresso.” Uno dei meccanismi di diffusione di tale cecità sta nel ruolo invisibile del governo americano nell’asservirsi alle regole dell’industria, non fornendo al cittadino i mezzi per determinare di cosa siano disseminate le tecnologie; invece ci scodellano nel piatto qualsiasi OGM o società di impianti nucleari. Un esempio evidente è il caso del Telecommunicatios Act [1] del 1996 che, per non ripetere gli “errori” dell’industria nucleare, offre zero informazione pubblica sugli impatti che le sue antenne, torri e satelliti hanno sulla salute e sull’ambiente, col risultato che l’opinione pubblica non ha alcuna idea precisa dei reali effetti biologici delle radiazioni elettromagnetiche. La meccanizzazione inversa si fa largo grazie anche alla disuguaglianza nella disponibilità di risorse: le corporazioni che si prodigano a plasmare l’opinione pubblica e impostano difese legali a non finire contro gruppi di cittadini che potrebbero morire per l’esposizione ad una apparecchiatura pericolosa, ma i cui fondi provengono dalla vendita di torte. Nel suo Autonomous Technology: Technics-Out-Of-Control as a Theme in Political Thought, lo studioso di scienze politiche Langdon Winner fa notare, per cominciare, che gli artefatti stessi sono cresciuti in una quantità e complessità tali da definire il concetto popolare di necessità. Lo testimonia il “bisogno” di raggiungere luoghi lontani in poche ore o di godere della possibilità di comunicare all’istante.

Ancora meno evidente come meccanismo di controllo generale è l’inversione tecnologica derivante dal fatto che, per dirla con il regista Godfrey Reggio, “Noi non usiamo la tecnologia, noi la viviamo.” Come i pesci nell’acqua, non riusciamo a considerare gli artefatti moderni distinti da noi stessi, e quindi non riusciamo ad ammettere che esistano.

Il sociologo Lewis Mumford fu tra i primi a capire la natura metodica della tecnologia. Nel The Pentagon of Power egli identificò la metafora implicita delle culture di massa come megamacchina. La catena di montaggio – di fabbrica, casa, istruzione, agricoltura, medicina, consumismo, divertimento. La macchina – produzione e controllo dell’accentramento decisionale. La frammentazione meccanica di ogni atto fino a decontestualizzarlo dal suo insieme, insistendo nel prestabilire il ruolo di ogni regione, comunità, singolo individuo.

Con destrezza Mumford toglie via la scorza di false speranze da una realtà sociale basata su principi di accentramento, controllo ed efficienza. Nel 1962 egli ha sbirciato nel futuro e ha visto il pentagono del potere in persona: “una produttività più voluminosa, intensificata da computer quasi onniscienti e una più ampia gamma di antibiotici e vaccinazioni, con un maggiore controllo sul nostro patrimonio genetico, con operazioni chirurgiche e trapianti più complessi, con un’estensione dell’automazione ad ogni forma di attività umana.”

Il totalitarismo inverso è sia inverso che totalitario a causa del potere delle moderne tecnologie di massa di disegnare e controllare le realtà sociali, così come plasmano e controllano la percezione individuale di tali realtà. La sua contemporaneità è più chiaramente il risultato degli sforzi di un gruppo di fondamentalisti di destra che si sono attaccati al potere per vie traverse, ma le disperate disuguaglianze sociali, la gravissima crisi ambientale e la politica fascista di oggi, sono anche figli dell’enorme sviluppo dell’accentramento e del controllo delle tecnologie.

Il cambiamento sta nel vedere l’insieme e tutte le sue parti, non soltanto il nuovo splendente congegno il cui scopo è quello di rendere la vita personale di ognuno più facile o più sexy, il che di per sé contribuisce a creare disimpegno politico. L’insieme è la megamacchina, non tu e il tuo televisore al plasma, il Blackberry, e la Prius come appendice indispensabile.

Creare un mondo sostenibile vuol dire sicuramente un cambio dell’amministrazione, per cominciare. La realtà terrificante rappresentata dalla società tecnologica di massa suggerisce inoltre una riorganizzazione tecno-socio-economica radicale, e in funzione di ciò, le visioni di rinascita trasmesse dalle realtà indigene da cui tutti veniamo, il regionalismo del periodo di Mumford, e il bioregionalismo [2] di oggi. Oppure, le visioni di localizzazione forzata che il “peak oil”, il collasso economico, il cambiamento climatico e la devastazione ecologica ci propongono.

Chellis Glenidding è l’autrice di sei libri, inclusi “Off the Map: An Expedition Deep into Empire and the Global Economy”, “My Name Is Chellis and I’m in Recovery from Western Civilization”, ed il prossimo “Luddite.com: A Personal History of Technology”.

NOTE DEL TRADUTTORE

[1] letteralmente “Legge sulle telecomunicazioni”.

[2] politica ambientalista concentrata sulle caratteristiche che determinano una regione.

Titolo originale: "Techno-Fascism -- Every Move You Make "

Fonte: http://www.counterpunch.org
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19.06.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DAZED