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L’atomica come arma convenzionale

di Piero Visani - 20/09/2005

Fonte: linea

Torna la strategia nucleare?
L’atomica come arma convenzionale
 
 
 Piero Visani

L’anniversario dell’11
settembre è stato
ricordato, negli Stati
Uniti, con le commemorazioni
di rito, ma anche con la formulazione
di crescenti e sempre
più autorevoli interrogativi
sui risultati concreti fino ad
oggi raggiunti in quattro anni
di “guerra al terrorismo”. Le
risposte che sono state fornite
si sono dimostrate, di necessità,
assai poco incoraggianti,
specie là ove l’analisi è stata
lucida e spietata, per nulla
autoconsolatoria.
Su un tema tanto delicato e
cruciale, la dirigenza americana
pare brancolare nel buio, al
punto che persino uno dei più
noti e accaniti “falchi” dell’amministrazione
repubblicana,
Paul Wolfowitz, ora riciclato
(certo non casualmente)
nella veste di presidente della
Banca Mondiale, non ha saputo
fare di meglio che ricorrere
ad una ricetta tanto banale
quanto scontata come quella
di “battere la miseria per battere
il terrorismo”. Proponimento
certamente lodevole,
ma che gli sarà assai difficile
mettere in pratica dal suo nuovo
incarico, dal momento che
la World Bank non solo non ha
mai fatto nulla di concreto in
proposito, ma in molti casi si è
addirittura dimostrata una
grande promotrice (e diffusore)
della miseria, ad esempio
nelle tante realtà nazionali del
Terzo Mondo che ha economicamente
strangolato al solo
scopo di svolgere con dedizione
il suo ruolo di longa manus
finanziaria degli USA.
Mancano le idee. Il nemico è
sfuggente. Ma la vecchia e
mai smentita tentazione dell’overkilling
fa nuovamente
capolino, ovviamente per bocca
del Pentagono. Se non si
riesce a sconfiggere il nemico
(e spesso e volentieri neppure
ad individuarlo); se Osama
bin Laden resta uccel di bosco
anche in un’epoca in cui i
satelliti dovrebbero consentire
di rovistare in ogni angolo del
mondo, perché non riportare
alla luce la vecchia e mai del
tutto dimenticata opzione
nucleare, croce e delizia degli
anni della “Guerra Fredda”?
Dopo la fine di quest’ultima e
il collasso dell’Unione Sovietica,
l’apparato nucleare statunitense
ha subito una drastica
riduzione quantitativa,
segue dalla prima
(…) frutto del fatto che non c’erano
più potenziali nemici contro
cui eventualmente farne uso.
Riduzione, tuttavia, non ha significato
eliminazione, poiché Washington
era ben consapevole dell’impossibilità
di rinunciare del
tutto allo strumento nucleare, cioè
a quel tipo di sistemi d’arma che
conferiscono un’enorme superiorità
su qualsiasi avversario. Così, è
continuato il miglioramento qualitativo
degli ordigni, anche se non
poco rallentato dalla scarsa disponibilità
evidenziata dal Congresso
– pur così generoso nel rafforzare
l’arsenale militare USA – nel concedere
fondi per questa specifica
tipologia di armamenti, evidentemente
ritenuti di poca utilità nella
lotta contro i nuovi nemici dell’America.
Tuttavia, ora che si valutano gli
scarsi frutti ottenuti dalla guerra
contro il terrorismo e si prende
atto del fatto che il conflitto convenzionale
ingaggiato in Iraq è
ben lungi dall’essere vinto, anzi
rischia di trasformarsi in una trappola,
riprende fiato l’opzione
nucleare, non solo come soluzione
estrema cui ricorrere in caso di
minaccia mortale contro gli Stati
Uniti, ma anche e soprattutto
come soluzione di first strike, cioè
di “primo colpo” preventivo contro
le insidie (reali o potenziali)
alla sicurezza nazionale.
Si tratta di una svolta significativa,
ma tutt’altro che casuale, anzi
frutto di un’approfondita riflessione
sulle attuali esigenze strategiche
degli USA. Fino a poco tempo
fa, l’apparato militare americano
era di dimensione ed articolazione
tali da consentirgli di condurre
contemporaneamente “due guerre
e mezzo”, vale a dire due conflitti
di maggiore portata, in diverse
parti del mondo, e un conflitto
minore (o una serie di piccoli conflitti
minori) in un’altra area ancora.
La riduzione quantitativa di
tale apparato, frutto soprattutto
della scelta strategica di concentrare
gli sforzi e gli stanziamenti
di bilancio sui mezzi e le tecnologie,
a scapito della componente
umana, ha però reso impossibile la
continuazione di tale impostazione
(basti pensare che gran parte delle
forze disponibili sono oggi schierate
in Iraq e Afghanistan) e si è
dovuto ripiegare sulla soluzione di
“una guerra e mezzo”, peraltro
accompagnata dalla speranza che
nemmeno questa ipotesi ridotta
debba mai avverarsi.
Se è così, l’unico modo che rimane
a Washington per fare pesare la
propria supremazia strategica
è ovviamente il
ricorso all’opzione
nucleare. Che tuttavia –
questo il punto – non può
più essere impiegata
come semplice deterrente,
atto a dissuadere eventuali
aggressori, ma deve
abbandonare il ruolo di
“arma assoluta”, di soluzione
estrema cui fare ricorso solo
in casi limite, per diventare un’arma
come le altre (o quasi), per
diventare “convenzionale”; per
potere, in altre parole, essere concretamente
utilizzata.
La miniaturizzazione degli ordigni,
l’opportunità di circoscriverne
l’impiego a cariche di potenza
molto ridotta, apre la possibilità di
un’utilizzazione di tipo convenzionale
di un’arma che, per sua
stessa natura, convenzionale certamente
non è. Ma il Pentagono
non si è fermato a questo, non si è
accontentato di un ruolo del genere,
bensì batte con insistenza l’accento
sul fatto che la riscoperta
dell’arsenale nucleare potrebbe
conferire agli USA – come già
ricordato – una formidabile capacità
di “primo colpo” preventivo a
carico dei nemici dell’America.
Per arrivare a questo, il Dipartimento
della Difesa chiede che
l’arsenale nucleare al momento
disponibile, reputato alquanto
datato, sia oggetto di profondi
interventi di ammodernamento.
Per il momento, tali interventi non
gli sono stati concessi, se non in
misura trascurabile, ma non è detto
che tale atteggiamento di chiusura
debba durare per sempre.
A ben guardare, è il passato che
ritorna: come è già accaduto in
altre occasioni, gli insuccessi o
l’impraticabilità dell’opzione convenzionale
ridanno fiato all’opzione
nucleare, in un’alternanza concettuale
che non fa onore agli strateghi
statunitensi. Certo la tentazione
nucleare è forte, perché l’impiego
preventivo di armi atomiche
sbaraglierebbe sul nascere tutti i
nemici, reali o potenziali che siano.
Ma quanto è credibile questa
ipotesi? Quanto destabilizzanti le
conseguenze di una scelta del
genere? E ancora: davvero si può
pensare di vincere la guerra asimmetrica
con il ricorso all’arma
nucleare? Non è che, scegliendo di
distruggere tutto (sia pure con precisione)
là dove sarebbe preferibile
un intervento mirato e chirurgico,
si finisce per creare legioni di simpatizzanti
del nemico? La ricerca
della vittoria, nel conflitto asimmetrico,
richiede una straordinaria
flessibilità, tanto concettuale quanto
operativa; i militari lo sanno
benissimo, al Pentagono forse più
che altrove, ma il desiderio di
compiacere il potere politico ed i
suoi errori gioca talvolta loro qualche
brutto scherzo.
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