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Democrazia non solo per la maggioranza

di Robert Fisk* - 05/02/2006

Fonte: Nuovi Mondi Media


In un’epoca in cui i nostri governi non includono più uomini o donne che hanno avuto esperienza diretta della guerra, dobbiamo far comprendere cosa essa significa. Democrazia vuol dire libertà, non solo per coloro che hanno votato per la maggioranza

Oh no, non la democrazia di nuovo! Ma non l’avevamo portata in dono all’Algeria nel 1990? E gli algerini non ci hanno gentilmente ricambiato scegliendo un governo islamico ed eliminando il secondo turno di elezioni libere? Grazie tante!

Seriamente, in Afghanistan hanno eletto realmente una serie di rappresentanti, anche se fra loro erano presenti signori della guerra e assassini. In Iraq, invece, a Baghdad, ha vinto il partito Dawa, responsabile (ma non facciamolo sapere a Washinghton) della maggior parte dei rapimenti di occidentali a Beirut negli anni ottanta, degli attentati con le auto-bombe all’ultimo emiro e alle ambasciate americana e francese in Kuwait.

Ora, orrore degli orrori, i palestinesi hanno eletto il partito sbagliato. Avrebbero dovuto dare il loro supporto al corrotto partito pro-occidente, pro-America, che aveva promesso di “controllarli”, piuttosto che ad Hamas, il quale invece aveva dichiarato di volerli rappresentare. E, bingo, hanno votato di nuovo il partito sbagliato. Risultato: 76 seggi su 132. Ce l’hanno fatta per poco. Cosa dobbiamo fare noi con persone che non votano come dovrebbero?

Negli anni trenta gli inglesi imprigionavano gli egiziani che si ribellavano al governo del re Farouk. Perciò sono stati loro a gettare le basi di quel tipo di governo anti-democratico che è sorto in seguito. I francesi rinchiudevano i governanti libanesi, il che ha portato alle medesime conseguenze. In seguito la Francia ha abbandonato il Libano. Però noi ci siamo sempre aspettati che i governi arabi facessero quello che veniva loro detto.

Quindi oggi ci aspettiamo che in Siria si comportino "bene", che in Iran si inchinino alle nostre richieste riguardo al nucleare (sebbene non abbiano fatto nulla di illegale), e che nella Corea del Nord rinuncino alle armi (anche se le posseggono e quindi non possono essere attaccati).

Ora lasciamo che il pesante fardello del potere stia tutto sulle spalle dei partiti. E lasciamo che le persone si prendano le proprie responsabilità. I britannici non accetterebbero mai di discutere con l’Esercito Repubblicano Irlandese. Ma a tempo debito, Gerry Adams è venuto a prendere un tè con la regina. Gli americani non parlerebbero mai con i loro nemici del Vietnam del Nord. Ma l’hanno fatto. A Parigi.

No, al-Qaeda non lo farà. I leader iracheni della rivolta in Mesopotamia invece sì. Parlarono con gli inglesi nel 1920, e parleranno con gli americani nel 2006. Qualche anno fa, nel 1983, Hamas parlò ad Israele. Si rivolsero direttamente a loro in merito al diffondersi delle moschee e dell’insegnamento religioso. L’esercito israeliano si vantò di ciò sulla prima pagina del Jerusalem Post. A quel tempo sembrava che Il Fronte di Liberazione Palestinese non volesse attenersi alle risoluzioni Oslo. E sembrava non ci fosse nulla di sbagliato nel continuare a conferire con Hamas. Allora perché oggi risulta impossibile?

Non molto tempo dopo che il comando di Hamas venisse cacciato nel sud del Libano, uno dei membri principali dell’organizzazione mi sentì dire che stavo per partire per Israele. “Faresti meglio a chiamare Shimon Peres”, mi disse. “Ecco il suo numero.” Era il numero giusto; membri della gerarchia del movimento più estremista della Palestina che parlavano con politici israeliani.

Gli israeliani conoscevano bene il comando di Hamas, e Hamas conosceva bene quello israeliano. È inutile che i giornalisti asseriscano il contrario. Invariabilmente finisce che i nostri nemici risultano essere i nostri migliori amici, e viceversa.

È terribile parlare con quelli che hanno ucciso i nostri figli. Ed è odioso dover incontrare coloro che hanno le mani sporche del sangue dei nostri fratelli. Senza dubbio è quello che gli americani che credevano nell’indipendenza provavano nei confronti degli inglesi che sparavano loro contro.

Saranno gli iracheni a dover affrontare al-Qaeda. Questo è il loro fardello. Non il nostro. Nel corso della storia, alla fine, abbiamo sempre parlato con i nostri nemici. Lo abbiamo fatto con i rappresentanti dell’impero del Giappone. Abbiamo accettato la resa del Terzo Reich dai successori di Adolf Hitler. E oggi abbiamo scambi felici con i giapponesi, i tedeschi e gli italiani.

Il Medio Oriente non è mai stato un successore della Germania nazista o dell’Italia fascista, a dispetto di quanto dicano il presidente Bush o il primo ministro Tony Blair. Quanto tempo deve ancora passare prima che ci gettiamo alle spalle il fardello della più grande delle guerre, e guardiamo verso il nostro futuro, non al passato, come ad una realtà?

Di certo, in un’epoca in cui i nostri governi non includono più uomini o donne che hanno avuto esperienza diretta della guerra, dobbiamo far comprendere alle persone cosa essa veramente significa. Non è compito di Hollywood, e nemmeno dei documentari. Democrazia vuol dire libertà, non solo per coloro che hanno votato per la maggioranza.

Questo è il problema del Medio Oriente.

*The Seattle Post-Intelligencer


Fonte: http://seattlepi.nwsource.com/opinion/257554_fisk31.html
Tradotto da Elena Cortellini per Nuovi Mondi MEdia