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Dio, che pensiero unico

di Luciano Arcella - 14/02/2006

Fonte: lineaquotidiano.it

 

Per i monoteisti l’unica pace possibile è che tutti si convertano

Il conflitto non nasce perché, colti da ebbrezza,
ci alziamo la mattina o magari di sera, dopo un
pomeriggio alcolico, per andare ad aggredire
altri simili e sfogare su loro quel surplus di
energia che, da buoni igienisti della defecazione,
dobbiamo assolutamente scaricare. Dato che se
verificabile per un singolo, diviene lapalissiano per
una comunità che, qual che sia, ha più a cuore il proprio
benessere che non il ghiribizzo di andare a cercare
le uova nei panieri degli altri.
L’aggressività è conseguenza della volontà di imporre
il proprio schema mentale al mondo e, con esso, un
sistema di comportamenti che si diffonde
nella sfera familiare o nella più ampia sfera
sociale, coinvolgendo allora la categoria
del politico. Democraticamente, militarmente,
economicamente, è evidente che
tanto un singolo quanto un gruppo culturale
omogeneo cerchino, elaborino una
coerente visione del mondo e intendano
imporla, quale sorta di legge temporalmente
definitiva e spazialmente universale.
Si elaborano così sistemi economici, politici,
sistemi estetici persino, comunque parziali
rispetto a quel sistema onnicomprensivo
che è la religione. Qual è infatti quell’ambito del
pensiero umano che pretende di dirti da dove vieni,
dove vai, qual è il senso della tua vita, come devi comportarti,
come devi pensare (Dio è in grado di guardarti
dentro senza bisogno di sonda...), se non la religione?
Ovviamente ci riferiamo soprattutto ai vari monoteismi,
anche se poi altre tradizioni religiose presentano
comunque questa aspirazione all’universalità.
Insomma le religioni, nella loro grande maggioranza,
presentano come specifico questo carattere di assolutismo,
partendo non dal principio di dati costruiti attraverso
una faticosa ricerca, ma dal concetto di verità:
momento decisivo, o forse deviazione decisiva e definitiva,
per chi si era messo su un cammino errato.
Se le varie scienze, le varie espressioni del pensare e
dell’agire, partono da esperienze per edificare la verità,
è significativo che la religione parta dal principio
stesso di verità - indiscutibile in quanto rivelata - per
arrivare a imporre il suo schema e i suoi dati. “Schema”
come qualcosa di ordinato, pacifico, definitivo.
quindi non passibile di analisi, di revisioni, di ripensamenti.
Solo delle verità indiscutibili per abbracciare
quali è necessario, più che meditare, comprendere
conciliare, convertirsi. Ossia trasformarsi, perdere
quella presenza critica dell’io legata al corso del proprio
essere, alle esperienze maturate, a un mondo vissuto
del quale dovrebbe essere disumano disfarsi.
Eppure proprio questo vogliono le religioni, che ci
spogli della propria presenza critica per lasciarsi prendere
da una verità che agisce in maniera non diversa
da quello Spirito Santo che rese finalmente intelligenti
quei poveri ignoranti degli apostoli e che
dunque, espressione simbolica, ma anche
concreta, diede la luce a chi si muoveva
buio dell’ignoranza. Dopo l’esempio
Cristo nell’affermare il dovere verso
Padre, ecco fornita la capacità intellettiva:
non come risorsa utile ai fini dalla ricerca,
ma come chiave per il diretto accesso alla
verità. Questo nella tradizione d’origine,
questo ancor oggi. Ed ecco una Chiesa,
non solo cristiana, a imporre la sua concezione
del mondo, a stabilire il tuo comportamento
e a scrutarti nel pensiero (attraverso
la confessione) per giudicarti ancor prima che possa
farlo Dio.
Dinanzi a questo dato, non criticabile a priori, visto
che può risultare anche comodo e pratico entrare in
sistema in grado di organizzarti passato, presente
futuro, risulta però controversa l’ipotesi di una conciliazione
fra le religioni: visioni assolute per le quali
discussione, il dialogo, sarebbero una contraddizione
in termini.
Alla religione appartiene l’ambito della verità, non dei
pareri; della guerra, e non dell’accordo. Del resto Cristo
portava la spada e lo stesso “paradesha” islamico,
come ben noto, si colloca all’ombra delle spade, ossia
all’ombra di un pensiero forte che non ha appreso
quell’insegnamento di Nietzsche, e di una “deviata”
cultura occidentale, per cui non vi è cosa nell’universo
che non sia degna di un’omerica risata.