Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L’american dream è finito

L’american dream è finito

di Eugenio Benetazzo - 18/12/2008


L’american dream è finito. Il sogno americano a cui milioni di persone hanno ciecamente aderito ha
iniziato a dimostrare tutta la sua fugacità ed evanescenza, quasi come fosse una ridicola moda passeggera.
Il sogno americano sta ormai producendo l’esatto opposto di tutto quello che aveva inizialmente
promesso: malessere sociale e povertà endemica.
Il sogno americano di tutti ricchi e benestanti è ormai un inquietante ricordo di quel periodo trendy che
è stato lo yuppismo dilagante di fine secolo scorso: le conseguenze ormai devastanti sul piano
socioeconomico e difficilmente rimediabili senza sacrifici pesantissimi, sono ormai incontrollabili, ma
soprattutto solo all’inizio della loro prima fase di metamorfosi: la crisi della terza settimana ne è un
esempio palese.
Lo scenario planetario ormai delinea un vero e proprio mutamento epocale senza precedenti, un
mutamento che presuppone per la prima volta nella storia della nostra civiltà occidentale un grado di
povertà, disagio e malessere sociale delle attuali giovani generazioni inferiore a quello delle generazioni
che le hanno preceduto: in buona sostanza i figli vivranno in uno stato di precarietà ed inquietudine
economica superiore rispetto a quella dei loro stessi padri. Per la prima volta sono i genitori che devono
sostenere i propri figli anche in età adulta e non più il contrario.
Che la mattanza abbia inizio quindi: a cominciare dai polli. Ma non per quei poveri pennuti bipedi
macellati negli allevamenti intensivi, quanto piuttosto per tutti quei nuovi morti di fame in giacca e
cravatta con una occupazione a singhiozzo, finanziariamente agonizzanti per essersi indebitati con un
mutuo al cento per cento per acquistare uno squallido bilocale in qualche degradata periferia suburbana.
Questa nuova classe sociale è un fenomenale prodotto del turbocapitalismo multinazionale, direi quasi
un sottoprodotto di scarto mal riuscito e non calcolato a tavolino. I nuovi polli da spennare e da
macellare senza alcuna pietà.
Povero Titanic Italia: i tuoi portavoce sono ormai ridotti al livello di meri replicanti mediatici o politici
primedonne che stanno girando il più grande reality show mai prodotto e profumatamente strapagato
con il denaro dei contribuenti italiani. Più che forze politiche, sarebbe opportuno chiamarle farse
politiche. Povero Titanic Italia, il tuo freno a mano tirato con quei sei punti percentuali di PIL necessari
solo per pagare gli interessi sul debito pubblico (ai tassi attuali) annientano ogni migliore speranza di un
futuro senza sacrifici.
Il volano del Miracolo Italiano caricato e messo in moto alla fine degli anni 60 attraverso la ammirevole
trasformazione industriale del paese ha consentito a gran velocità il raggiungimento di livelli di
benessere e prosperità che tutto il mondo ci ha invidiato. Adesso con quella stessa velocità ci stiamo
impoverendo e depauperando grazie al diabolico contributo apportato anche dal cancro terminale del
Titanic Italia: il suo sistema bancario.
A tutta velocità siamo diretti verso un muro. Il muro del pianto. Il muro su cui infrangere le speranze e
le aspettative di queste giovani generazioni di ragazzi e ragazze italiani, svenduti ed abbandonati proprio
come i posti di lavoro che un tempo avrebbero dovuto ereditare od occupare, ma che ora grazie alla
compiacenza politica delle attuali farse politiche di Roma (tranne la destra sociale) vengono
spudoratamente regalati a paesi feccia come la Cina e l’India.
Se ci fosse in Parlamento qualcuno a cui stesse veramente a cuore il destino ed il benessere del Popolo
Italiano, non ci penserebbe due volte a bandire l’ingresso di prodotti provenienti dai paesi
extracomunitari. Ma tutto questo non avviene. L’idea nazionalistica, quasi patriottica, di tutelare i propri
confini ed il benessere delle proprie genti soccombe innanzi a quello del capitalismo disinibito creatore
di flessibilità (o per meglio dire precarietà) nel mondo del lavoro e competitività (o per meglio dire
delocalizzazione) nel mondo delle produzioni industriali.
Con la scusante di questo liberismo economico, a tutti i costi e sopra tutti i costi, si sta compromettendo
il benessere e la capacità di poter pianificare il futuro ad intere giovani generazioni di ragazzi italiani,
intere generazioni di laureati e diplomati ridotti a fare i centralinisti dei call centre o i piazzisti per
qualche azienda globalizzata, con l’unica conseguenza di consentire la nascita di una nuova forma di
schiavitù legalizzata nel terzo millennio.
Povero Titanic Italia, le tue genti proprio come i passeggeri di quella malcondotta imbarcazione sono
ormai finiti. Finiti dalla morsa opprimente dei debiti contratti per sopravvivere o per circondarsi di beni
superflui imposti dal bombardamento mediatico della globalizzazione. Il sogno americano ha prodotto
una diabolica mutazione: per la prima volta è il popolo a preoccuparsi di chi si insedierà nei banchi di
Roma con la prossima infornata elettorale. Siamo veramente arrivati al capolinea. Dovrebbero essere i
governi a temere il popolo per cui fa gli interessi, e non il contrario. Con i fulmini e tempeste, io
cavalcherò.