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La guerra in Iraq, o come cancellare la memoria di un popolo

di Nicolas Lalande, El Kalam - 21/02/2006

Fonte: uruknet.info

 


Dalla prima invasione delle forze della coalizione. nel 1991, è stata organizzata una distruzione sistematica e organizzata del patrimonio iracheno, culla della civiltà.

"Le truppe americane non hanno solo trascurato di proteggere i siti storici e i beni culturali, hanno partecipato esse stesse a questi abusi. Hanno bombardato l’Università di Baghdad, che data dal XIII secolo, trasformato il sito [archeologico] di Ur in una base militare, scavando anche delle trincee nel terreno. I carri armati americani  vanno attraverso le vecchie strade di Babilonia, un atto simbolico da conquistatore". Zainab Bahrani, docente di storia dell’antichità alla Columbia University (New York) 2004.

 

Gli archeologi e gli storici di tutto il mondo piangono sul destino dell’inestimabile patrimonio culturale iracheno e rimproverano alle forze anglo-americane di non aver protetto dai saccheggi i siti celebri e i musei, mentre tutti i pozzi di petrolio del paese sono stati messi sotto protezione. Questo, quando gli articoli della convenzione dell’Aja del 1954 e la Convenzione dell’UNESCO del 1970 obbligano le forze di occupazione a proteggere i beni culturali. A guardarle più di due anni dopo l’invasione, le dichiarazioni di Jacques Chirac, che definivano "crimine contro l’umanità " il saccheggio dell’Iraq, non erano dunque delle semplici gesta antiamericane. Pur ammettendo che il costo umano di una guerra è sempre più importante delle sue conseguenze materiali, l’archeologo McGuire Gibson sottolinea che "ciò che è minacciato è anche una parte importante dell’eredità culturale mondiale". 

 

Ecco qualche esempio di quello che ormai si è convenuto chiamare un vero genocidio culturale

 

-         La grande università di Baghdad, la Moustansirya, costruita nel 13° secolo, ben prima di tutte le università europee, e una delle più prestigiose del mondo arabo musulmano, è stata fortemente danneggiata, così come il suo celebre orologio astronomico

-         La leggendaria città di Babilonia, che aveva così tanto impressionato lo storico greco Erodoto, è stata con tutta tranquillità trasformata in campo militare occupato dalle truppe polacche  a partire dal settembre 2003

-         Durante il conflitto del 1991, il museo di Bassora è stato saccheggiato. Più di 4.000 pezzi sono spariti da diversi musei, tra cui quelli di Mosul, Karbala e Bassora, secondo Monir Bouchenaki, vice direttore della cultura all’Unesco.

-         Più di ½ milione di siti archeologici sono potenzialmente minacciati dai danni prodotti dall’occupazione angloamericana

-         Gli archivi ottomani, che testimoniano la storia del paese a partire dal 15° secolo sono in pericolo. Dopo l’incendio del 2003, una gran parte di loro sono stati bagnati [per spegnere l’incendio, ndt] e sono sul punto di marcire

-         A Fallujah, la "città delle cento moschee", nessun edificio religioso è stato risparmiato dai bombardamenti massicci

 

I racconti di archeologi, storici, giornalisti o operatori umanitari si sono moltiplicati in questi ultimi mesi e testimoniano di un paese la cui memoria si appresta ad essere totalmente cancellata.

 

Danni e le responsabilità passati sotto silenzio
 

Davanti alla distruzione di questo patrimonio dell’umanità, il silenzio dei media e dei politici è assordante. Quello dell’Onu è incredibile.

 

Il fatto è che il più vecchio Stato al mondo è stato privato dei suoi tesori archeologici e artistici sotto lo sguardo impassibile delle forze della Coalizione. Eppure, mentre questi avvenimenti venivano presentati dalle agenzie di stampa statunitensi come una conseguenza del caos nel quale era piombato il paese, personalità internazionali non hanno tardato a denunciare una vasta operazione di spoliazione organizzata da un gruppo di mercanti d’arte occidentali. Denunciavano con indignazione un raggruppamento creato nel 2002, l'American Council for Cultural Policy (ACCP), che, secondo il New York Times, ha negoziato con il Dipartimento di Stato e il Dipartimento della Difesa statunitense prima dell’inizio del conflitto per rendere più elastica la legislazione che protegge l’Iraq dalla spoliazione del suo patrimonio storico. Lo scopo sarebbe stato quello di poter esportare dall’Iraq delle antichità, commercio proibito dalla fine del mandato britannico nel 1924 da una legge, poi rinforzata nel 1975.

 

Il fatto è che i più eminenti archeologi avevano avvisato la Coalizione dei rischi di furto dalle conseguenze disastrose. Degli specialisti statunitensi erano stati ricevuti al Pentagono molto prima dell’inizio della guerra allo scopo di sensibilizzare i militari sulla "probabilità di saccheggio dei siti storici", identificando i siti sensibili da proteggere. "Ne erano informati. Tutto ciò sarebbe potuto essere evitato", denuncia Jeremy Black, specialista dell’Antico Iraq all’Università di Oxford. Ma in maniera paradossale, malgrado la messa in guardia degli esperti internazionali, niente è stato fatto per impedire la rapina dei musei.

 

All’epoca del saccheggio del Museo Nazionale di Baghdad,  l’80% dei circa 150.000 reperti sono stati trafugati, secondo Moayyed Said al Damergi,  consigliere dell’ex ministro della Cultura.  "I carri armati americani stazionavano davanti l’entrata principale del Museo, quando i saccheggiatori lo hanno messo a soqquadro sotto gli occhi dei soldati", afferma  Damergi, docente di Archeologia all’Università di Baghdad, in una nota all’APF. "Abbiamo chiesto l’aiuto dei soldati per opporci ai saccheggiatori, ma ci hanno risposto che non avevano istruzioni di intervenire". Il professionismo dei saccheggi prova che non possono essere il risultato dell’azione della sola popolazione irachena. Se cittadini comuni vi hanno senza dubbio partecipato, tutto sembra indicare che dei professionisti del mercato dell’arte vi abbiano ugualmente partecipato.

 

Donny George, direttore di ricerca e di studi al Museo Nazionale Iracheno di Baghdad, è convinto che i ladri fossero dei professionisti. In una dichiarazione all’AFP, afferma che "[i saccheggiatori] non hanno toccato le copie, hanno rubato gli originali. E’ un’operazione di furto organizzato". Il direttore dello stesso museo parla di complicità interne, poiché i saccheggiatori hanno messo le mani sulle opere più preziose che erano state invece messe in cassaforte allo scoppio dei bombardamenti su Baghdad. Secondo il quotidiano The Indipendent, i computer del Museo Nazionale di Baghdad, che contenevano i dati delle collezioni, sono stati manomessi al punto che si ignora ancora oggi se le informazioni contenute nei dischi rigidi sono recuperabili o meno. La scomparsa di questi dati complica molto i dispositivi che mirano ad impedire la rivendita delle opere sul mercato internazionale. Detto in altri termini, dei professionisti non avrebbero potuto far di meglio.

 

Conseguenze a lungo termine disastrose per il popolo iracheno
 

Le conseguenze di questo saccheggio organizzato sono a lungo termine. Quando l’Iraq volterà la pagina della guerra, il paese dovrà aprire quella della ricostruzione. Ma come ricostruire un paese, uno Stato, una Nazione, se si amputano i suoi abitanti di un passato così prestigioso? Dove può andare una popolazione che ha perduto i principali riferimenti della sua memoria? Come una persona in preda all’amnesia, rischia di avanzare nel tempo, impaurito e ripiegato su se stesso, in preda ai dubbi e a qualsiasi influenza. Facendo tabula rasa del passato, gli Americani in quanto a loro, alleati alle loro multinazionali, si fregano le mani e si distribuiscono i dividenti della ricostruzione. Non dovendo più preoccuparsi di preservare il patrimonio iracheno o quello che ne resta, c’è da scommettere che in qualche anno trasformeranno questo paese in una grande città americana, piena di luci, ma senz’anima….

 

(Trad. Osservatorio Iraq - Paola Mirenda)