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L'economia di Israele, dall'agricoltura ai chip

di Sergio Romano - 14/01/2009

Ritengo che Israele, da un lato, rappresenti la democrazia con la più alta frammentazione partitica e la più elevata litigiosità politica - ne è un esempio il fatto che è l' unico Paese, tra le democrazie moderne, le cui legislature parlamentari durino meno di quelle italiane - ma che dall' altro lato lo Stato ebraico sia invece la più avanzata nazione nei campi della ricerca medico-scientifica, tecnologica, agricola, militare, nonché feconda di ottima produzione artistica e intellettuale. Come si possono, secondo lei, sposare queste due evidenti contraddizioni?
Paolo Ficara

Caro Ficara,
All' origine dell' ammirazione di Indro Montanelli per lo Stato israeliano vi era una constatazione che ritornava frequentemente nei suoi articoli. Dopo avere avuto fama di abili banchieri - osservava Montanelli -, gli ebrei hanno dimostrato al mondo di essere splendidi contadini. Pensava naturalmente ai kibbutz e al modo in cui i coloni giunti dagli insediamenti ebraici dell' Europa centro-orientale erano riusciti a trasformare alcune fra le zone più ingrate e ostili della Palestina. Oggi il giudizio di Montanelli sarebbe alquanto diverso. Gli israeliani continuano a non essere particolarmente noti per le loro virtù finanziarie e ne hanno dato una prova scegliendo un ebreo americano, Stanley Fischer (allora vice-presidente di Citigroup), per la presidenza della loro Banca centrale. Ma l' epopea dei kibbutz si è conclusa. Lo smagliante spirito del Bund (la grande organizzazione politico-sindacale degli ebrei polacco-lituani) si è appannato. L' agricoltura rimane una partita importante del bilancio dello Stato, ma ha ceduto il passo ad altre attività. Fra queste la più interessante è per l' appunto quella delle nuove tecnologie e delle loro diverse applicazioni, con un particolare riferimento alla sanità, alle telecomunicazioni e agli armamenti. È certamente vero, d' altro canto, che la democrazia israeliana è rissosa, litigiosa, estremamente frammentata e fisiologicamente instabile. Esiste un rapporto fra instabilità politica e modernità tecnologica? Ne ho parlato a lungo con Vittorio Dan Segre, professore emerito dell' università di Haifa, fondatore dell' Istituto di studi mediterranei dell' Università di Lugano e autore, fra l' altro, di «Le metamorfosi di Israele», apparso recentemente presso Utet. Ecco il risultato della nostra conversazione. I governi israeliani hanno commesso molti errori, anche nei momenti decisivi della storia dello Stato, e il sistema politico ha dato prova di grande debolezza. Ma la fragilità e l' instabilità hanno aperto un varco attraverso il quale sono impetuosamente passati lo spirito d' iniziativa, il coraggio imprenditoriale e la «hutzpah», una parola di origine yiddish usata ormai anche negli Stati Uniti che significa audacia, impudenza, sfacciataggine. Il successo delle start-up (le imprese scattanti che cominciano con pochi mezzi e raggiungono rapidamente obiettivi straordinari) è in buona parte il risultato di questa effervescenza creativa, favorita dalla brevità e dal «lasciar fare» dei governi. Naturalmente questo sistema presenta anche ricadute negative: corruzione, criminalità, un enorme divario fra gli emolumenti di un dirigente industriale e il salario degli operai. Ma vi sono stati altri momenti della storia in cui intelligenza e spregiudicatezza hanno prodotto miracoli economici. Accadde nell' Inghilterra del Settecento descritta da Bernard de Mandeville in un libretto, «La favola delle api», di cui esiste una traduzione italiana a cura di Giuseppe Di Leva. Accadde nell' America dei «baroni dai denti d' acciaio», costruttori di ferrovie e creatori di imperi industriali fra Ottocento e Novecento. Ed è accaduto durante gli ultimi anni in Israele dove i baroni sono giovani e maneggiano i chip meglio dell' acciaio.